Sviluppo di farmaci innovativi, accesso rapido dei pazienti alle nuove cure e sostenibilità dei sistemi di salute pubblica. Sono alcuni tra i temi di maggiore attualità che sono stati affrontati da rappresentanti delle istituzioni comunitarie, del mondo regolatorio europeo e internazionale, dell’impresa e dei pazienti nel corso della Conferenza “Innovation Systems and Health Horizons” organizzata dall’Agenzia Italiana del Farmaco e svoltasi il 21 settembre a Milano. Il 22 settembre l’incontro proseguirà con la partecipazione dei Ministri della Salute europei.

L’evento del 21 settembre è stato inaugurato dal Presidente dell’Aifa Sergio Pecorelli e dal Direttore Generale Luca Pani.

Il professor Pecorelli ha sottolineato l’importanza dell’evento di Milano, che si svolge durante il semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea alla luce della grandi sfide che attendono tutti i sistemi sanitari: garantire l’accesso il più equo possibile ai farmaci, specialmente ai pazienti più gravi che maggiormente ne hanno bisogno. Dopo anni di stasi, la ricerca farmaceutica ha messo a punto una serie di farmaci estremamente innovativi ma anche molto costosi.

L’incontro di oggi, ha detto Pecorelli, ha una grande rilevanza perché si parla di innovazione ma anche  di partecipazione a questa innovazione da parte dei cittadini che ne hanno maggiormente bisogno, i pazienti.

Scopo dell’incontro, ha detto Pecorelli, è stato riunire in una sala i vari stakeholders: industrie, investitori, scienziati, l’accademia cioè coloro che hanno le idee su nuove ricerche e infine i regolatori. Ma, cosa importantissima, Pecorelli i ha sottolineato la presenza dei rappresentanti delle associazioni di pazienti, cioè dei fruitori delle cure, oggi sempre più coinvolti fin dalle prime fasi della ricerca clinica.

Il mondo della medicina è profondamente cambiato, ha detto il presidente dell’Aifa. Dalla scoperta del genoma umano ci sono arrivati e arriveranno ancora farmaci sempre più efficaci e mirati, in gradi di debellare le malattie, basti pensare a quanto sta accadendo nel settore dell’epatite C. L’Europa però adesso deve discutere su come mettere queste cure a disposizione dei cittadini con il minimo dell’iniquità.

Dopo la presentazione del professor Pecorelli, per un breve saluto ha preso la parola Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria. “L’Italia - ha detto Scaccabarozzi -  è al secondo posto in Europa come paese manifatturiero per la produzione di farmaci e al quarto per gli studi clinic e gli addetti, che nell’industria del farmaco sono oltre 60mila, impiegati in 200 società farmaceutiche. A partire dal 2010, l’Italia ha fatto segnare il maggiore incremento mondiale nell’esportazione di farmaci. Non solo. “Molti impianti italiani –prosegue Scaccabarozzi- producono farmaci che poi vengono esportati in tutto il mondo. Farmindustria ritiene che il nostro Paese sia un ottimo posto per fare ricerca, produrre farmaci e, in generale, fare business nel settore farmaceutico”

Per quanto concerne l’innovazione, tema del convegno di oggi, Scaccabarozzi dice che “Innovare è innanzitutto un dovere delle aziende farmaceutiche nei confronti dei pazienti, ma è anche un imperativo per i Paesi in cui queste aziende operano, perché innovazione nelle scienze della vita significa crescita economica, lavori qualificati, spinta ai giovani affinchè si avvicino alla scienza e alla ricerca, un contributo per aumentare l’efficienza delle università e del sistema di ricerca in genere”.

Per misurare l’impatto dell’innovazione farmacologica sulla vita umana, in Farmindustria dice Scaccabarrozi “abbiamo un orologio particolare che chiamiamo “orologio della vita” che ci dice quanto tempo è stato guadagnato in un certo lasso di tempo nell’aspettativa di vita delle persone grazie ai nuovi farmaci e al progresso della ricerca, cica 15 minuti per ogni ora che passa”. Non per il fatto di essere stati in Farmindustria, ha detto, scherzando, il manager.

Poi ha preso la parola il Prof. Guido Rasi, direttore esecutivo dell’Agenzia Europea del Farmaco, che si è concentrato sull’utilità del progetto di “adaptive licensing” (licenza adattiva) che l’Ema sta portando avanti già da qualche mese, per ora in via sperimentale.

L'approccio “adaptive licensing”, noto anche come “approvazione sfalsata” o “licenza progressiva”, è, secondo le parole di Rasi “un processo di autorizzazione prospettico, che inizia con l’autorizzazione precoce di un medicinale in una popolazione ristretta di pazienti e prosegue con una serie di fasi iterative di raccolta di evidenze e di adattamento dell'autorizzazione all'immissione in commercio per ampliare l'accesso al farmaco a popolazioni di pazienti più ampie”.

L’adaptive licensing si basa sui processi normativi esistenti e intende estendere l'uso di elementi che sono già in atto. “Non c’è nulla di realmente nuovo si tratta però di cambiare l’approccio mentale, il nostro modo di pensare” ha detto Rasi. Questi elementi sono la consulenza scientifica, l’uso compassionevole centralizzato, l’autorizzazione all'immissione in commercio condizionata (per i farmaci che trattano patologie a rischio di vita), i registri dei pazienti e gli strumenti di farmacovigilanza che consentono la raccolta di dati reali e lo sviluppo di piani di gestione del rischio.
Potrebbero essere necessari dei piccoli aggiustamento a quanto già accade, anche se per ora non se ne ravvisa la necessità, ha detto Rasi.

Per spiegare meglio il concetto dell’adaptive licensing, il professor Rasi, ha fatto l’esempio di una determinata indicazione d’uso che il nuovo farmaco vorrebbe ottenere (un cerchio esterno, più ampio) e della popolazione di pazienti che maggiormente ha bisogno del farmaco (cerchio interno, rosso). L’azienda ha questo punto ha di fronte a se due strategie: cercare di ottenere l’approvazione per l’uso nei pazienti del cerchio rosso, e poi, successivamente anche negli altri. Oppure si può assumere il rischio di richiedere fin da subito l’indicazione allargata, con solo due possibili esiti, si o no.

Le richieste dei pazienti, l’avanzare della ricerca e le pressioni dei sistemi sanitari al contenimento della spesa sono i driver per le decisioni sull’adaptive licensing. Naturalmente ciò si deve confrontare con le attese delle aziende farmaceutiche e degli investitori finanziari che, spesso attraverso i i fondi, condizionano l’ammontare degli investimenti in ricerca.

Per quanto concerne chi conferisce il potere (“enablers”) a questo tipo di decisioni, Rasi ha detto che entrano in gioco il miglioramento delle conoscenze sui meccanismi di malattia, modo innovativi di condurre i trial clinici, l’avanzamento delle conoscenze mediche (registri ecc), e il fatto di passare dalle previsioni sull’esito delle cure al monitoraggio delle stesse. Un punto chiave è quello del coinvolgimento dei pazienti che decidono di affrontare un’accettabile livello di incertezza.

Nei sistemi di adaptive licensing chi sono i players e quali sono le loro maggiori preoccupazioni? Innanzitutto abbiamo i pazienti e le autorità regolatorie che temono un aumento del rischio, poi ci sono gli investitori e l’industria farmaceutica che temono una riduzione dei ricavi e dei profitti, i payers a loro volta temono un uso più ampio ( e inappropriato) di questi farmaci a fronte de nuovo modo di svilupparli.

Quali sono le evidenze necessarie in questa metodologia? Rasi ha detto che entrano in gioco quelle scientifiche, magari supportate da biomarkers che consentano una misurazione dei risultati clinici più rapida e precisa, andrà ridefinito il livello di benefici e di rischi che si è disposti ad accettare, e qui i pazienti giocano un ruolo determinante. Andrà considerato anche l’uso di adaptive clinical trials, studi clinici dove il disegno può cambiare nel corso del tempo sulla base delle prime risposte al farmaco.
Un accesso al mercato potrà variare nel corso del tempo, alla luce delle nuove evidenze e così anche la rimborsabilità dei farmaci e il loro prezzo, potranno cambiare alla luce del progredire delle conoscenze.

Qual è lo scopo finale di queste metodologie? Il professor Rasi l’ha spiegato molto bene: il farmaco più sicuro (ed efficace ovviamente) che però arriva troppo tardi è di nessun aiuto al paziente. L’efficacia di un farmaco può cambiare moltissimo a seconda delle fasi della malattia in cui viene usato e spesso prima è meglio è.

Cosa deve cambiare per il successo dell’adaptive licensig? Deve diffondersi una cultura di collaborazione ha detto Rasi, pazienti e medici devono definire prima di tutto cosa manca ((l’unmet need) e poi quale sia un accettabile livello di incertezza. Poi è necessaria la piena collaborazione di industria, payors regulators per tutto il tempo in cui il farmaco è in commercio. Occorre anche mettere in essere dei “tool” informatizzati che garantiscano un’appropriata prescrizione di quel determinato farmaco. Il farmaco giusto per il paziente giusto nel momento giusto della malattia.

Per l’adaptive licensing serve quindi un approccio di sistema che prende in esame tutta la vita del farmaco, dal suo sviluppo alla sua vita una volta entrato in commercio. Tanto è vero che Rasi ha parlato del concetto di “adaptive pathways” cioè percorsi adattativi che vanno dall’autorizzazione dell’ente regolatorio, alla commercializzazione e alle decisioni di rimborso. Tutto il sistema dovrebbe essere flessibile per “adattarsi” al progredire delle conoscenze sul farmaco e sui suoi risultati clinici in popolazioni vi a via più ampie.

Cosa deve cambiare rispetto al sistema attuale? In effetti molto ha detto Rasi. Occorrerà passare dal momento “magico” (per i pazienti e per le aziende) dell’approvazione del farmaco, alla sua gestione costante specie per quanto concerne le indicazioni via via approvate, dale previsioni, come già detto si passerà al monitoraggio costante, da studi randomizzati e controllati (RCT) si dovrà passare a nuovi sistemi per la generazione di evidenze scientifiche, da grandi popolazioni di pazienti che possono essere trattati a piccole popolazioni, da un utilizzo aperto (nell’ambito delle indicazioni approvate) a un utilizzo controllato.

Il 19 marzo è stato lanciato questo nuovo concetto di sviluppo dei farmaci che prevede un accesso molto precoce alle nuove terapie per i pazienti che possono maggiormente beneficiarne e di fronte di elevati “unmet medical needs”. Il processo prevede la continua raccolta di dati, di sicurezza ed efficacia, nella nicchia di pazienti che potrà poi man mano essere ampliata a seconda dei risultati ottenuti.

I vantaggi del sistema sono individuabili nell’accesso anticipato alle nuove cure per i pazienti che maggiormente ne hanno bisogno con il coinvolgimento di tutti gli stakeholder nella raccolta e nella valutazione dei dati.

I rischi invece risiedono in un possibile aumento di ritiri di farmaci (in quanto studiati in pazienti molto difficili da curare), anche il livello di incertezza in certi casi potrebbe non essere facilmente gestibile rispetto all’approccio tradizionale che prevede le canoniche tre fasi cliniche prima dell’approvazione di un farmaco.

Secondo il giudizio del professor Rasi, l’adaptive licensing è il modo migliore se non l’unico per far andare d’accordo l’accesso al farmaco con le evidenze cliniche disponibili n quel momento.
Pur essendo partito solo pochi mesi fa, il processo di adaptive licensing è già stato richiesto per 26 farmaci di cui 7 già identificati per la fase pilota e che quindi hanno iniziato il nuovo iter regolatorio, segno che anche le aziende stanno valutando positivamente il nuovo sistema.

Poi ha preso la parola il prof. Luca Pani, direttore dell’Agenzia italiana del farmaco. Pani ha iniziato dicendo che la lista degli stakeholders presi in considerazione dall’Aifa non è poi molto lunga. Prima di tutti ci sono i pazienti, poi ci sono i sanitari (gli healhcare providers come medici farmacisti), e poi c’è l’industria che produce i farmaci, poi ci sono le altre agenzie regolatorie con le quali Aifa ha un continuo confronto. Infine ci sono i Payors, color deputati al controllo della spesa farmaceutica.

A questo punto Pani ha sottolineato un punto importante che regola l’attività dell’Agenzia, cioè che ogni stakeholder dichiari in anticipo gli eventuali conflitti di interesse che in certi casi possono precludere la partecipazione alle discussioni su un determinato farmaco.

Dopo aver fatto una overview sulle attività dell’Agenzia, il professor Pani si è soffermato sul prezzo dei farmaci e di come esso sia legato all’innovazione che essi rappresentano e non al loro  mero costo produttivo. Il loro prezzo è molto più determinato dall’ammontare dei dati necessari per il loro sviluppo. Ciò  tanto  più vero con la medicina di precisione che in certi ambiti (ad es. oncologia) sta sempre più prendendo piede.

Quindi Pani ha richiamato l’attenzione al ruolo che negli scorsi decenni i medici, delle aziende e al di fuori delle aziende, hanno avuto nello sviluppo dei farmaci e nella comprensione di come vecchi farmaci potessero avere nuove indicazioni d’uso. Dobbiamo ritornare a quella primogenitura della medicina perché oggi la ricerca si basa un po’ troppo sui sistemi automatizzati di messa a punto di nuove molecola sulla base dei target farmacologici studiati per una certa malattia. Insomma l’elemento umano dovrebbe avere di nuovo maggior importanza nella ricerca.

Di qui al 2016, i nuovi farmaci per i quali verrà richiesto l’esame dell’Ema apparterranno fondamentalmente a tre arre terapeutiche: oncologia, infettivologia (soprattutto per la cura dell’epatite C) e sistema nervoso centrale. Per la prima volta i farmaci per il sistema cardiovascolare non saranno nei primi posti della classifica dell’innovazione.

Le agenzie regolatorie e le aziende farmaceutiche si trovano per lo più d’accordo sulla “value proposition” di un nuovo farmaco per il quale viene richiesta la registrazione, sulla valutazione dei dati di sicurezza e sul disegno dei trial che è stato adottato. Le divergenze invece emergono sulla scelta dei comparator, sulla stratificazione dei sottogruppi. L’ultimo punto è piuttosto importante e deve far meditare proprio perché sempre più la medicina sarà fatta dello studio di sottogruppi di pazienti che maggiormente possono beneficiare di una certa cura.

Poi Pani si è soffermato sui sistemi di rimborso condizionato attualmente adottati dall’Agenzia italiana: che possono essere di tipo finanziario (volume agreement, cost sharing e budget cap) oppure correlati all’attività del farmaco (payment by results, risk sharing). Attualmente l’Agenzia italiana non usa più i sistemi di cost sharing, in auge fino a due anni fa, anche il risk sharing sta perdendo quota mentre sta sempre più prendendo piede il payment by results.

Si stanno quindi identificando regole sempre più chiare e trasparenti che prevendo l’impiego della progression free survival, delle analisi di sopravvivenza di Kaplan-Meier, per rimanere in ambito oncologico, e così via. La scienza deve essere di grande aiuto per identificare parametri incontrovertibili, non sempre cosi facili da trovare come in oncologia.

Quindi Pani ha trattato il tema dei registri, un vanto dell’agenzia italiana, anche se come ha precisato lo stesso direttore dell’Aifa ci sono ancora aspetti da migliorare circa la loro facilità di utilizzo. I registri, il cui sistema è stato completamente ridisegnato, servono per monitorare l’effettivo utilizzo di un farmaco nella pratica clinica (effectiveness), raccogliere informazioni epidemiologiche, avere maggiori dati sulla sicurezza di un determinato trattamento e raccogliere informazioni non presenti nei trial registrativi o lacunose.

Attualmente , in Italia tramite i Registri sono tracciati circa 300.000 trattamenti univoci al livello del singolo paziente ed è possibile accedere al database, selezionare la patologia e sapere quale trattamento viene erogato, in quale città, ospedale e reparto, ed è possibile risalire persino alle variazioni temporali nelle prescrizioni e a molti altri dati di estrema utilità.

Sebbene i dati raccolti nella real life siano per loro definizione “sporchi” cioè inficiati da atteggiamenti individuali del medico prescrittore di difficile comprensione essi soli rappresentano ciò che realmente accade nella vita reale e sono perciò preziosissimi.

Adesso Aifa si sta muovendo verso registri di patologia, che daranno dati più consistenti rispetti a quelli raccolti avendo come punto di partenza l’impiego di un singolo farmaco.

Il punto di forza più importante dei registri, dal punto di vista regolatorio, è la possibilità di negoziare con le azienda il rimborso di un farmaco per ogni specifica indicazione d’uso, perché essa sarà attentamente monitorata. Il carico di lavoro amministrativo costituisce un reale problema, non ancora superato, anche perchè la compilazione dei registri spetta solo al medico prescrittore e non può essere delegata al personale infermieristico o amministrativo.

In chiusura, Pani si è soffermato sui nuovi farmaci per la cura dell’epatite C, molto efficaci ma anche molto costosi e non ancora rimborsati dall’agenzia italiana. Un grosso problema per Pani è la non precisa determinazione del numero di pazienti che ovviamente influisce molto i termini di spesa preventivabile. Per questi farmaci, ha detto il direttore di Aifa, i vecchi modelli di negoziazione non sono applicabili, visto il loro alto costo e l’altissimo numero di pazienti da trattare, specie nel nostro paese, e occorrerà trovarne di nuovi. Pani non ci ha spiegato esattamente quali siano anche se li ha evidentemente già ben chiari.


Danilo Magliano