Nei pazienti con impianto di uno o più stent coronarici che vengono sottoposti a chirurgia cardiaca e non cardiaca lo sospensione del trattamento antipiastrinico aumenta il rischio di eventi cardiaci maggiori (MACE) a 30 giorni, mentre non offre un significativa protezione rispetto ai sanguinamenti BARC (Bleeding Academic Research Consortium) =/>2. Sono le conclusioni di uno studio osservazionale multicentrico condotto in Italia, i cui risultati sono stati pubblicati su Thrombosis and Haemostasis.
La ricerca, coordinata da Roberta Rossini, dell’USC Cardiologia del Dipartimento Cardiovascolare, AO Papa Giovanni XXIII, Bergamo, è stato il frutto dell’opera condivisa di studiosi appartenenti a varie strutture oltre a quella citata: l’Ospedale Ferrarotto dell’Università di Catania, l’Ospedale Carlo Poma di Mantova, l’Ospedale della Misericordia di Grosseto e il Dipartimento di Scienze Cardiache, Toraciche e Vascolari dell’Università di Padova. Un contributo importante, infine, è giunto dall’University of Florida College of Medicine di Jacksonville (USA).
«La chirurgia è una delle più frequenti cause di sospensione anticipata di un trattamento antipiastrinico in pazienti che precedentemente sottoposti a intervento coronarico percutaneo (PCI) con impianto di stent» ricordano gli autori dello studio. «Peraltro la sospensione di questi farmaci può aumentare in modo significativo l’incidenza di eventi cardiaci ischemici, compresa la trombosi dello stent (ST)»
«La gestione della terapia antipiastrinica nel periodo perioperatorio è una sfida ampiamente incontrata nella pratica clinica, con un 4-8% di pazienti avviati a chirurgia entro il 1° anno di impianto di uno stent e il 23% entro 5 anni» proseguono. «Molte linee guida internazionali, basate su opinioni di esperti, consigliano di continuare la somministrazione di acido acetilsalicilico (ASA) fin quando è possibile. Comunque, l’effetto clinico netto degli agenti antipiastrinici in fase perioperatoria non è stata chiarita completamente».
Lo scopo del team è stato quello di studiare il rischio perioperatorio di eventi ischemici ed emorragici in pazienti con impianto di stent coronarici sottoposti a chirurgia (cardiaca o meno) e di valutare come questi outcomes venissero influenzati dall’impiego perioperatorio della terapia antipiastrinica orale.
Allo scopo è stato condotto uno studio multicentrico, retrospettivo, osservazionale su pazienti con uno o più stent coronarici impiantati tra il gennaio 2003 e il dicembre 2011. A suo tempo, dopo il PCI tutti questi pazienti erano stati dimessi con la raccomandazione di seguire una doppia terapia antipiastrinica: 100 mg/die di ASA e 75 mg/die di clopidogrel per 1 o 12 mesi in base alle indicazioni cliniche e al tipo di stent usato (nudo metallo[BMS] o a rilascio di farmaco [DES]). Tutti i pazienti erano stati seguiti con un follow-up di 30 giorni dopo l’operazione mediante visite ambulatoriali, cartelle cliniche e interviste telefoniche.
L’endpoint primario di efficacia era rappresentato dall’incidenza a 30 giorni di MACE, definiti da un gruppo composito di morte cardiaca, infarto miocardico e ictus. L’endpoint primario di sicurezza era rappresentato dall’incidenza del BARC=/>2. Sono stati arruolati in tutto 666 pazienti. Di questi, 371 (55,7%) hanno sospeso la terapia antipiastrinica (in tutto o in parte) prima della chirurgia.
A 30 giorni, i pazienti con sospensione perioperatoria di terapia antipiastrinica hanno avuto un’incidenza significativamente superiore di MACE (7,5% vs 0,3%, p<0,001), morte cardiaca (2,7% vs 0,3%, p=0,027) e infarto miocardico (4,0% vs 0%, p<0,0019. Dopo correzione, la discontinuazione antipiastrinica perioperatoria è risultata il più forte fattore predittivo di MACE a 30 giorni (odds ratio[OR]=25,8, p=0,002).
«L’uso perioperatorio di ASA» sottolineano gli autori «si è significativamente associato a un più basso rischio di MACE» (OR corretto=0,27, p=0,008). «L’incidenza globale di eventi di sanguinamento BARC=/>2 a 30 giorni è apparso superiore in modo significativo nei pazienti che avevano interrotto la terapia orale antipiastrinica» (25,6 vs 13,9%, p<0,001).
«Il tasso di interruzione di ASA e clopidogrel in questo studio è alto in modo allarmante» si fa notare. «Del resto, ciò è un riflesso della reale pratica clinica e studi precedenti hanno riportato che la chirurgia è la principale causa di prematura discontinuazione di terapia antipiastrinica dopo PCI».
Questi risultati- sottolineano gli autori - sono un richiamo alla cautela in relazione alla sospensione degli antipiastrinici orali in fase perioperatoria, data l’elevata prevalenza con la quale ciò avviene non solo con clopidogrel ma anche con ASA. Mantenere l’ASA per la maggior parte delle procedure e clopidogrel per le chirurgie a non alto rischio di sanguinamento potrebbe essere più prudente allo scopo di ridurre il rischio di complicanze cardiovascolari.
Arturo Zenorini
Rossini R, Musumeci G, Capodanno D, et al. Perioperative management of oral antiplatelet therapy and clinical outcomes in coronary stent patients undergoing surgery. Results of a multicentre registry. Thromb Haemost, 2014;113(1).
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Cardiologia