Arriva in Italia la prima siringa pre-riempita monouso che consente la somministrazione intravitreale di ranibizumab per il trattamento delle maculopatie. La siringa, contenente una soluzione di ranibizumab pronta all’uso, sfrutta una tecnologia innovativa con chiusura a vite dell’ago, che garantisce non solo una maggiore precisione dell’iniezione, ma anche una maggiore sicurezza di somministrazione riducendo il potenziale rischio di eventi avversi correlati alla sterilità.

“Questo nuovo dispositivo consente a noi specialisti retinologi di avere a disposizione uno strumento più preciso e rapido per somministrare il trattamento ai pazienti – afferma Michele Coppola, Direttore della Struttura Complessa di Oculistica del Presidio Ospedaliero di Desio – e soprattutto ci permette una riduzione del rischio di eventi avversi correlati alla sterilità che in alcuni casi possono compromettere l’esito della somministrazione con gravi conseguenze per il paziente”.

Ranibizumab possiede un profilo di sicurezza ben caratterizzato,con un’esposizione nel mondo  pari a oltre 2,8 milioni di anni-paziente ed è supportato da numerosi dati provenienti da studi clinici e dall’esperienza nel mondo reale. Oggi, grazie alla nuova formulazione in siringa pre-riempita, sarà possibile migliorare ancora di più l’efficienza nella pratica clinica.

“In pratica – continua Coppola – con questo nuovo dispositivo i medici sono nelle condizioni di poter velocizzare l’iter di somministrazione omettendo diverse fasi della procedura di preparazione di una siringa a partire da una fiala, come per esempio il montaggio dell’ago filtro, l’aspirazione del farmaco dalla fiala, la rimozione dell’ago filtro dalla siringa e la sua sostituzione con ago per iniezione”.
L’introduzione del nuovo device si accompagna anche ad un aggiornamento dello schema posologico che consente una completa personalizzazione della terapia  lasciando il monitoraggio a totale discrezione del medico sulla base dell’andamento del singolo paziente, avendo così la possibilità di ridurre il numero delle visite di controllo fino al 40%[2] mantenendo i risultati terapeutici ottenuti con la precedente modalità di somministrazione.

“Sino ad oggi, nella pratica clinica, le decisioni terapeutiche sono state prevalentemente influenzate dalla valutazione dell’acuità visiva (VA). – continua Boscia –Tuttavia, grazie all’utilizzo esteso che oggi si fa della tomografia a coerenza ottica (OCT), si è osservato che prima che si verifichi un calo della vista, ci possono essere dei cambiamenti morfologici della retina, come per esempio lo spessore centrale, cambiamenti della riflettività di particolari strati, localizzazione di liquido, che offrono allo specialista informazioni necessarie per decidere se e come ritrattare il paziente evitando casi di sovra o sotto trattamento che possono incidere sia sulla aderenza alla terapia, sia sui risultati.”

Ranibizumab è al momento l’unico anti-VEGF approvato e rimborsato per cinque patologie retiniche: degenerazione maculare neovascolare legata all’età in forma umida (wAMD), diminuzione visiva causata da edema maculare diabetico (DME) e da occlusione venosa retinica sia centrale (CRVO) sia di branca (BRVO), e neovascolarizzazione coroideale secondaria a miopia patologica (mCNV), indicazione per cui il farmaco ha ottenuto la rimborsabilità lo scorso giugno.

Prima dell’introduzione della terapia con anti-VEGF, i trattamenti utilizzati per la mCNV (fotocoagulazione laser e terapia fotodinamica con verteporfina) miravano a stabilizzare la visione cicatrizzando la lesione.

“La terapia fotodinamica, che ha rappresentato un notevole passo in avanti rispetto alla terapia laser, è stata fino ad oggi l’unica terapia approvata dalle autorità regolatorie per il trattamento della CNV secondaria a miopia patologica. – dichiara Federico Ricci - Dir. Resp. UOSD Patologie Retiniche, Centro di Riferimento Regionale per la Diagnosi e Terapia della Degenerazione Maculare Senile e delle Patologie Retiniche Cecitanti - Fondazione PTV / Università Tor Vergata –  Diversi studi hanno dimostrato che tale procedura era in grado di garantire ai pazienti trattati solo una stabilizzazione o un modesto miglioramento della acuità visiva. Tali risultati venivano vanificati a lungo termine dalla induzione da parte della terapia di una cicatrice associata ad atrofia retinica perilesionale coinvolgente l’area maculare”. Prosegue Ricci – “L’avvento di ranibizumab ha invece significato un importante passo in avanti per il trattamento dei pazienti affetti da questa malattia. Questo farmaco rappresenta la prima terapia che ha dimostrato di poter migliorare l’acuità visiva con un ridotto numero di iniezioni. Nello studio registrativo, infatti, ad un anno dall’inizio del trattamento i pazienti hanno guadagnato mediamente 3 righe di acuità visiva con un numero medio di due iniezioni-anno. Questo risultato è particolarmente significativo se si pensa che la perdita visiva derivante dalla CNV miopica, che di solito colpisce le persone prima dei 50 anni, esercita un effetto profondo sulla vita lavorativa, sulle aspettative di carriera e sulla qualità della vita di questi soggetti in una fascia di età ancora altamente produttiva”.