L’anticorpo monoclonale anti PD-1/PD-L1 pembrolizumab inizia a far parlare di sé, con dati interessanti, anche come possibile trattamento per il cancro al seno. In occasione del recente San Antonio Breast Cancer Symposium (SABCS), è stato presentato uno studio di fase I in cui il farmaco ha indotto una risposta duratura in quasi il 20% delle pazienti, che erano donne con un cancro al seno triplo negativo metastatico e PD-L1-positivo.

Finora, pembrolizumab e le altre immunoterapie anti-PD-1 si sono dimostrate più efficaci in tumori che presentano livelli elelvati di cellule immunitarie infiltranti comprese le cellule T, come il melanoma, indicazione per la quale l’anticorpo ha avuto nel settembre scorso l’ok della Food and Drug Administration, come terapia di seconda linea nel setting metastatico.

Presentando i dati, la prima autrice dello studio, Rita Nanda, a capo del Breast Medical Oncology Program dell’Università di Chicago, ha spiegato che al momento non esistono farmaci approvati per il trattamento del cancro al seno triplo negativo metastatico e che la sopravvivenza delle donne colpite da questo tumore è di circa un anno.

"L'attività promettente pembrolizumab osservata nel tumore al seno triplo negativo che esprime PD-L1- è molto interessante e certamente meritevole di ulteriori indagini" ha affermato l’oncologa.

L’analisi presentata al SABCS ha riguardato 32 pazienti con un carcinoma mammario avanzato triplo negativo che avevano tumori PD-L1-positivi. Tutte erano ricadute dopo essere state trattate quando il tumore era in stadio iniziale o avevano progredito nonostante il trattamento per la malattia avanzata.

L'età media della coorte era di 51,9 anni (range 29-72). La maggior parte delle partecipanti era bianca (78,1%) e aveva un performance status ECOG pari a 0 o 1 (96,9%); quattro (il 12,5%) avevano subito un trattamento per le metastasi cerebrali.

Quindici (il 42,8%) avevano fatto in precedenza almeno tre terapie per la malattia metastatica e sette (21,9%) ne avevano fatte almeno cinque per la malattia avanzata. La maggioranza era stata trattata con taxani, antracicline, capecitabina e la terapia a base di platino.

Tutte le pazienti sono state trattate con pembrolizumab 10 mg/kg ev ogni 2 settimane e ogni 8 settimane gli sperimentatori hanno valutato la risposta. Il trattamento è proseguito fintanto che le donne hanno mostrato un beneficio e non hanno manifestato una tossicità non tollerabile.

Gli endpoint primari erano la sicurezza, la tollerabilità e l'attività antitumorale, e il follow-up è stato di 9,9 mesi (range 0,4-15,1).

La donne in cui si è potuta valutare la risposta sono risultate 27 e il 90% di esse aveva fatto in precedenza la terapia adiuvante o neoadiuvante.

In questo gruppo, cinque pazienti (il 18,5%) hanno risposto a pembrolizumab e in un caso si è ottenuta una risposta completa (3,7%). La partecipante che ha avuto una risposta completa aveva già fatto una terapia sistemica di prima linea, mentre due di quelle che hanno risposto in modo parziale avevano fatto in precedenza cinque o più linee di terapia.

"Al momento non esiste uno standard di cura per pazienti che sono così pesantemente pretrattati, e in questa linea di terapia, in confronto alla chemioterapia, una percentuale di risposta del 18,5% è ovviamente interessante" ha detto la Nanda.

Sette pazienti (il 25,9%) hanno raggiunto una stabilizzazione della malattia e in 12 (il 44,4%) il tumore ha progredito durante il trattamento. Tre (l’11,1%) hanno interrotto la terapia prima del primo controllo a causa della progressione della malattia o di un evento avverso correlato al trattamento, per cui non sono state incluse nella valutazione.

Al momento dell’analisi, tre delle cinque responder erano ancora in trattamento e lo erano da non meno di 48 settimane, mentre le altri due non più in trattamento sono state trattate per 40 settimane. "Questo la dice lunga sulla durata delle risposte alla terapia" ha commentato la Nanda nella conferenza stampa in cui è stato presentato il lavoro.

Il tempo mediano di comparsa della risposta è stato di 18 settimane. La sopravvivenza libera da progressione (PFS) mediana è stata di 1,9 mesi e la PFS a 6 mesi del 23,3%, mentre la durata mediana della risposta non è stata ancora raggiunta.

"C’è grande entusiasmo tra gli oncologi riguardo al possibile impiego delle immunoterapie nel cancro al seno e questo lavoro mostra ciò che si è già visto in molti altri studi su altri tipi di tumore: che risponde una piccola percentuale di pazienti, ma, in coloro che lo fanno, la risposta tende a essere prolungata e di una durata che non si vede spesso con altre terapie" ha detto Jennifer Litton, dell’MD Anderson Cancer Center della University of Texas, moderando la conferenza stampa.

Gli eventi avversi più comuni sono stati artralgia, affaticamento, mialgia, nausea, verificatisi in almeno il 15% delle pazienti. Quattro pazienti (il 12,5%) hanno manifestato eventi avversi di grado 3 (anemia, mal di testa, meningite asettica e febbre) e una ha mostrato un calo del fibrinogeno di grado 4. Una paziente è deceduta a causa di una coagulazione intravascolare disseminata, ritenuta correlata alla somministrazione di pembrolizumab.

"Il profilo di sicurezza e tollerabilità accettabile, abbinato alla promettente attività antitumorale, giustificano l'ulteriore sviluppo di pembrolizumab nelle pazienti con carcinoma mammario triplo negativo avanzato" ha concluso la Nanda anticipando che nella prima metà del 2015 dovrebbe partire uno studio di fase II su pembrolizumab in questa popolazione di pazienti.

Alessandra Terzaghi

R. Nanda, et al. A phase Ib study of pembrolizumab (MK-3475) in patients with advanced triple-negative breast cancer. SABCS 2014; Abstract S1-09.