Più di 3.000 pazienti (quasi 12.000 per anno di osservazione) e fino a 17 cicli di rituximab, somministrati in un periodo di 9,5 anni: ecco i record vantati da questa pooled-analysis, firmata da Ronald F. van Vollenhoven, Paul Emery e dai colleghi delle più prestigiose accademie di Svezia, UK, USA e Canada.

Pubblicata nel 2013 da Annals of the Rheumatic Diseases, la pooled-analysis ha incluso 8 trial randomizzati contro placebo e 2 long-term open label extension; questi trial arruolavano pazienti con artrite reumatoide moderata o severa, trattati con rituximab (Mabthera®, Roche) e methotrexate (MTX) (1).

L’artrite reumatoide è notoriamente associata ad un aumentato rischio di dare luogo a seri eventi infettivi, linfomi e malattie cardiovascolari. DMARDs e anti-TNF sono anch’essi sospettati di aumentare ulteriormente il rischio di infezioni e neoplasie. Per tali ragioni il monitoraggio continuo della sicurezza dei farmaci biologici sul lungo termine è di vitale importanza.

Il meccanismo d’azione di rituximab (RTX), un anticorpo monoclonale anti-DC20, si basa sulla deplezione delle cellule B periferiche. Risultati di tale deplezione sono un miglioramento della sintomatologia ed un rallentamento della progressione del danno articolare.

Per contro, la somministrazione ripetuta e di lunga durata con agenti in grado di depletare le cellule B possono determinare effetti anche gravi sul sistema immunitario.

Ciascun ciclo di trattamento con rituximab consiste di due infusioni endovenose di 1000 o 500 mg di farmaco ciascuna, somministrate a distanza di due settimane l’una dall’altra.
Prima di ogni infusione, tutti i pazienti sono stati sottoposti a premedicazione per scongiurare l’insorgere di reazioni anafilattiche. A questo scopo, gli studi inclusi nella presente pooled-analysis prevedevano la somministrazione di 100 mg di metilprednisolone per via endovenosa, prima dell’infusione di rituximab. Molti pazienti erano stati trattati anche con paracetamolo e antistaminico.

L’eventuale ritrattamento del paziente era stabilito arbitrariamente dello specialista, sulla base dell’evidenza clinica e delle misure clinimetriche (articolazioni dolenti e tumefatte, entrambe in numero maggiore o uguale a 8, oppure DAS28 maggiore o uguale a 2,6).

Tutti i pazienti ricevevano inoltre una dose fissa di MTX compresa fra 10 e 25 mg/settimana. Corticosteroidi orali e FANS erano consentiti come terapie da assumere al bisogno.

Di seguito i risultati del confronto fra i 3194 pazienti trattati con RTX + MTX ed i 818 pazienti trattati con placebo + MTX.

La percentuale di eventi avversi seri ed infezioni è rimasta generalmente stabile nel tempo e nel corso dei cicli multipli di trattamento. Globalmente le infezioni, calcolate su 100 pazienti osservati/anno, si attestavano al 3,94% (3,26% per i pazienti osservati per più di 5 anni). Tale percentuale è paragonabile a quella osservata nel gruppo di pazienti trattati con placebo + MTX (3,79%).

Le infezioni opportunistiche gravi sono state rare. Complessivamente, il 22,4% (n=717) dei pazienti trattati con RTX ha sviluppato bassi livelli di IgM, mentre nel 3,5% è stata osservata una riduzione dei livelli di IgG (n=112), dopo almeno 4 mesi dall’inizio del trattamento e a completamento di almeno un ciclo di trattamento.

Gli eventi infettivi seri erano comparabili prima, durante e dopo la riduzione dei livelli di IgG. Tuttavia, nei pazienti con bassi livelli di IgG, le percentuali di eventi infettivi seri erano statisticamente più elevate rispetto a quelle osservate nell’altro gruppo di pazienti.

Le reazioni infettive più comunemente riferite nel gruppo trattato con RTX (> 5% dei pazienti) erano quelle a carico delle vie respiratorie superiori, le nasofaringiti e le infezioni del tratto urinario, insieme a bronchite, sinusite, diarrea, influenza e gastroenteriti.

Le reazioni infettive serie riscontrate più comuni (> 2% di pazienti) erano invece a carico delle vie respiratorie inferiori, in particolare la polmonite.

Le percentuali di infarto del miocardio (0,41 su 100 pazienti trattati/anno) e ictus (0,19 su 100 pazienti trattati/anno erano coerenti con quelle riscontrate nella popolazione generale di pazienti affetti da artrite reumatoide e confrontabili con il gruppo di controllo (0,27 e 0,18 per infarto del miocardio ed ictus, rispettivamente).

Inoltre non è stato osservato un aumento dell’incidenza di neoplasie nel tempo, né è stata riportata alcuna differenza fra pazienti trattati con rituximab ed i pazienti sottoposti a placebo (1,32 contro 1,17 su 100 pazienti/anno).

Questa analisi conferma che rituximab è un farmaco sicuro e generalmente ben tollerato anche sul lungo termine e dopo cicli ripetuti di trattamento. Il suo profilo di sicurezza è infatti coerente con quanto precedentemente pubblicato in letteratura per i pazienti con artrite reumatoide di grado moderato o severo.

Questi risultati indicano inoltre come le ripetute deplezioni di cellule B indotte da rituximab non determinino un aumentato rischio nel tempo o in percentuale di nessuna tipologia di evento avverso, incluse infezioni, eventi cardiovascolari, neoplasie ed eventi fatali.

“Complessivamente questi risultati sono incoraggianti e offrono al clinico rassicurazioni importanti circa la sicurezza sul lungo termine di rituximab nell’artrite reumatoide” – concludono gli autori.

Francesca Sernissi

Riferimenti
(1) van Vollenhoven RF, Emery P, Bingham CO 3rd, Keystone EC, Fleischmann RM, Furst DE, Tyson N, Collinson N, Lehane PB. Long-term safety of rituximab in rheumatoid arthritis: 9.5-year follow up of the global clinical trial programme with a focus on adverse events of interest in RA patients. Ann Rheum Dis. 2013 Sep 1;72(9):1496-502.