I reumatologi attualmente non dovrebbero raccomandare ai loro pazienti l’uso terapeutico di marijuana a fini analgesici, per alleviare il dolore cronico. L’affermazione perentoria si legge in un nuovo lavoro di prossima pubblicazione su Arthritis Care & Research.

Infatti, l’efficacia e la sicurezza di questo rimedio per alleviare i sintomi di malattie come l’artrite reumatoide, il lupus o la fibromialgia non sono confermate dalle evidenze scientifiche, e in più non ci sono dati sul dosaggio più appropriato, scrivono Mary-Ann Fitzcharles, della McGill University di Montreal, e i suoi colleghi.

"Le pressioni delle associazioni di pazienti per avere accesso ai trattamenti a base di cannabinoidi hanno spinto le agenzie regolatorie di tutto il mondo a prendere in considerazione la possibilità di legalizzare la cannabis a scopo terapeutico" scrivono gli autori dello studio.

Negli Usa, la marijuana per uso medico è stata finora legalizzata in 20 Stati, per cui i reumatologi dovranno prepararsi a rispondere alle domande dei pazienti sulla base delle migliori informazioni ed evidenze disponibili, avvertono i ricercatori.

Varie indagini hanno suggerito che il dolore provocato dall’artrite è una delle ragioni principali per cui i pazienti fanno uso terapeutico di marijuana medica ed è la diagnosi per cui la si utilizza nei due terzi dei pazienti canadesi in cui ne è stato autorizzato l’impiego.

La pianta di marijuana si usa da secoli per alleviare il dolore, nonché per i suoi effetti sul sonno e sull'umore, ampiamente mediati dall’interazione del tetraidrocannabinolo (THC) con i recettori del sistema endocannabinoide.

Un grave ostacolo all'accettazione della marijuana per uso medico è l'ampia variazione delle concentrazioni dei principi attivi da pianta a pianta, nel caso del THC variabili dall'1 al 30%, e di conseguenza anche dei livelli ematici di queste molecole, a loro volta variabili tra i 7 e i 100 ng/ml nei consumatori di cannabis per via inalatoria.

Inoltre, segnalano i ricercatori, anche nelle realtà in cui la marijuana è legalizzata, la maggior parte degli utenti deve procurarsela illegalmente.

"Pertanto, ora come ora, la mancanza dei requisiti più elementari per una somministrazione responsabile del farmaco deve far rimettere in discussione qualsiasi uso delle foglie di cannabis per il trattamento dei dolori reumatici" affermano la Fitzcharles i suoi collaboratori.

Finora le prove di efficacia nella malattia reumatologica sono scarse, segnala il gruppo. Uno studio randomizzato ha testato un farmaco a base di cannabis noto come nabiximolo in 58 pazienti colpiti da artrite reumatoide, evidenziando vantaggi significativi sia per il dolore al risveglio, sia su quello a riposo e durante il movimento, nonché sulla qualità del sonno, sui punteggi di attività della malattia e sulla percezione del dolore dei pazienti.

In due studi su un'altra versione di sintesi del THC, un gruppo di pazienti con fibromialgia ha mostrato miglioramenti sul fronte del dolore e degli effetti sul sonno simili a quelli ottenuti con amitriptilina.

Tuttavia, le indagini si basavano su autodiagnosi e autotrattamento e finora non è mai stato fatto nessuno studio formale sulla sicurezza o l’efficacia della pianta in ambito reumatologico, segnalano gli autori

"Anche se ci sono buone evidenze di efficacia dei cannabinoidi per il trattamento di alcune situazioni di dolore cronico, come quello oncologico e quello neuropatico, questi tipi di dolore hanno alla base differenti meccanismi rispetto a quello per lo più periferico/nocicettivo delle malattie reumatiche" sottolineano i ricercatori.

Tra i rischi potenziali associati all'uso della marijuana vi sono i suoi effetti psicomotori e sul funzionamento cognitivo, con un rallentamento dei tempi di reazione e del controllo motorio e un’alterazione della memoria a breve termine che possono persistere per ore.

Una particolare preoccupazione riguarda la guida. Infatti, ricordano la Fitzcharles e gli altri autori, le alterazioni, rilevanti, possono perdurare fino a un giorno intero dopo una singola ingestione, ma essere in grado di guidare è importante per i pazienti con malattie come l'artrite reumatoide al fine di mantenere la propria autonomia e la propria indipendenza.

Altri rischi possibili sono quello di effetti negativi sull'umore, in particolare quello di depressione, e di sviluppare dipendenza. Inoltre, uno studio a lungo termine sui giovani svedesi ha evidenziato che in caso di consumo frequente si ha un aumento di più di due volte del rischio di cancro ai polmoni.

Infine, gli autori affermano che la difesa e l'uso della marijuana medica ha messo gli operatori sanitari di fronte a un "dilemma", nel senso che devono avvertire i pazienti sui possibili rischi, ma sulla base di pochi  dati inadeguati, e se scelgono di "prescrivere" marijuana devono essere competenti su tale trattamento e avere "una ragionevole conoscenza dei cannabinoidi e del sistema endocannabinoide".

"Semplicemente accondiscendere alle richieste del paziente solo sulla base della pressione sociale, senza una conoscenza completa di un dato agente, non è conforme agli standard etici della pratica medica” scrivono la Fitzcharles e i suoi collaboratori.

Inoltre, conclude il gruppo, “i reumatologi dovrebbero spingere per fare ulteriori studi su singoli cannabinoidi in cui si possa controllare il dosaggio con precisione e si possano valutare efficacia e sicurezza con il metodo scientifico standard”.

M. Fitzcharles, et al. The dilemma of medical marijuana use by rheumatology patients- Arthritis Care Res 2014; doi: 10.1002/acr.22267.