Nei pazienti colpiti da artrite reumatoide, un trattamento aggressivo volto a raggiungere un punteggio del DAS (Disease Activity Score) non superiore a 2,4 (indice di una bassa attività della malattia) è risultato associato a tassi di mortalità non significativamente diversi da quelli osservati nella popolazione generale in uno studio olandese durato 10 anni. Lo studio, chiamato Behandel Strategieen (BeST), è stato presentato di recente al Boston, al congresso dell’American College of Rheumatology.

Indipendentemente dal regime terapeutico scelto, mantenere il punteggio del DAS non superiore a 2,4 si associa a un minor grado di infiammazione, ha spiegato Iris Markusse del Leiden University Medical Center. “Storicamente, quando l'infiammazione non era contrastata così efficacemente come oggi, i pazienti con artrite reumatoide mostravano un rischio di mortalità significativamente superiore a quello della popolazione generale ... ma con un trattamento intensivo l’infiammazione può essere controllata così bene da non influire più sulla sopravvivenza globale" ha detto la reumatologa.

Lo studio BeST ha coinvolto 508 pazienti con artrite reumatoide attiva di recente insorgenza arruolati dal marzo 2000 fino all’agosto 2002. In questo gruppo gli autori hanno confrontato le percentuali di sopravvivenza rispetto a quelle della popolazione generale olandese e hanno cercato di definire i fattori di rischio di decesso durante i 10 anni dello studio.

Il trial è stato progettato come uno studio di confronto a quattro bracci, volto a valutare l’ordine ottimale d’uso degli agenti antireumatici attualmente disponibili, valutando come outcome il miglioramento delle abilità funzionali e la prevenzione del danno radiologico.

I pazienti sono stati trattati inizialmente con quattro regimi differenti: una monoterapia sequenziale con metotressato, una terapia step-up con metotressato, metotressato più sulfasalazina e prednisone oppure metotressato e infliximab. Per tutti i pazienti, l'obiettivo del trattamento era il raggiungimento di un DAS non superiore a 2,4 e la risposta al trattamento è stata misurata ogni 3 mesi.

I pazienti che avevano iniziato la monoterapia con metotressato e alla visita di controllo avevano ancora un punteggio del DAS superiore a 2,4 sono stati sottoposti a uno step ulteriore, che comprendeva l'aggiunta di altri farmaci o il passaggio ad altre terapie, a seconda delle necessità. Al contrario, se l'attività della malattia rimaneva bassa per almeno 6 mesi consecutivi, nei pazienti trattati con la terapia combinata la terapia è stata ridotta in modo da passare a una monoterapia di mantenimento. Dopo il terzo anno dello studio, i pazienti che erano riusciti a fare la monoterapia di mantenimento per almeno 6 mesi, dovevano sospendere anche l’ultimo farmaco.

Nel corso dello studio, circa l'80% dei partecipanti ha raggiunto uno stato di bassa attività della malattia, il 45% la remissione e il 15% la remissione in assenza di farmaci, ha riferito l’autrice in una conferenza stampa tenutasi durante il congresso.

Dei 508 partecipanti, 72 sono morti a un'età media di 75 anni; i decessi si sono verificati in 16 dei 126 pazienti sottoposti alla monoterapia con il metotressato, 15 dei 121 sottoposti alla terapia con metotressato step-up, 21 dei 133 del gruppo trattato con metotressato più sulfasalazina e prednisone e 20 dei 128 trattati con metotressato più infliximab. I decessi attesi sulla base della mortalità della popolazione generale olandese erano 62 e la differenza tra i dato atteso e quello osservato non è statisticamente significativa.

Mentre il rischio di mortalità non ha mostrato differenze significative tra i bracci di trattamento, lo studio ha evidenziato che diversi fattori di rischio sono risultati associati a una mortalità più elevata: un’età avanzata all’inizio dello studio, il sesso maschile, il fumo e punteggi iniziali più bassi dell’Health Assessment Questionnaire. Il fattore di rischio più significativo è risultato il fumo al basale ( hazard ratio 5,19; IC al 95% 3,08-8,75).

Gli autori concludono che nei pazienti con artrite reumatoide trattati in modo da raggiungere un target di bassa attività della malattia, i tassi di mortalità sono simili a quelli della popolazione generale.

Pertanto, aggiungono,  “i reumatologi potrebbero ridurre la mortalità trattando tutti i pazienti in modo da raggiungere una bassa attività di malattia e incoraggiando i pazienti a smettere di fumare”.

I.M. Markusse, et al. Mortality in a Large Cohort of Patients with Early Rheumatoid Arthritis That Were Treated-to-Target for 10 Years. ACR 2014; abstract 817.