I regimi interferon free garantiscono il raggiungimento della risposta virologica sostenuta (Svr) in un’altissima percentuale di pazienti con infezione da virus dell’epatite C di genotipo 1. Ma tali regimi hanno la stessa efficacia anche nelle ricorrenze dell’infezione in pazienti trapiantati?

A questa domanda hanno risposto esperti internazionali in un lavoro pubblicato sulla rivista Gastroenterology, in cui la terapia a base di sofosbuvir e ribavirina per 24 settimane ha permesso il raggiungimento della Svr nel 70% dei casi.

Le ricorrenze dell’infezione da virus dell’epatite C sono la principale causa di morte e di rigetto d’organo nei soggetti trapiantati. Questi individui se mostrano livelli dosabili di Rna per l’Hcv al momento del trapianto, è molto probabile che avranno ricorrenze dell’infezione che sono la principale causa di fallimento d’organo.

Le opzioni terapeutiche per questa particolare tipologia di pazienti infetti sono scarse ed è ben noto che i regimi a base di interferone alfa in questi casi sono poco tollerati, sono associati a efficacia modesta e possono interagire con agenti immunosoppressivi.

L’aggiunta del telaprevir o del boceprevir a un regime con peghinterferone e ribavirina aumenta l’efficacia del trattamento ma allo stesso tempo aumenta anche l’incidenza di effetti collaterali gravi fino alla morte.
In questo studio pilota, prospettico, multicentrico, in aperto sono stati arruolati pazienti compensati con ricorrenze dell’infezione (di tutti i genotipi) dopo trapianto primario o secondario di fegato. L’arruolamento è avvenuto tra ottobre 2012 e febbraio 2014 presso 12 siti internazionali.

L’endpoint primario era la risposta virologica sostenuta dopo 12 settimane di trattamento (Svr12) il che significala capire se questo regime terapeutico potesse coprire questo “unmet clinical need”, come lo definiscono gli stessi autori.
Tutti i pazienti hanno ricevuto sofosbuvir, potente inibitore della polimerasi NS5B, per 24 settimane alla dose di 400 mg al giorno, che è stato aggiustato in accordo con la clearance della creatinina e con i valori di emoglobina.
Dei 40 pazienti arruolati e trattati, il 78% erano maschi, l’85% erano bianchi, l’83% avevano genotipo 1, il 40% aveva cirrosi e l’88% era stato trattato in precedenza con interferone.

Il 70% dei pazienti stava ricevendo tacrolimus per mantenere l’ immunosoppressione.
L’Svr è stata raggiunta da 28/40 pazienti (70%; IC 90%, 56%-82%). Le ricadute rappresentavano tutti i casi di fallimento virologico.  Nessun paziente ha avuto resistenze virali rilevabili.

Gli eventi avversi (EA) più comuni sono stati affaticamento (30%), diarrea (28%) e mal di testa (25%). In più, il 20% dei soggetti ha sviluppato anemia. Due pazienti hanno interrotto il trattamento per EA non collegati al trattamento.

Non ci sono stati casi di morte, rigetto del trapianto o d’organo e neanche interazioni con agenti immunosoppressivi concomitanti.

Il sofosbuvir non ha interagito con nessuno degli agenti immunosoppressori usati in concomitanza, che includevano il tacrolimus (28 pazienti, 70%), micofenolato (14 pazienti, 35%), prednisone (11 pazienti, 28%), ciclosporina (10 pazienti, 25%) e azatioprina (2 pazienti, 5%).

Le limitazione di questo studio riguardano l’ampiezza del campione, il non aver arruolato pazienti con genotipo 2 e che i soggetti avevano tutti una patologia epatica compensata.

In conclusione, gli autori sottolineano che il risultato più importante di questo studio è che dopo un trattamento di 24 settimane con sofosbuvir e ribavirina (senza interferone) il 70% dei pazienti trapiantati raggiunge la risposta virologica sostenuta. L’aggiunta di altri agenti antivirali orali alla terapia basata sul sofosbuvir garantirà un’efficacia ancora più elevata e con una durata del trattamento inferiore. Questi studi, come evidenziano gli stessi autori, sono al momento ongoing.

Emilia Vaccaro

Charlton M. et al. Sofosbuvir and Ribavirin for Treatment of Compensated Recurrent Hepatitis C Virus Infection After Liver Transplantation. Gastroenterology. 2014 Oct 7. pii: S0016-5085(14)01194-9. doi: 10.1053/j.gastro.2014.10.001.
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