La carenza di vitamina D è associata a un rischio aumentato in modo consisente di demenza di qualsiasi origine e di malattia di Alzheimer (AD). La conferma giunge da un ampio studio prospettico internazionale, apparso online su Neurology, che va a incrementare il dibattito in corso sul ruolo della vitamina D in condizioni non inerenti l’apparato scheletrico.

«Il nostro obiettivo era quello di valutare se basse concentrazioni sieriche di vitamina D fossero associate a un aumentato rischio di nuovi casi di demenza di qualsiasi origine e di AD» ribadisce il senior investigator, David J. Llewellyn, della University of Exeter Medical School (UK).

Sono stati coinvolti 1.658 soggetti adulti anziani non ospedalizzati e liberi da demenza, malattia cardiovascolare e ictus e che avevano partecipato tra il 1992 e il 1999 allo studio di popolazione americano Cardiovascular Health Study. Sono state determinate le concentrazioni sieriche di 25-idrossivitamina D [25(OH)D)] mediante cromatografia liquida con spettrometro di massa da campioni ematici raccolti nel periodo 1992-1993. I nuovi casi di demenza e di AD sono stati valutati durante il follow-up secondo i criteri della Neurological and Communicative Disorders and Stroke/Alzheimer’s Disease and Related Disorders Association.

Nel corso di un follow-up medio di 5,6 anni, 171 partecipanti hanno sviluppato una forma di demenza, compresi 102 casi di AD. Impiegando modelli di rischio proporzionale di Cox, i rapporti di rischio corretti per nuovi casi di demenza nei partecipanti che erano gravemente carenti in 25(OH)D (<25 nmol/L) e carenti (da =/>25 a <50 nmol/L) sono risultati rispettivamente pari a 2,25 e 1,53 in confronto ai partecipanti con concentrazioni sufficienti di 25(OH)D (=/>50 nmol/L).

I rapporti di rischio multivariati corretti per nuovi casi di AD in partecipanti gravemente carenti in 25(OH)D e carenti, confrontati a quelli con concentrazioni sufficienti, sono risultati pari a 2,22 e 1,69. Un’ulteriore analisi ha evidenziato come il rischio di demenza in generale e di AD aumentasse in modo marcato al di sotto di una soglia di 50 nmol/L di 25(OH)D.

Tutti i rapporti di rischio sopracitato hanno tenuto conto, in particolare, di età, genere, indice di massa corporeo, abitudine al fumo, periodo della raccolta del campione ematico, assunzione di alcool, presenza di sintomi depressivi.

«Abbiamo osservato una forte associazione monotonica tra concentrazioni di 25(OH)D e il rischio di nuovi casi sia di demenza sia di AD» osservano Llewellyn e collaboratori. «Questa associazione è apparsa robusta per un vasto spettro di possibili fattori confondenti».
Gli autori, infine, hanno analizzato i possibili meccanismi che possono spiegare la correlazione tra la carenza di vitamina D e la comparsa di demenza e di AD. «Sia i recettori dell’1,25-diidrossivitamina D3 sia l’1-alfa-idrossilasi (enzima responsabile della sintesi della forma attiva della vitamina D) sono stati riscontrati ampiamente nel cervello» ricordano.

Inoltre, aggiungono, «in vitro la vitamina D aumenta la clearance da parte dei fagociti delle placche amiloidi attraverso la stimolazione dei macrofagi e riduce la citotossicità indotta dall’amiloide e l’apoptosi nei neuroni primari corticali. Studi su modello animale hanno evidenziato la capacità della molecola di ridurre il declino dell’apprendimento e della memoria. Precedenti studi hanno anche dimostrato che la carenza di vitamina D nell’anziano è associata a declino cognitivo La carenza di vitamina D infine è stata correlata a disfunzione vascolare e rischio di ictus ischemico così come ad atrofia cerebrale, mentre recenti metanalisi hanno evidenziato una correlazione con un aumentato rischio di nuovi infarti dei grossi vasi».

Arturo Zenorini
Lillejohns TJ, Henley WE, Lang IA, et al. Vitamin D and the risk of dementia and Alzheimer disease. Neurology 2014 Aug 6. [Epub ahead of print]
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