I pazienti con un cancro al polmone non a piccole cellule e con mutazioni dell’EGFR trattati in prima linea con bevacizumab più erlotinib hanno mostrato una sopravvivenza libera da progressione (PFS) superiore rispetto a quelli trattati con il solo erlotinib in uno studio multicentrico di fase II pubblicato di recente su The Lancet Oncology.

Per questa popolazione di pazienti, "la combinazione di erlotinib più bevacizumab potrebbe rappresentare un nuovo regime di prima linea" scrivono gli autori, guidati da Takashi Seto, dell’Università di Kyoto. Pertanto, aggiungono, "vale la pena di fare ulteriori studi su questo regime".

L’uso degli inibitori tirosin-chinasici dell’EGFR in monoterapia nei pazienti con NSCLC con mutazioni attivanti del recettore ha prolungato la PFS, portandola a circa 12 mesi, spiegano i ricercatori nell’introduzione del lavoro. Ciononostante, aggiungono, per questa popolazione di pazienti servono nuove strategie in grado di prolungare ulteriormente la sopravvivenza, sia quella complessiva sia quella libera da progressione, con una tossicità accettabile.

In un lavoro precedente, lo studio di fase III phase 3 BeTa, un’analisi su un sottogruppo di pazienti con mutazioni dell’EGFR, la combinazione di bevacizumab ed erlotinib, in seconda linea, aveva mostrato di prolungare in modo significativo la PFS rispetto al solo erlotinib. Tuttavia, sottolineano gli autori, questo risultato è il frutto di un’analisi post-hoc in uno studio nel quale i pazienti non erano stati stratificati a seconda dello stato delle mutazioni dell’EGFR da protocollo

Seto e i colleghi hanno quindi provato a combinare bevacizumab ed erlotinib e a valutarne l’effetto con uno studio randomizzato e in aperto nel quale hanno confrontato l'efficacia e la sicurezza della combinazione dei due farmaci rispetto al solo erlotinib in un gruppo di pazienti giapponesi con NSCLC in stadio IIIB/IV stadio o recidivato, con istologia non squamosa e con mutazioni attivanti dell'EGFR.

In totale, gli autori hanno arruolato 154 pazienti in 30 centri: Tutti i partecipanti avevano un performance status ECOG di 0 o 1 e non avevano fatto in precedenza alcuna chemioterapia per la malattia avanzata.

I pazienti sono stati assegnai in parti uguali al trattamento con 150 mg/die di erlotinib più bevacizumab 15 mg/kg una volta ogni 3 settimane oppure con erlotinib in monoterapia e hanno continuato fino alla progressione della malattia o alla comparsa di una tossicità non tollerabile dal paziente. L’endpoint primario era la PFS, valutata da revisori indipendenti, mentre gli endpoint secondari erano la sopravvivenza globale (OS), la risposta secondo i criteri RECIST 1.1, la qualità di vita, il miglioramento dei sintomi misurato con la scala FACXT-L e il profilo di sicurezza.

Nel gruppo assegnato alla combinazione la PFS mediana è risultata significativamente superiore rispetto al gruppo trattato con il solo erlotinib e pari, rispettivamente, a 16 mesi contro 9,7 (HR = 0,54; IC al 95% 0,36-0,79).

L’analisi sui diversi sottogruppi ha evidenziato, inoltre, che il beneficio dell’aggiunta di bevacizumab a eroltinib è superiore nei pazienti con delezioni dell’esone 19 del gene dell’EGFR rispetto a quelli con mutazioni Leu858Arg.

Al momento della pubblicazione del lavoro, i dati di OS non erano ancora maturi, riferiscono gli autori. Invece, la percentuale di risposta obiettiva è risultata numericamente, ma non significativamente superiore nel gruppo trattato con bevacizumab più erlotinib (69% contro 64% (P = 0,4591) così come la durata della risposta (13,3 mesi contro 9,3; P = 0,1118).

Tuttavia, nel gruppo trattato con la combinazione si è osservata una percentuale di controllo della malattia significativamente superiore (99% contro 88%; P = 0,0177).

I più comuni eventi avversi di grado 3 o superiore sono stati eruzione cutanea (con un’incidenza del 25% nel braccio trattato con la combinazione contro 19% nel braccio trattato con il solo erlotinib), ipertensione (60% contro 10%) e proteinuria (8% contro 0%). L’incidenza complessiva degli eventi avversi gravi, invece, è risultata simile nei due gruppi e pari rispettivamente al 24% e 25%.

“Per quanto ne sappiamo, questo è il primo studio randomizzato a mostrare un effetto clinicamente significativo della combinazione di un inibitore dell’EGFR con un altro farmaco biologico in pazienti con NSCLC con mutazioni attivanti dell’EGFR” scrivono Seto e i colleghi nella discussione.

Gli  autori fanno, inoltre, notare, di aver osservato una chiara separazione delle curve di sopravvivenza di Kaplan Meier fin dall’inizio del trattamento, nonostante l’impiego di erlotinib in entrambi i gruppi.

Alessandra Terzaghi

T. Seto, et al. Erlotinib alone or with bevacizumab as first-line therapy in patients with advanced non-squamous non-small-cell lung cancer harbouring EGFR mutations (JO25567): an open-label, randomised, multicentre, phase 2 study. Lancet Oncol. 2014; doi:10.1016/S1470-2045(14)70381-X.
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