Anche per i pazienti italiani arriva la rimborsabilità per un farmaco innovativo composto da sacubitril/valsartan, che ha dimostrato di ridurre la mortalità per cause cardiovascolari del 20% rispetto alla terapia di riferimento, determinando un prolungamento della sopravvivenza di un anno e mezzo, con punte fino a 2 anni, nei pazienti più giovani con scompenso cardiaco cronico con frazione d’eiezione ridotta. Sviluppato da Novartis è in commercio con il marchio Entresto.

Si tratta del primo di una nuova classe terapeutica, gli ARNI (antagonisti del recettore della neprilisina e del recettore dell’angiotensina) e rappresenta la prima grande innovazione terapeutica nel campo dello scompenso cardiaco cronico da almeno 15 anni a questa parte.

Fino ad oggi la terapia dello scompenso cardiaco si basava sull’inibizione neuro-ormonale del sistema renina-angiotensina e del sistema nervoso simpatico. Sacubitril/valsartan ha un meccanismo d’azione innovativo che consente, per la prima volta, di potenziare gli effetti del sistema dei peptidi natriuretici mantenendo contemporaneamente l’inibizione del sistema renina-angiotensina.“Siamo di fronte a un cambiamento radicale del nostro approccio al paziente con scompenso cardiaco – afferma Michele Senni, Direttore della Cardiologia 1 dell’Ospedale ‘Papa Giovanni XXIII’ di Bergamo - con il passaggio da un’inibizione a una modulazione neuro-ormonale.”

Una strategia di successo, come dimostrano anche i risultati di PARADIGM-HF, il più grande studio clinico mai condotto fino ad ora nello scompenso cardiaco cronico a frazione di eiezione ridotta, che ha coinvolto 18.400 pazienti nel mondo. “In questo trial – spiega Senni, coordinatore per lo studio in Italia – sacubitril/ valsartan è stato confrontato con enalapril, l’ACE-inibitore che rappresenta lo standard di terapia nello scompenso cardiaco. I risultati ottenuti rispetto a enalapril sono stati molto positivi sia in termini di riduzione della mortalità cardiovascolare del 20%, che dell’ospedalizzazione per scompenso cardiaco, ridotta del 21%, ma anche per la riduzione del 16% della mortalità per tutte le cause.”

Risultati questi che nella pratica clinica si traducono non solo in un allungamento dell’aspettativa di vita, ma anche in un miglioramento della sua qualità; la fame d’aria e la grave stanchezza tipiche dello scompenso, infatti, si riducono sensibilmente e il paziente può tornare gradualmente ad una vita più attiva.

Come funziona il nuovo farmaco
Il farmaco è una nuova molecola, data dall’associazione del valsartan, un farmaco ben noto che agisce come antagonista del recettore AT1, con il sacubitril, un inibitore della neprilisina. Questa associazione determina un meccanismo d’azione nuovo, che da una parte è il blocco dei recettori AT1 (dovuto al valsartan), dall’altra il blocco di questo enzima, la neprilisina che ha la funzione di degradare in particolar modo gli ormoni natriuretici. Bloccando la neprilisina si determina di conseguenza un aumento dei livelli degli ormoni natriuretici, prodotti dal cuore che, non tutti sanno, funziona non solo da pompa del sangue ma anche da ghiandola che produce ormoni.

Mentre fino ad oggi la strategia terapeutica dello scompenso cardiaco si basava sull’inibizione neuro-ormonale del sistema renina-angiotensina e del sistema nervoso simpatico, con il sacubitril-valsartan si aggiunge il potenziamento del sistema degli ormoni natriuretici, che ha un’azione benefica. Siamo di fronte quindi a un cambiamento radicale dell’approccio al paziente con scompenso cardiaco, con il passaggio da un’inibizione neuro-ormonale a una modulazione neuro-ormonale.

“Nell’approccio diagnostico terapeutico al paziente con scompenso cardiaco – afferma Claudio Rapezzi, Professore associato confermato presso Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale — DIMES, Università di Bologna e direttore dell'U.O. di Cardiologia, Policlinico Sant'Orsola Malpighi di Bologna - è necessario fare una diagnosi precisa e, se possibile, individuare e rimuovere la causa dello scompenso. Il paziente deve seguire una dieta alimentare corretta e attenersi alla terapia che gli viene prescritta. Questa è fatta di un cocktail di farmaci già ben definiti, ai quali oggi si è aggiunta la nuova classe degli ARNI, che rappresenta una novità importante per la terapia dello scompenso. Sacubitril/valsartan potrebbe essere indicato per circa un terzo di tutti i pazienti con scompenso cardiaco cronico.”

La vera innovazione della nuova opzione terapeutica per lo scompenso, è dunque quella di avere dentro di sè due farmaci da cui deriva un risultato finale in grado di aumentare la disponibilità dei peptidi natriuretici; tali peptidi sono in genere ormoni buoni che l’organismo secerne quando avviene lo scompenso, per averne un vantaggio, come l’aumento della diuresi, la riduzione di acqua e di sodio nell’organismo, l’abbassamento delle resistenze periferiche delle arterie.
Lo specifico vantaggio, dunque, è proprio la possibilità di poter aumentare farmacologicamente tali peptidi, senza provocare contemporaneamente un’inibizione di altre sostanze.

I dati a supporto dell’approvazione del farmaco: lo studio PARADIGM-HF
Nello studio di fase III, denominato PARADIGM-HF, il farmaco ha ridotto del 20% e del 21% il rischio di morte per cause cardiovascolari del 21% le ospedalizzazioni e del 16% la mortalità per tutte le cause. PARADIGM-HF è il più grande studio fino ad oggi condotto nello scompenso cardiaco cronico avendo coinvolto 8.400 pazienti. In questo trial, sacubitril-valsartan è stato confrontato con l’enalapril, l’ACE-inibitore che rappresenta lo standard di terapia nello scompenso cardiaco. I risultati ottenuti con sacubitril-valsartan sono stati molto positivi sia in termini di riduzione della mortalità cardiovascolare che dell’ospedalizzazione per scompenso cardiaco, ma anche per la riduzione della mortalità globale, che rispetto all’enalapril con questo nuovo farmaco risulta ridotta di circa il 20%. Si tratta dunque di un risultato altamente significativo in termini statistici.

Un farmaco prodotto in Italia
Frutto della ricerca Novartis, il farmaco viene prodotto in Italia, presso lo stabilimento di Torre Annunziata (Napoli), per tutto il mercato mondiale, con la sola eccezione degli Usa. Quello di Torre Annunziata è, infatti, uno dei più importanti poli industriali del Gruppo Novartis e tra i maggiori insediamenti farmaceutici del Mezzogiorno, con circa 500 dipendenti e un indotto diretto di un altro centinaio di persone.
Nel 2016 il sito ha prodotto complessivamente 89 milioni di confezioni di farmaci in forma solida (compresse), destinate ad oltre 100 paesi, e si prevede che entro il 2020 produrrà 35 milioni di confezioni di Entresto per il trattamento di 25 milioni di pazienti di 112 paesi nel mondo (con la sola esclusione degli Stati Uniti), andando così a coprire oltre il 50% della domanda totale.
“L’Italia offre da sempre un contributo importante alla Ricerca e Sviluppo internazionale, mettendo a disposizione risorse professionali qualificate e una solida rete di collaborazioni con le più autorevoli realtà nazionali della ricerca medica” – ricorda Giuseppe Maiocchi, Responsabile Medico area Cardio Metabolica di Novartis in Italia - “Ma il nostro Paese riveste anche un ruolo di primo piano nella produzione industriale in ambito cardio metabolico grazie alla presenza del nostro centro di Torre Annunziata, un’ eccellenza italiana in questo settore, oltre che un polo di rilievo per l’economia nazionale.”

I numeri dello scompenso in Italia
Lo scompenso cardiaco colpisce l’1-2% della popolazione italiana, circa 1 milione di persone. In Italia causa circa 190 mila ricoveri l’anno, che generano una spesa totale di circa 3 miliardi €/anno. Lo scompenso cardiaco è un importante problema di salute pubblica e lo diventerà sempre più per l’invecchiamento della popolazione e il progresso del trattamento delle malattie cardiovascolari (coronaropatie e valvulopatie). Poco conosciuto in generale, lo scompenso cardiaco è la prima causa di morte tra le patologie cardiovascolari in Italia. La mortalità a 5 anni dopo un ricovero per scompenso cardiaco è del 40-50%³, 1 paziente su 4 muore entro 1 anno dalla diagnosi.