Toglietevelo dalla testa, in tutti i sensi: la sindrome dell’intestino irritabile, a lungo considerata malattia psicosomatica, non è una patologia “inventata” né una serie di fastidi che nascono dallo stato psicologico, ma una vera malattia. È piuttosto un quadro gastrointestinale con molteplici sintomi, variamente associati tra loro, di intensità e frequenza diversa, con momenti di relativo benessere che si alternano a fasi di riaccensione dei disturbi. Ed è una pessima compagna di strada che condiziona la  vita di molti pazienti – in Italia sono oltre il 7 per cento della popolazione, in prevalenza femminile – e che, nelle sue manifestazioni più gravi, la sconvolge profondamente.

Dolore addominale, sensazione di distensione dell’addome e meteorismo, accompagnati da stipsi e/o diarrea sono i segnali che debbono inviare all’attenzione del medico, evitando l’abuso di farmaci “fai da te” da parte del paziente.

“Purtroppo, sulle cause di questa patologia sappiamo ancora poco, malgrado siano state riscontrate numerose alterazioni, ognuna delle quali, però, non consente di identificare in modo univoco la malattia – afferma Enrico Stefano Corazziari, Professore di Gastroenterologia all’Università di Roma La Sapienza – molti studi ipotizzano una disfunzione del sistema immunitario, altri puntano il dito sulla ipersensibilità viscerale presente in molti pazienti”. Resta il fatto che quando fino a qualche decennio fa veniva considerato una sorta di “proiezione” del cervello sul tubo digerente è oggi considerato una malattia “microrganica”, che come tale va riconosciuta, diagnosticata e correttamente trattata con un approccio su misura per ogni paziente.

Le caratteristiche di questa patologia e i numerosi problemi che comporta sono al centro del convegno promosso da Public Health & Health Policy, rivista di economia e politica sanitaria, dal titolo “La sindrome dell’Intestino Irritabile: malattia sociale tra complessità terapeutiche, innovazione e sostenibilità”.

L’evento si è tenuto a Roma all’Istituto Superiore di Sanità, e ha visto la partecipazione di rappresentanti delle istituzioni e del mondo advocacy, oltre ai massimi esponenti della gastroenterologia nazionale, con l’obiettivo di individuare le strategie capaci di offrire soluzioni adeguate per un delicato ambito sanitario nel quale mancano ancora troppe risposte sul piano diagnostico e  assistenziale. Questo, anche per “… l’assenza di specifiche iniziative in materia di politica sanitaria – commenta la senatrice Emanuela Baio, presidente di IBSCOM, il Comitato per la Sindrome dell’Intestino Irritabile – che confermano l’esistenza di una preoccupante disattenzione istituzionale in materia che con il nostro impegno ci prefiggiamo di contrastare”.

Il quadro sanitario, a detta dei partecipanti, è oggi scarsamente riconosciuto ed è caratterizzato da diagnosi il più delle volte tardive perché spesso sottovalutate dai pazienti e spesso dagli stessi medici, nel quale i sintomi sono contrastati in modo inadeguato con un frequente e casuale ricorso dei pazienti al  dannoso “fai da te” o, ancor peggio, con suggerimenti trovati sulla rete. “Oggi è dimostrato che la sindrome dell’intestino irritabile  è una vera e propria patologia micro - organica - ha dichiarato Vincenzo Stanghellini, Professore Ordinario di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna – e, come specialisti, abbiamo il dovere di diffondere questa informazione. È necessario creare una partnership che veda il paziente adeguatamente informato – ha proseguito Stanghellini - e in grado di fare da ponte tra lo specialista e il medico di medicina generale, essendo così il vero protagonista del proprio percorso di cura”.

Fondamentale è quindi che questa patologia “dimenticata” sia al più presto oggetto di una diversa e maggiore attenzione da parte del Servizio Sanitario Nazionale che renda più agevole l’accesso ai percorsi diagnostico-terapeutici e, almeno per i casi più gravi, alle terapie rese disponibili dall’innovazione e in grado di offrire sollievo rispetto a condizioni di vita spesso devastate. Non va sottovalutato infine il problema dei costi per il sistema sanitario e per il singolo. Diverse osservazioni internazionali, che hanno considerato anche la situazione italiana, dimostrano che la sindrome dell’intestino irritabile, nelle sue diverse forme, oltre a produrre gravi ripercussioni sia dal punto di vista personale che sociale, genera costi socio-sanitari di notevole importanza – soprattutto generati dai ricoveri ospedalieri – sovrapponibili a quelli di altre patologie quali il diabete, l’ipertensione e le osteoartriti. Costi che, con una maggior risposta sanitaria sul piano diagnostico e terapeutico, potrebbero essere sensibilmente ridotti.