“L’epidemiologia dell’infezione da HIV è profondamente cambiata negli ultimi anni. Da una malattia che interessava principalmente i giovani, soprattutto tossicodipendenti, è diventata una patologia che riguarda tutta la popolazione, in cui i rapporti sessuali sono diventati la prima causa di trasmissione. In Italia si registrano 4mila nuovi casi di infezione da HIV ogni anno ed è difficile abbattere questa numerosità.

Il mondo dell’HIV, però, sta vivendo una fase rivoluzionaria, caratterizzata da una nuova visione globale e a lungo termine della salute del paziente, anche grazie alla recente introduzione di importanti novità terapeutiche".

Questa la fotografia attuale dell’infezione da HIV descritta dal Prof. Massimo Andreoni, Direttore U.O.C. Malattie Infettive e Day Hospital Dipartimento di Medicina del Policlinico Tor Vergata di Roma, in occasione di un incontro che si è svolto a Roma, a cui hanno partecipato esperti della malattia e rappresentati delle associazioni di pazienti per confrontarsi sul nuovo scenario.

L’evento è stato organizzato a pochi giorni dalla chiusura dell’annuale CROI (Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections) di Seattle, e all’apertura del “PROs (Patients Reported Outcomes), un’opportunità per guadagnare in salute globale”.

Tra i cambiamenti di rilievo nell'ambito della terapia dell'infezione da HIV, è da segnalare l'arrivo in Italia della prima terapia a base di TAF, per il trattamento di adulti e adolescenti infetti da virus dell'immunodeficienza umana 1 (HIV-1), contenente i principi attivi elvitegravir, cobicistat, emtricitabina e tenofovir alafenamide.

“È un importante rinnovamento nella classe degli inibitori nucleosidici/nucleotidici della trascrittasi inversa (NRTI), la classe “storica” per eccellenza in terapia antiretrovirale” sottolinea Andrea Antinori, Direttore U.O.C. Immunodeficienze Virali, Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, IRCCS, Roma.

“In una classe per anni dominata dal tenofovir disoproxil fumarato (TDF), l’arrivo del tenofovir alafenamide (TAF), nuovo pro-farmaco di tenofovir comporta una superiore concentrazione intracellulare (nei linfociti infettati dal virus ad esempio) e più bassa concentrazione extracellulare, con una conseguente significativa riduzione delle principali tossicità d’organo (rene, osso) legate alla esposizione a TDF. Eguale efficacia virologica, minore tossicità e quindi superiore efficacia clinica per TAF rispetto a TDF. Un significativo passo in avanti per terapie più tollerabili, più facili da assumere, più efficaci e durature in una logica di esposizione alla terapia "long-life”.

Si tratta solo dell’ultima conquista che avvicina ancora di più il traguardo di una vita ‘con’, sempre più equiparabile a quella ‘senza’, HIV. Sulla “long life”, infatti, delle persone con HIV si concentrano le sfide di tutta la comunità scientifica e delle Associazioni di pazienti.

I pazienti con HIV oggi vivono più a lungo e sono quindi esposti a un maggior rischio di sviluppare delle patologie che non sono legate solo alla loro malattia, ma anche all’invecchiamento, allo stile di vita e all’esposizione cronica alle terapie antiretrovirali.

“Queste comorbidità nei sieropositivi si manifestano prima rispetto al corrispondente sieronegativo di pari età”, sottolinea Andreoni. “Un aumentato rischio cardiovascolare e un generale, più celere, processo di invecchiamento: oggi sono queste le principali direttrici dell’evoluzione dell’approccio al trattamento e alla gestione dell’HIV con una visione sempre più polispecialistica".

Il prolungamento della sopravvivenza, la soppressione virologica e la prevenzione della trasmissione dell’infezione rimangono obiettivi fondamentali nel trattamento dell’HIV, ma oggi più che mai è necessario prestare maggior attenzione alla salute globale del paziente. In questo senso uno strumento utile è rappresentato proprio dai Patient Reported Outcomes su cui oggi si apre un convegno dedicato.

“’Cosa mi aspetto dalla vita?’ Un interrogativo che, oggi, le persone con HIV possono rivolgersi al pari delle altre. Ecco perché è importante promuovere ogni nuovo strumento utile a calibrare al meglio il percorso di cura, come ad esempio l’utilizzo dei Patient Reported Outcomes nella pratica clinica” afferma Simone Marcotullio, Co-chair dell’incontro. “I Patient Reported Outcomes possono davvero essere lo strumento operativo per un approccio proattivo e preventivo per la salute globale della persona”

La misurazione di aspetti della vita del paziente come il benessere fisico e psicologico, l’aderenza, i sintomi, ecc. riportati dal paziente stesso senza intermediazione del medico o di altre figure, si è rivelata estremamente utile nella gestione clinica dell’infezione da HIV. Come spiega Antonella Cingolani, Co-chair dell’incontro e Dirigente Medico e Ricercatore Universitario presso l’Università Cattolica S. Cuore, Fondazione Policlinico A. Gemelli.

“È dimostrato che sintomi riportati dai pazienti siano più strettamente correlati con misure di qualità della vita rispetto a quanto riportato dal medico. Inoltre più elevati livelli di sintomatologia riportati dai pazienti, o dubbi riguardo a possibili effetti collaterali, sono associati a più bassi livelli di aderenza alla terapia e quindi ad un rischio aumentato di fallimento terapeutico e di progressione della malattia e a un rischio aumentato di interruzione del rapporto di fiducia con il proprio medico curante”.

Sono oggi tanti i passi in avanti fatti e gli strumenti a disposizione ma c’è ancora un’area legata all’infezione da HIV, quella delle condizioni sociali, che non evolve altrettanto rapidamente e che rimane ancora saldamente ancorata al passato.

“Le condizioni sociali delle persone con HIV sono per molti aspetti rimaste quelle di 20 anni fa. Il timore di essere rifiutati, discriminati e trattati diversamente costringe tante persone con HIV a vivere nell’ombra. E questo ha delle conseguenze inevitabili in termini di accesso al test e alle terapie . Abbiamo bisogno di interventi che affrontino la complessità del benessere delle persone con HIV, cercando di smantellare il muro di sospetto che le tiene separate da chi si considera sieronegativo” conclude Giulio Maria Corbelli, Vice Presidente Plus Onlus.