I due nuovi antivirali ad azione diretta, telaprevir e boceprevir , approvati di recente per il trattamento dell’epatite C, sono risultati efficaci anche nei pazienti coinfettati HIV, secondo quanto emerge da due studi distinti di fase II, presentati a Seattle in occasione della Conference on Retroviruses and Opportunistic infections (CROI) e accolti con grande favore dalla comunità scientifica.

Con entrambi i farmaci, abbinati alla terapia standard anti-epatite C (interferone pegilato più ribavirina), si è ottenuto in questi soggetto un miglioramento del 30% delle percentuali di eradicazione virale rispetto alla sola terapia standard.

David Thomas, della Johns Hopkins University, moderatore della conferenza stampa di presentazione, ha però invitato a frenare un po’ gli entusiasmi, visto che il carattere provvisorio dei dati. Entusiasmi, secondo lo specialista, legati alla contraddizione insita nel fatto che i medici avvertono un senso di urgenza nel trattare i pazienti sieropositivi e con l'epatite C, mentre "dati più sostanziali" non saranno disponibili prima di un anno e mezzo, quando inizieranno a essere disponibili i risultati degli studi di fase III.

Sia telaprevir e boceprevir hanno avuto da Ema ed Fda l’indicazione per il trattamento dell'epatite C nei pazienti monoinfetti, ma non quelli confettati anche dal virus HIV.

Entrambi gli studi presentati al congresso americano hanno confrontato l’efficacia dei due nuovi antivirali, ognuno combinato con la terapia standard, con quella della sola terapia standard. Nelle due analisi, gli autori hanno definito come cura il raggiungimento della risposta virologica sostenuta, cioè la non rilevabilità dell’RNA del virus HVC 12 settimane dopo la fine del trattamento.

Nello studio su telaprevir, denominato studio 101, l’analisi intention-to-treat su 60 pazienti ha evidenziato che una percentuale di cura del 74% nel braccio telaprevir più terapia standard contro 45% nel braccio trattato con la sola terapia. Il primo autore del lavoro, Douglas Dieterich, della Mount Sinai School of Medicine di New York, ha definito il risultato come un "enorme passo in avanti " per il trattamento dei pazienti coinfetti persone.

Per boceprevir, i numeri assoluti sono leggermente inferiori, ma la differenza tra i bracci è risultata simile a quella dello studio su telaprevir, ha spiegato il primo autore Mark Sulkowski, della Johns Hopkins University. Infatti, su 98 pazienti, il 60,7% dei soggetti trattati con boceprevir in combinazione con la terapia standard ha ottenuto l’eradicazione virale contro il 26,5% dei pazienti trattati con il solo standard.

Sia Dieterich e Sulkowski, sostanzialmente in accordo con Thomas, hanno suggerito che tra i medici c'è una gran voglia di usare questi farmaci sui pazienti prima ancora che siano disponibili i dati della fase III e che i due agenti siano approvati anche per la coinfezione HCV/HIV.
In attesa di questi dati, "che cosa dovrebbero fare i pazienti?" si è chiesto Sulkowski, sottolineando che questi studi di fase II, anche se di piccole dimensioni, mostrano un miglioramento significativo rispetto al gold standard peginterferone e ribavirina.

"Se c’è bisogno di trattare le persone, c’è bisogno di trattarle ora" ha detto Dieterich, sottintendendo che non è il caso di aspettare. Entrambi i ricercatori hanno sottolineato anche che non c'è una grande differenza di risultati in termini di percentuali di cura i pazienti coinfetti e quelli con la sola epatite C.

L'Fda ha recentemente diramato una nota nella quale si segnala la possibilità di interazioni fra boceprevir e certe terapie antiretrovirali potenziate con ritonavir, consigliando un attento monitoraggio di questi pazienti. Tuttavia, anche se ci sono alcune interazioni tra i farmaci anti-epatite e gli antiretrovirali, ci sono ancora poche evidenze che l'HIV possa sfuggire al controllo. Nello studio su boceprevir, per esempio, si è avuto un breakthrough  virale dell’HIV in tre pazienti su 64 del braccio boceprevir e quattro su 34 del braccio sola terapia standard.

Dieterich ha osservato che la presenza dell’interferone nel regime terapeutico "copre le spalle qui" contro questo rischio, in quanto il farmaco è esso stesso un blando antiretrovirale. Pertanto, anche se le interazioni farmacologiche dovessero abbassare l'efficacia degli antiretrovirali, l'interferone potrebbe compensare. "Il vero problema” ha avvertito l’autore “si porrò quando si potrà eliminare l’interferone", come molti medici sperano di fare.

M. Sulkowski, et al. Boceprevir + pegylated interferon + ribavirin for the treatment of HCV/HIV-co-infected patients: End of treatment (week-48) Interim results. CROI 2012; abstract 47.
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D. Dieterich, et al. Telaprevir in combination with pegylated interferon-a-2a+RBV in HCV/HIV-co-infected patients: A 24-week treatment interim analysis. CROI 2012; abstract 46
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