Il presidente degli Usa Barack Obama ha reso note una serie di misure immediatamente esecutive che hanno l’obiettivo di far fronte ai problemi relativi alla carenza di alcuni farmaci da prescrizione, proteggere la salute dei pazienti e vigilare sui prezzi di questi prodotti. Dati recenti forniti dall’Fda indicano che attualmente negli Stati Uniti vi sono 246 farmaci di cui vi è carenza o mancanza, un dato in crescita visto che lo scorso anno questi farmaci erano solo 200.

Un sondaggio condotto di recente dalla American Hospital Association (AHA) mostra che negli ultimi sei mesi quasi tutti gli ospedali degli Stati Uniti almeno una volta hanno dovuto affrontare la carenza di un farmaco importante. L’82% degli ospedali americani fa sapere di aver dovuto ritardare le cure come conseguenza di questa situazione.

Il problema risiede quasi esclusivamente nei farmaci sterili somministrati per via iniettiva, soprattutto in ambiente ospedaliero. Si tratta infatti di medicine anti-cancro, quali una serie di agenti chemioterapici ormai pressoché introvabili, o di prodotti antibatterici, antibiotici. Tra i farmaci mancanti o carenti vi sono methotrexate, leucovorina, 5-fluorouracile, cytosine arabinoside, vincristina, etoposide, paclitaxel, cisplatino. Farmaci citotossici indispensabili in molti regimi chemioterapici e la cui mancanza obbliga a ritardare le terapie e a metterne in atto di nuove, non così standardizzate come quelle che impiegano questi prodotti.

L’ordinanza di Obama prevede che l’Fda debba ampliare la segnalazione di potenziali carenze di medicinali e potrà accelerare ulteriormente gli iter regolatori nei casi che servano a prevenire o rispondere a tali mancanze di scorte. Il provvedimento prevede anche che la Fda lavori insieme al dipartimento di Giustizia per valutare se le potenziali carenze abbiano portato a truffe sui prezzi o sullo stoccaggio dei medicinali.

Il problema ha diverse cause, di natura produttiva, regolatoria e commerciale. Da una parte vi è una fortissima concentrazione nella produzione e spesso anche nell’acquisto di questi medicinali. Cinque grandi gruppi ospedalieri acquistano circa il 90% di questi medicinali e vi sono solo 7 aziende farmaceutiche, tra cui Teva, Bedford, APP Pharmaceuticals, Hospira, in grado di produrre la maggioranza di questi prodotti.

In molti casi una singola azienda produce circa il 90% del fabbisogno di un determinato farmaco e dunque basta che nasca qualche problema produttivo perché la produzione cessi e venga meno il medicinale. Ad esempio se un’ispezione dell’Fda rivela delle irregolarità, la produzione si ferma.

Per quanto riguarda i prodotti iniettabili, le industrie lamentano che si tratta di farmaci vecchi e non redditizi, di cui si decide di cessare la produzione. Questi prodotti, tutti oramai diventati farmaci generici, vengono venduti con margini molto bassi per le aziende, in quanto predeterminati dalla legislazione di Medicare e di conseguenza vengono anche prodotti con i minori costi possibili, cioè in impianti non moderni e tenendo le scorte molto ridotte. Ciò fa si che le produzioni spesso si debbano arrestare proprio per problemi dovuti alla qualità di tali farmaci.

Consentire un ragionevole aumento dei prezzi di questi farmaci potrebbe avere un impatto positivo sulla loro disponibilità, già nel breve termine. Tra l’altro la loro carenza ha un effetto negativo anche sui costi per il servizio sanitario americano in quanto mancando i vecchi farmaci se ne devono usare di nuovi quasi sempre molto più costosi. L’editoriale del Nejm, da cui abbiamo preso una parte delle informazioni per questo articolo, fa l’esempio della levoleucovorina, isomero levogiro della leucovorina, che sta soppiantando quest’ultima, oramai carente, benché 58 volte più costosa.

L’altra causa della mancanza di questi farmaci, almeno di quelli oncologici è, triste dirlo, degli stessi oncologici americani, incentivati a prescrivere i farmaci più costosi e non quelli più consolidati ma anche meno cari. Infatti, a partire da circa 40 anni fa, diversamente da quanto accade in Usa per ogni altra specialità medica, è lo stesso oncologo che compra i farmaci dai grossisti e li rivende al paziente o all’assicurazione sanitaria privata, nell’ambito della propria visita medica. Questa modalità di dispensazione è nata molto tempo fa, pensando che solo l’oncologo potesse gestire questi farmaci a volte anche molto tossici per chi li maneggia e quando i prezzi dei farmaci erano molto più bassi di adesso. Su questa transazione l’oncologo ha un profitto che oramai costituisce circa il 50% dei guadagni globali di questa categoria di medici. Essendo il profitto una percentuale del prezzo di vendita del farmaco è facile capire perché si preferiscano quelli più recenti e costosi.

Nell’editoriale del Nejm si suggerisce di passare a misure di compenso che siano collegate alle gestione globale della malattia oncologica e non all’uso dei farmaci anche perché la situazione attuale determina conflitti di interesse per il medico e può minare la relazione medico paziente.

Un altro aspetto di cui tenere conto, è che la domanda di questi farmaci è in crescita. Oggi anche Paesi dell’Asia, del Sud America e anche dell’Africa hanno necessità di questi medicinali in quanto il numero di pazienti oncologici aumenta e poiché la medicina segue sempre più i canoni occidentali e abbandona quella tradizionale, anche nei paesi più poveri. Poiché nella vendita si dà la priorità ai Paesi più remunerativi, ciò potrebbe aumentare la carenza di medicinali che si verifica in Usa.

”Non si puo’ aspettare a muoversi – ha detto un funzionario della Casa Bianca – la carenza di questi farmaci lascia consumatori e pazienti vulnerabili a un aumento dei prezzi nel mercato nero, aumenta i costi ufficiali dei medicinali e mette in pericolo la salute pubblica”. L’ordine esecutivo – che in pratica mette in atto le diverse proposte di legge al riguardo ferme al Congresso Usa – ingiunge di fatto alla Food and drug administration (Fda) di riportare velocemente le possibili carenze di farmaci.

La Fda inoltre – secondo la nuova misura – dovra’ attivare processi piu’ rapidi per l’approvazione delle richieste da parte di aziende farmaceutiche che intendono ovviare alla mancanza di medicinali aumentando o cambiando la loro produzione. La Fda dovra’ quindi comunicare al dipartimento di Giustizia i casi in cui i distributori sfruttano la situazione aumentando esponenzialmente i prezzi dei farmaci.
In realtà, vista la situazione, l’Fda non ha grandi mezzi per contrastare questo fenomeno, può solo aumentare la vigilanza e agire con la propria ‘moral suasion’. Bisognerà anche incentivare le aziende ad aumentare la propria capacità produttiva.

Il Prof. Umberto Tirelli, Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale Tumori di Aviano ha recentemente dichiarato che la carenza dei farmaci essenziali negli Usa "potrebbe portare a conseguenze negative a breve termine anche in Europa ed in Italia". Alcuni farmaci, quali bleomicina, etoposide e vincristina non possono essere sostituiti da altri simili. Tanto che già  negli Stati Uniti e presto anche in Italia, sempre più spesso ai pazienti oncologici deve essere somministrato uno schema alternativo dove il farmaco mancante viene sostituito da farmaci similari, diversi cioè da quelli delle combinazioni originali. Non essendo ancora stata sperimentata la combinazione con questi farmaci, si teme che possano dare problemi di efficacia e di tossicità. Ha aggiunto.

Quindi un problema non solo circoscritto agli Usa ma che si sta estendendo anche da noi. C'è bisogno di qualche anticorpo monoclonale in meno e un po’ più di farmaci di base e ampiamente consolidati nella loro efficacia, verrebbe da dire.

Comunicato dell’Fda

Editoriale del Nejm