In base ai risultati di uno studio pubblicato online sull’American Journal of Cardiology, l’impiego a breve termine di una terapia anticoagulante con dabigatran o rivaroxaban nei pazienti con fibrillazione atriale o flutter atriale (AF) avviati a cardioversione a corrente continua (DCCV) appare sicuro.

«La DCCV per AF comporta un rischio di eventi tromboembolici (TE)» ricordano gli autori, guidati da Ajay Yadlapati, del Bluhm Cardiovascular Center, Feinberg School of Medicine, Nothwestern University, Chicago (Illinois, USA). «Si raccomanda l’impiego della terapia anticoagulante con warfarin per 3-4 settimane dopo la DCCV per ridurre il rischio di TE, che diventa consistentemente inferiore (da 0,7% a 0,8%) se si raggiunge un grado adeguato di anticoagulazione».

«Decine di anni dopo l’introduzione degli antagonisti della vitamina K, sono apparsi sul mercato alcuni nuovi anticoagulanti orali (NOAC), tra i quali rivaroxaban e dabigatran» proseguono Yadlapati e colleghi. «Nonostante siano stati studiati in molte analisi post-hoc di trial clinici su grande scala, vi è scarsità di dati circa la loro sicurezza a breve termine dato che molti dei pazienti studiati nei precedenti studi assumevano NOAC per un periodo di tempo prolungato». In altre parole, la sicurezza dell’anticoagulazione a breve termine con dabigatran e rivaroxaban prima della DCCV non era stata ancora valutata.

I ricercatori hanno pertanto effettuato uno studio di coorte retrospettivo su tutti i pazienti sottoposti a DCCV elettiva per AF al Northwestern Memorial Hospital dal 1° giugno 2012 al 30 settembre 2013. Per essere inclusi nello studio i pazienti dovevano avere assunto dabigatran o rivaroxaban per un periodo compreso tra 21 e 60 giorni prima della DCCV e grazie a quest’ultima dovevano essere tornati con successo al ritmo sinusale. I principali criteri di esclusione sono stati AF per cause reversibili, valvulopatia (compresa stenosi mitralica da moderata a grave), necessità di anticoagulazione per altri motivi rispetto alla DCCV.

I pazienti sono stati monitorati per un minimo di 60 giorni dopo la DCCV per la valutazione di TE, quali ictus, attacchi ischemici transitori, embolia sistemica e morte. In totale sono stati analizzati 53 pazienti (47 uomini [89%]; età media: 65 anni, mediana: 66). I farmaci impiegati sono stati dabigatran (150 mg bis/die) in 30 pazienti (57%) e rivaroxaban (20 mg/die) in 23 soggetti (43%), per una media di 38 giorni. Il punteggio CHADS2 medio era di 1,2 (in particolare: score 0 = 26%; score 1 = 43%; score 2 = 17%; score > 3 13%). Undici individui (21%) sono stati sottoposti a ecocardiografia transesofagea prima della DCCV e nessuno aveva evidenziato alcun trombo, né si sono riscontrati episodi di sanguinamento maggiore in alcun paziente.

«Nonostante i NOAC abbiano il potenziale effetto benefico di fornire un’anticoagulazione terapeutica nei pazienti con AF, vi sono limitazioni all’uso di questi farmaci» osservano gli autori. «Bisogna considerare l’eventuale presenza di patologie renali, per motivi di farmacocinetica: rivaroxaban e dabigatran, infatti, sono escreti per via renale, rispettivamente, per oltre il 60% e l’80%. Inoltre» proseguono «negli studi RE-LY e ROCKET-AF, i pazienti con clearance della creatinina <30 ml/min sono stati esclusi a causa del maggiore rischio di sanguinamento, e nessuno dei pazienti nel nostro studio aveva una clearance della creatinina <30 ml/min».

Arturo Zenorini

Yadlapati A, Groh C, Passman R. Safety of Short-Term Use of Dabigatran or Rivaroxaban for Direct-Current Cardioversion in Patients With Atrial Fibrillation and Atrial Flutter. Am J Cardiol, 2014 Jan 31. [Epub ahead of print]
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