In uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Lipidology, i tassi di riduzione dei livelli di colesterolo-LDL (LDL-C) e di raggiungimento dei corrispondenti valori target - in pazienti affetti da malattia coronarica (CHD) ad alto rischio - sono migliorati in modo consistente quando da una monoterapia con statina si è passati (switch) a una combinazione ezetimibe/statina oppure si è sovratitolata la terapia con statina (mediante aumento del dosaggio o passaggio a statina più potente). In ogni caso, circa un terzo dei soggetti analizzati non è riuscito ancora ad arrivare all’obiettivo opzionale raccomandato di LDL-C <70 mg/dL.

«Ma ciò che più conta» commentano gli autori del lavoro, condotto sotto la guida di Peter P. Toth, del CGH Medical Center di Sterling (Illinois, USA) «è che questo tipo di strategie terapeutiche a maggiore efficacia ipocolesterolemizzante sono prescritte con scarsa frequenza, sottolineando la necessità di ulteriori valutazioni delle barriere che si oppongono al raggiungimento degli obiettivi colesterolemici LDL nel setting dell’attuale pratica clinica».

Le linee guida pratiche – ricordano gli studiosi – raccomandano il raggiungimento di valori di LDL-C <100 mg/dL nei pazienti con CHD o a rischio equivalente di CHD, mentre per i soggetti a rischio molto alto i livelli consigliati si riducono: <70 mg/dL. «La riluttanza dei clinici, dei pazienti o di entrambi a passare a dosi più elevate di statine o a terapie più potenti a causa di preoccupazioni relative alla sicurezza o ai costi possono in parte spiegare i tassi persistentemente bassi di raggiungimento di livelli target di LDL-C raccomandati dalle linee guida in questi pazienti» commentano Toth e colleghi.

«Tra i soggetti che non raggiungono gli obiettivi prefissati di LDL-C mediante monoterapia con statina, bisognerebbe considerare il ricorso a terapie ipolipemizzanti più aggressive, come lo switch alle terapie di combinazione con ezetimibe, o la sovratitolazione mediante aumento del dosaggio della statina o passaggio a una statina di maggiore potenza» proseguono. «Una migliore comprensione delle pratiche di trattamento nella clinica di tutti i giorni potrebbe aiutare il clinico verso una migliore gestione dei pazienti». Scopo di questo studio è stato quello di valutare i pattern di trattamento dei valori di LDL-C in pazienti con CHD ad alto rischio nella pratica clinica effettiva.

«In questo studio osservazionale retrospettivo» spiegano gli autori «in un database statunitense di gestione assistenziale sono stati identificati pazienti con CHD o rischio CHD equivalente in terapia con statine tra il 2004 e il 2008. Si sono valutati i pattern prescrittivi e, in particolare, si sono misurati gli effetti sulla riduzione del LDL-C determinati dallo switching dalla monoterapia con statina alla terapia di combinazione ezetimibe/simvastatina rispetto sia alla titolazione verso la più alta dose di statina o alla statina con più alto livello di potenza sia rispetto all’assenza di modificazioni dalla potenza statinica iniziale. La percentuale del cambiamento dal basale ai livelli di LDL-C e gli odds ratios per il raggiungimento degli obiettivi di LDL-C sono stati stimati tramite analisi della covarianza e regressione logistica».

Su 27.9191 pazienti eligibili in terapia con statina, 2.671 (9,6%) sono passati al trattamento con ezetimibe/simvastatina, 11.035 (39,5%) hanno sovratitolato la statina e 14.213 (50,9%) sono rimasti sulla stessa monoterapia con statina. La riduzione del LDL-C dal basale e il raggiungimento di valori di LDL-C compresi tra <100 e <70 mg/dL sono stati superiori in modo consistente tra i soggetti che avevano effettuato lo switch a ezetimibe/simvastatina (-24,0%, 81,2% e 35,2%, rispettivamente) rispetto a quelli che avevano aumentato il dosaggio o la potenza della statina (-9,6%, 68,0% e 18,4%, nello stesso ordine) o che avevano proseguito la terapia iniziale con statina (4,9%, 72,2% e 23,7%, secondo la stessa successione).

Anche gli odds ratios per il raggiungimento di valori di LDL-C <100 e <70 mg/dL rispetto all’assenza di modificazioni di terapia sono stati superiori nei pazienti che avevano effettuato lo switch a ezetimibe/simvastatina rispetto a quelli che avevano aumentato il dosaggio o la potenza dell’inibitore dell’HmgCoA reduttasi, e in quanti non avevano modificato la terapia rispetto a chi aveva sovratitolato la statina.

Similmente, in un sottogruppo di pazienti con valori di LDL-C non <100 mg/dL alla terapia di base, il raggiungimento di livelli di LDL-C compresi tra <100 e <70mg/dL è stato maggiore nei pazienti che avevano effettuato lo switch a ezetimibe/simvastatina rispetto a chi aveva aumentato il dosaggio o la potenza della statina, così come per i pazienti in cui era stato aumentato il dosaggio della statina rispetto ai pazienti in cui non si era effettuata alcuna modificazione terapeutica.  

«In conclusione questo studio svolto nel “mondo reale” dimostra che i pazienti con CHD ad alto rischio che necessitano di una riduzione di LDL-C più intensa possono beneficiare sia dallo switch dalla monoterapia con statina alla terapia di combinazione ezetimibe/simvastatina, sia della sovratitolazione della statina» affermano gli autori.

«Se l’approccio terapeutico ezetimibe + simvastatina sia paragonabile con le statine ad alta potenza in termini di outcomes clinici rimane da essere valutato» specificano infine. «Il beneficio incrementale ai fini del rischio cardiovascolare della riduzione di LDL-C ottenuta con l’aggiunta di ezetimibe alla terapia con statina è in corso di specifica analisi in un trial su pazienti con sindrome coronarica acuta».

Arturo Zenorini

Toth PP, Foody JM, Tomassini JE, et al. Therapeutic practice patterns related to statin potency and ezetimibe/simvastatin combination therapies in lowering LDL-C in patients with high-risk cardiovascular disease. J Clin Lipidol, 2014;8(1):107-16.
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