Il vaccino antinfluenzale riduce del 36% la probabilità di essere colpiti da infarto. Un beneficio protettivo evidente soprattutto nella popolazione a rischio. “Parliamo in particolar modo degli anziani, delle persone con una malattia cardiovascolare o già andate incontro, recentemente, ad attacchi coronarici.

Ma nel 2012 soltanto il 42% di loro è ricorso alla vaccinazione. L’antinfluenzale diventa quindi un’arma di prevenzione dal doppio effetto, sia per la ‘stagionale’ che per i pericoli del cuore – spiega il prof. Enrico Agabiti Rosei, Direttore della Clinica Medica dell’Università degli Studi di Brescia, uno dei centri di eccellenza nel nostro Paese nell’area cardiovascolare –.

Purtroppo in Italia non raggiungiamo mai l’obiettivo minimo di copertura del 75% delle categorie a rischio, come indicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Anzi, nell’ultimo decennio il dato è sceso addirittura del 15%. Questo si è tradotto in oltre 90mila contagi in più l’anno, completamente evitabili. Dobbiamo insistere, quando arriva il momento, sulla comunicazione di tutti questi aspetti ai cittadini interessati”. Inoltre, i più recenti dati epidemiologici mostrano come il 15% dei 60-64enni presenti condizioni di rischio legate a patologie cardiovascolari. L'abbassamento dell’età di raccomandazione della vaccinazione ai 60 anni potrebbe rappresentare la soluzione da perseguire con decisione per proteggere le persone più fragili utilizzando al meglio le risorse.

Questa è la raccomandazione anticipata nella circolare ministeriale della passata stagione. Il rapporto tra vaccinazioni e patologie cardiache è uno dei temi centrali dell’ottavo Congresso Nazionale della SITECS (Società Italiana di Terapia Clinica e Sperimentale), che apre oggi a Brescia, e viene affrontato dal prof. Antonio Ferro di Padova.

“Insieme a 250 specialisti ci focalizziamo soprattutto su prevenzione e terapie delle malattie cardiovascolari e metaboliche, come ipertensione, dislipidemie, diabete e aterosclerosi, indagando anche i nessi causali tra i vari fattori di rischio – continua il prof. Agabiti Rosei, Presidente del Congresso insieme ai proff. Alberico Catapano e Giuseppe Mancia –.

Ad esempio, l’inquinamento atmosferico, che riguarda indistintamente tutta la popolazione a prescindere dagli stili di vita. Le ultime evidenze suggeriscono come le polveri sottili e le altre sostanze nocive presenti nell’aria incidano non solo sulla salute di cuore e vasi, ma anche sui processi metabolici. Aumentano l’insulino-resistenza e quindi la probabilità di essere colpiti da diabete, con difficoltà a controllare poi l’andamento della malattia. Registriamo infine, nelle zone molto inquinate, un’associazione più stretta tra diabete e l’obesità, che risente ovviamente molto anche degli stili di vita e dell’impiego ottimale di farmaci nuovi o già sperimentati”.