Nelle donne in post menopausa l’uso di statine si associa a un aumento del 48% del rischio di sviluppare diabete di tipo 2. E’ quanto emerge da uno studio pubblicato su Archives of Internal Medicine.

Nello studio gli esperti hanno analizzato i dati di 153.840 donne arruolate nel progetto scientifico Women’s Health Initiative (WHI), uno studio che ha incluso di età compresa tra i 50 e i 79 anni provenienti da 40 centri negli Stati Uniti arruolate tra il 1993 e il 1998. Le donne sono state seguite successivamente fino al 2005. Le partecipanti non soffrivano di diabete al basale. Le informazioni riguardanti l’uso delle statine sono state raccolte all’arruolamento e dopo 3 anni.
Al basale, il 7% delle partecipanti stava assumendo statine. Di queste, il 30% era in terapia con simvastatina, il 27% con lovastatina, il 22% con pravastatina, il 12,5% con fluvastatina e l’8% con atorvastatina.

Durante lo studio, 10.242 partecipanti hanno sviluppato il diabete. L’uso di statine era associato a un aumento pari al 71% del rischio di diabete (IC 95% 1,61-2,83). Dopo aggiustamento per diverse variabili come razza, BMI ed età, il rischio di diabete associato all’uso di statine era del 48% (IC 1,38-1,59). L’associazione è stata osservata per ogni tipo di statina.

Le analisi per sottogruppi hanno mostrato un significativo aumento del rischio di diabete nelle donne di razza caucasica, ispanica e asiatica (49%, 57% e 78%), rispettivamente. Nelle partecipanti afro-americane, che rappresentavano l’8% della popolazione studiata, l’aumento del rischio di diabete non era significativo (18%).  L’aumento del rischio di sviluppare la patologia è stato osservato anche nei diversi gruppi suddivisi per BMI. In particolare, le donne con BMI<25 kg/m2 presentavano un rischio superiore di sviluppare diabete, rispetto alle donne obese.

Inoltre, l’uso di statine era associato a un aumento del rischio pari al 46% e 48% di sviluppare il diabete rispettivamente nelle donne con patologie cardiovascolari e in quelle che non soffrivano di tali malattie.

In altri studi, in particolare in due meta-analisi pubblicate una lo scorso giugno su JAMA e l’altra nel 2010 è stato osservato un aumento del rischio di diabete nelle persone in trattamento con statine. Nel primo studio l’aumento del rischio di diabete era superiore con le dosi più elevate dei medicinali, mentre nel secondo l’aumento del rischio associato all’uso di statine era pari al 9%.

Quale sia la causa dell’aumentato rischio di diabete con l’utilizzo di statine non è del tutto chiaro. Potrebbe trattarsi di un’azione sull’effetto dell’insulina a livello epatico e periferico. Tra l’altro studi in animali mostrano come chi sviluppi una miopatia da statine abbia un maggior rischio di resistenza all’insulina. Per contro, anche se le statine fossero in causa nell’aumentato rischio di diabete, non è stato analizzato quanto poi il loro effetto protegga dall’eventuale sviluppo di complicanze micro- e macro-vascolari diabetiche.

Questi rimangono dunque interessanti spunti per ricerche future, che dovranno mirare anche a chiarire quale sia la relazione in termini di incidenza e fisiopatologia tra utilizzo di statine e diabete.

Il progetto WHI fu  lanciato nel 1991 da parte del National Institutes of Health americano e complessivamente ha arruolato 161.808 donne in età post menopausale e in buona salute. Consisteva in una serie di studi che avevano lo scopo di valutare l’effetto della terapia ormonale sostitutiva, delle variazioni della dieta e della supplementazione di calcio e vitamina D sui seguenti end point: malattie cardiovascolari, incidenza di fratture, cancro alla mammella a al colon retto. Il follow up di questi studi è terminato nel 2010.

Il trial del WHI più noto, che aveva lo scopo di valutare l’efficacia di un trattamento con estro-progestinici o con i soli estrogeni aveva arruolato 27.347 donne e fu interrotto nel 2002 per un leggero aumento di tumori al seno nel gruppo trattato con i farmaci.

Annie L. Culver et al., Statin Use and Risk of Diabetes Mellitus in Postmenopausal Women in the Women's Health Initiative, Arch Intern Med, doi:10.1001/archinternmed.2011.625
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