Quanto oggi la chirurgia e l’anestesia geriatrica sono oggetto di attenzione da parte delle istituzioni? Quanti risparmi si potrebbero fare sulle degenze postoperatorie degli anziani? Com’è la situazione degli ospedali italiani?

Secondo Gabriella Bettelli, che ha diretto il Dipartimento Chirurgico e l'Unità operativa di Anestesia e Rianimazione dell'INRCA (Istituto nazionale Ricovero e Cura Anziani, unico Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scienti-fico dedicato all'anziano in Italia), e che è anche coordinatore del Gruppo di Studio di Medicina Perioperatoria Geriatrica della SIAARTI (Società Italiana Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva) nonché membro del Gruppo di Lavoro Governo Clinico della Chirurgia Geriatrica del Ministero della Salute, occorre scommettere su modelli organizzativi dedicati e sulla nuova figura dell’anestesia geriatria.

Ecco qui di seguito quanto illustra e spiega l’esperta.

Secondo lei oggi, quanto la chirurgia e l’anestesia geriatrica sono oggetto di attenzione negli ospedali italiani?
“Lo sono in misura assai variabile, ma comunque insufficiente rispetto al numero di anziani. La rapidità con cui questa popolazione è cresciuta ha colto di sorpresa, e solo in pochi centri sono presenti percorsi clinici dedicati.
L’esempio classico sono i reparti di ortogeriatria, ove i soggetti con frattura di femore sono assistiti oltre che dall’ortopedico e dall’anestesista, anche dal geriatra. Questa soluzione si è dimostrata efficace nel ridurre le complicanze, ma richiede risorse esterne all’équipe operatoria. Inoltre, la frattura di femore è solo una delle tante occasioni che portano gli anziani sul tavolo operatorio.
Infine, mentre i membri dell’équipe operatoria possiedono competenze chirurgiche ma non geriatriche, i geriatri possiedono competenze geriatriche ma non chirurgiche: il grande limite dell’ortogeriatria sta proprio nell’aver trascurato che lo specialista con maggiori competenze di medicina perioperatoria è l’anestesista: è su di lui che è necessario puntare, per creare la figura centrale del processo, ossia quella dell’anestesista geriatra.

Esiste qualche ospedale in Italia che ha affrontato il problema anche al di fuori della chirurgia del femore?
“L’unico ospedale nazionale in cui il problema è stato affrontato in termini strutturali e per diverse chirurgie specialistiche è l’INRCA (Istituto Nazionale Ricovero e Cura Anziani) di Ancona, ossia l’unico Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico geriatrico esistente in Italia. In questo ospedale, ove sono stata direttore del Dipartimento Chirurgico e Primario di Anestesia sino al 2011, è stato definito un percorso dedicato, basato su tecniche di valutazione specifiche (valutazione multidimensionale), protocolli di prevenzione delle complicanze proprie di questi pazienti (come ad esempio l’ipotermia intraoperatoria, lo squilibrio dei fluidi corporei e il delirio) e presa in carico globale della persona attraverso specifiche azioni di umanizzazione.”

Quanto la chirurgia e l’anestesia geriatrica sono invece oggetto di attenzione da parte delle istituzioni preposte alla cura della salute?
“Recentemente, il Ministero della Salute ha attivato un tavolo tecnico (di cui faccio parte), incaricato di definire una linea guida sull’anziano chirurgico. Questa è attualmente l’unica iniziativa istituzionale nel settore.
Nel nostro Paese è stato da poco istituito il Network Italia Longeva, che, in colla-borazione con la Regione Marche (la più longeva d’Italia e sede dell’INRCA) dovrebbe promuovere iniziative di ricerca. A livello universitario, i soli cicli di lezioni sull’anestesia geriatrica di cui io sappia sono quelli che ho tenuto durante la mia permanenza all’INRCA, nella Scuola di Specializzazione in Anestesia, diretta dal prof. Paolo Pelaia”.

Visto l’alto numero, sempre più in espansione, degli anziani che si operano quali sono a suo avviso i primi provvedimenti da intraprendere?
“La conclusione del lavoro ministeriale con emissione della linea guida è ciò che ritengo più urgente fare, promuovendo con tutti i mezzi il lavoro di questo gruppo di esperti, che non è supportato e risente delle difficoltà generali che colpiscono il pianeta della salute: crisi di organici e limitatezza delle risorse.
Questo documento dovrebbe indicare le priorità d’intervento, che contemplano diversi ordini di fattori: sul piano clinico, si dovrebbe introdurre la valutazione multidimensionale, sì da ottenere un profilo che descriva, oltre allo stato clinico, anche le specificità della persona. Grande attenzione dovrebbe essere posta alla prevenzione del delirio, perché questa condizione, drammatica per il paziente e i familiari, può avere conseguenze come la demenza e la necessità di istituzionalizzazione, senza più ritorno a casa.
Sul piano formativo, si dovrebbero organizzare master o corsi per gli anestesisti, volti a trasmettere le competenze geriatriche necessarie per un’adeguata gestione perioperatoria dell’anziano.
sul piano organizzativo, si dovrebbe definire e implementare un modello organizzativo per la chirurgia geriatrica, che permettesse di ottimizzare le risorse, creando valore con le energie già presenti sul campo e utilizzando le reti assistenziali presenti sul territorio.”

il valore intrinseco della chirurgia geriatrica che porta un miglioramento nella vita dell’anziano, perché la chirurgia geriatrica è ancora così poco percepita dalla comunità scientifica?
“In ciò mi sento di contraddirla almeno in parte. Se infatti la comunità scientifica è ancora solo parzialmente consapevole della materia, le società scientifiche si sono attivate e i primi frutti sono già arrivati. Seppure in ritardo rispetto all’ambito anglosassone, dove dal 2000 esiste la SAGA (Society for Advancement in Geriatrica Anestesia, USA) e dal 2006 l’AGE (Anaesthesia for GEriatrics, Regno Unito), in ambito nazionale sono già presenti il Gruppo di Studio Medicina Perioperatoria Geriatrica, che mi onoro di presiedere e che si iscrive nella Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI), e la Società Italiana di Chirurgia Geriatrica. Nell’ambito della European Society of Anaesthesia esistono un SubCommittee (Perioperative Care of the Elderly) e una Task Force che dovrà emettere entro il 2014 una linea guida sul delirio postoperatorio. Poiché sono impegnata in entrambe, posso testimoniarne assiduità e intensità dei progetti”.

Quanto la tecnica chirurgica in geriatria è meno invasiva? C’è una chirurgia geriatrica con particolari caratteristiche? Quanto è cambiata negli ultimi anni?
“Negli ultimi decenni, quasi tutte le tecniche chirurgiche sono state modificate all’insegna della mininvasività, che significa incisioni ridotte o solo “buchi”, minor sanguinamento, minor trauma per l’organismo e più rapida ripresa.
La tecnica laparoscopica (VLS),che può sostituire l’apertura dell’addome, è il prototipo di questo approccio, e oggi non solo la colecisti, ma anche molti tumori intestinali possono essere asportati per questa via. Nell’anziano, quando le condizioni generali lo consentono, questa è la tecnica da preferire.
Altre tecniche si stanno dimostrando efficaci nel ridurre le complicanze quando l’intervento è urgente, situazione in cui la VLS è spesso controindicata. Si preferisce allora “prendere tempo”: ad esempio, in presenza di un’occlusione tumorale si può optare per uno stent (tubicino dilatatore) posizionato nel punto in cui l’intestino è strozzato, in modo da ripristinare il transito fecale, superare la fase acuta, e quindi programmare la resezione intestinale: in tal modo vi è tempo per equilibrare le condizioni generali e ridurre il tasso di complicanze. Un’altra tecnica è quella di aprire l’addome, effettuare l’intervento e non completarne la chiusura (tecnica del damage control), effettuando un controllo dopo 24-48 ore, e quindi agendo di conseguenza.
Il principio della mininvasività è stato applicato anche alla chirurgia toracica (VATS: Video Assisted Thoracic Surgery) per il trattamento di lesioni polmonari e cardiache: questa tecnica è stata inventata in Italia, ma ha avuto maggior successo all’estero e solo ora sta tornando in uso nel nostro Paese.
Un altro esempio è la sostituzione valvolare aortica transcatetere (TAVI: Trans-catheter Aortic Valve Implantation), con cui è possibile trattare in maniera mininvasiva la malattia valvolare più frequente negli over 65 in Europa.
Anche in chirurgia oculistica si sta procedendo in analogia: la Micro Invasive Glaucoma Surgery (MIGS) rappresenta una tecnica di recente introduzione che, mediante l’uso di un micro-stent, permette di equilibrare la pressione intraoculare, con minor tasso di complicanze rispetto alla chirurgia tradizionale.
Ma uno degli indirizzi più importanti che si sono definiti in questi anni in chirurgia geriatrica è che alla base della scelta della tecnica non sta l’età anagrafica del paziente, ma la sua età biologica e le sue condizioni generali: e questo è ciò che a mio avviso rappresenta il successo più importante, perché pone al centro della scelta la persona, e quindi la dimensione etica e la visione paziente-centrica di cui in questo campo si sente elevata necessità”.

Quanto i progressi della medicina hanno influito sulle alterazioni che i farmaci anestetici possono avere sugli anziani? Quali sono le principali novità?
“Più che di nuovi farmaci, parlerei di approcci basati sulle caratteristiche metaboliche dell’anziano, che per vari motivi presenta un ridotto consumo di anestetici. La lenta somministrazione di bassi dosi di anestetico è il principio guida, indipendentemente dal farmaco usato. Alcuni (etomidate) presentano profili farmacocinetici più favorevoli per l’anziano, ma al momento non si può dire che esista il farmaco ideale per questi pazienti. Altri (alcuni anestetici inalatori e alcuni sedativi) paiono dotati di effetti sfavorevoli sulla funzione cognitiva, ma non si può ancora dire che determinati farmaci siano formalmente controindicati. Gli antagonisti dei curari possono essere utili, in quanto alcune complicanze postoperatorie immediate possono essere legate ad uno stato, anche lieve, di curarizzazione residua, più probabile nell’anziano”.

In che percentuale il delirium postoperatorio, comportando il prolungamento della degenza incide, sui costi sanitari? Quale la migliore ricetta?
“Il delirio è una temibile complicanza postoperatoria dell’anziano che compare nel 15-65%, in funzione di tipo di chirurgia, fattori di rischio e qualità dell’assistenza. Si tratta di un’alterazione del livello di attenzione, che insorge nelle prime 24-48 ore, presenta andamento fluttuante con alternanza di lucidità, inversione del ritmo sonno veglia, e possibilità di presentarsi in forma agitatoria, depressiva o mista. A volte, il quadro consiste solo in uno stato di apatia, che può passare inosservato e quindi non diagnosticato e non trattato. I fattori di rischio sono l’età, i deficit cognitivi, le alterazioni sensoriali (vista e udito), l’assunzione di determinati farmaci e la presenza di stimolazioni ambientali eccessive (luci, rumori). Tra i fattori scatenanti figurano il dolore postoperatorio, la disidratazione, la ritenzione di urina, la costipazione e altro. La correzione del delirio può richiedere anche diversi giorni, ma mediamente la degenza si allunga di 1-3 giorni. Prendendo come base il costo medio di una giornata di degenza in un reparto di chirurgia, ogni caso di delirio prevenuto si traduce quindi nel risparmio di 1200-3600 euro. Per meglio comprendere queste cifre, si può fare riferimento ad un ospedale con un volume medio-alto di attività, pari a circa 10.000 interventi all’anno, nel quale si potrebbero prevenire circa 230 casi di delirio, con un risparmio annuo di 547.200 euro. Il tutto a fronte di modestissimi investimenti in formazione.
La migliore ricetta è l’identificazione dei soggetti a rischio, la definizione di strategie di presa in carico, la diagnosi precoce e il trattamento ottimale.
I capisaldi sono organizzativi da una parte e culturali dall’altra. Gli ospedali debbono darsi nuove regole e gli anestesisti, i chirurghi e gl’infermieri debbono essere formati a gestire in maniera ottimale questa categoria di pazienti in continua espansione”