Dolore

Terapia del dolore in Italia, ancora basso consumo di oppiacei rispetto ai Fans e difformità regionali di trattamento del paziente

L'utilizzo dei farmaci per il dolore, soprattutto gli oppioidi, è ancora basso nel nostro Paese e bisogna ancora smontare dei dogmi che legano l'assunzione degli oppiacei alla dipendenza e al problema dell'astinenza. E' questo uno dei concetti chiave emersi oggi durante una conferenza stampa in cui è stato presentato il Decalogo sul dolore, reso possibile da un grant non condizionato di Grunenthal Italia. Il nostro Paese è stato il primo a dotarsi di una vera e propria legge, la legge 38 del 2010, per diffondere la cultura del trattamento del dolore nei pazienti che ne soffrono per varie patologie mediche o in seguito a traumi ed interventi chirurgici ma alcuni concetti vanno ribaditi.

L’utilizzo dei farmaci per il dolore, soprattutto gli oppioidi, è ancora basso nel nostro Paese e bisogna ancora smontare dei dogmi che legano l’assunzione degli oppiacei alla dipendenza e al problema dell’astinenza. E’ questo uno dei concetti chiave emersi oggi durante una conferenza stampa in cui è stato presentato il Decalogo sul dolore, reso possibile da un grant non condizionato di Grunenthal Italia. Il nostro Paese è stato il primo a dotarsi di una vera e propria legge, la legge 38 del 2010, per diffondere la cultura del trattamento del dolore nei pazienti che ne soffrono per varie patologie mediche o in seguito a traumi ed interventi chirurgici ma alcuni concetti vanno ribaditi.

La legge 38 del 15 marzo 2010 è la pietra miliare su cui si basa il nuovo approccio al dolore e alla sofferenza, nella sua accezione più ampia. Ad oggi, però, non tutti i medici e non tutte le strutture ospedaliere sono allo stesso livello in tema di terapia del dolore e ci sono ancora delle regioni italiane indietro sulla creazione delle reti di terapia del dolore.
Allora il concetto va ripetuto, va rafforzato, ricordiamo che l’articolo 1 della legge 38 tutela il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore con equità di accesso e stessa qualità delle cure. Su questo punto, non ci siamo ancora in Italia.

Il verbo che si ripete in tutto il nuovo documento presentato oggi al Santo Pontefice è “devo” perché questo decalogo è l’assunzione di un dovere e un richiamo all’azione, a saper riconoscere il dolore in tutte le sue forme e sfaccettature e trattarlo prontamente con i diversi farmaci che abbiamo a disposizione.

Perché presentare questo documento al Papa?
In sala gli esperti presenti hanno concordato che il dolore e la sofferenza sono temi molto cari al Santo Pontefice che ha aperto la Chiesa al trattamento del dolore e a lenire la sofferenza quando possibile. Papa Francesco, nel discorso promulgato durante la visita in Bolivia, ha condannato l’atteggiamento di chi considera naturale il dolore e di chi minimizza la sofferenza del prossimo.

“E’ un problema etico e culturale” ha più volte ripetuto in sala durante la conferenza stampa il prof. Massimo Aglietta, ordinario di Oncologia medica presso l’Università degli studi di Torino e direttore del Dipartimento oncologico della divisione universitaria di Oncologia medica presso l’Istituto per la ricerca e la cura del cancro (IRCCS) di Candiolo.

Come ha precisato il prof. Antonio Corcione, presidente della SIIARTI: “questo è un giorno storico che ricorderemo per l’impegno affinché ognuno riesca a mantenere i principi sanciti nella legge 38. La legge zoppica in diverse parti applicative e c’è la necessità di coinvolgere anche il resto del mondo”.
Per tale motivo il decalogo è stato presentato ieri all’assemblea generale dell’ONU che non si riuniva per discutere di Salute da ben18 anni.

“Per capire l’importanza di questa assemblea bisogna pensare che c’è una persona dell’ONU che la sta organizzando da due anni. In tale sede 90 Paesi riuniti hanno approvato all’unanimità un documento che sancisce in maniera definitiva che anche i farmaci contro il dolore non devono essere banditi, per legge”, ha dichiarato il dott. Guido Fanelli, padre della legge 38 e Direttore della UOC di Anestesia e Rianimazione e del Centro Hub di terapia del Dolore dell’AOU di Parma, in collegamento dall’ONU.

Accesso ai farmaci e paure

“Ricordiamo, ha aggiunto il prof. Fanelli, che nell’80% dei Paesi a livello mondiale non c’è accesso ai farmaci per trattare il dolore; per fare un esempio, la ketamina, anestetico usato per procedure sui bambini, è vietato in Cina. Bisogna uscire dai confini nazionali e risolvere il problema a livello globale.”
Ci sono ancora tanti pregiudizi nel nostro Paese verso l’uso degli oppiacei come il problema della dipendenza e dell’astinenza. “Dobbiamo considerare che nell’uso terapeutico degli oppiacei non si attivano meccanismi neurobiologici che portano alla dipendenza, come la via della dopamina (non c’è dopamina, non c’è gratificazione). E per quanto riguarda l’astinenza, basta scalare lentamente le dosi per evitare il problema” ha chiarito in sala la prof.ssa Patrizia Romualdi del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie-Alma Mater Studiorum Università di Bologna.

“Il problema della prescrizione degli oppiacei è abbastanza complesso” ha precisato il prof. Paolo Cherubino, ordinario di Ortopedia e Traumatologia presso il Dipartimento di Scienze ortopediche e traumatologiche Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi di Varese, past president SIOT, società italiana di ortopedia e traumatologia” succede che lo specialista prescrive un determinato oppioide e il medico di famiglia o addirittura il farmacista lo sconsiglino al paziente legandolo al problema della dipendenza”.
“Siamo il secondo Paese al mondo per consumo di FANS procapite, spendiamo 500 milioni di euro per i FANS, 150 milioni solo per il paracetamolo mentre per gli oppiacei siamo solo a 140 milioni” ha aggiunto il prof. Fanelli.

Questo decalogo non parla, però, di farmaci ma della missione del medico, per questo è stato definito come un secondo giuramento di Ippocrate.
“Il nostro obiettivo è curare il dolore ma stare anche vicino al paziente, bisogna ricordarsi di essere dei medici con la vocazione” ha precisato il prof. Corcione.
“Abbiamo tutto ciò che ci serve per trattare il dolore, ma dobbiamo cambiare il modo di pensare; dobbiamo pensare al dolore come un aspetto presente ma non preponderante. Bisogna essere attenti ai primi segni della presenza del dolore. E’ importante anche inserire questi insegnamenti nel corso di laurea in medicina e per gli specializzandi oltre che in specifiche sessioni dei congressi” ha aggiunto il prof. Aglietta.

“Siamo anche circondati da messaggi pubblicitari errati in cui un determinato analgesico viene elogiato per tutti i pazienti quando, invece, pensando al paziente oltre i 65 anni, molti di questi farmaci sono veleno. In questi soggetti sono più tollerati oltre che efficaci i farmaci oppiacei. Un recente articolo pubblicato sul Lancet evidenzia come per l’uso degli oppiacei l’Italia è ancora molto indietro” ha sottolineato il prof. Roberto Bernabei, Direttore del Dipartimento di Geriatria, Neuroscienze e Ortopedia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e Presidente di Italia Longeva.

Sicuramente c’è da considerare che negli anni sono anche cambiate le esigenze dei pazienti, il paziente non vuole solo lenire il dolore ma stare bene e migliorare la funzione fisica. “Dobbiamo far sì che il paziente conduca una vita più autonoma possibile perché il paziente vuole una vita attiva e non invalidante” ha evidenziato il prof. Cherubino, .

In conclusione, dalla giornata di oggi emerge che il dolore va valutato correttamente e trattato in maniera adeguata, anche con farmaci oppiacei di cui in Italia si registra ancora un basso consumo. Serve formazione e informazione, serve uguaglianza di trattamento tra pazienti anche se residenti in regioni italiane differenti e serve anche considerare il dolore in tutte le sue sfaccettature nell’anziano, nel bambino e nelle donne in cui dolore del parto o da endometriosi sono spesso trascurati e sotto-trattati.

Emilia Vaccaro