La Commissione europea ha approvato l’impiego di bevacizumab in combinazione con la chemioterapia standard per la terapia di prima linea del tumore all’ovaio in fase avanzata. In due studi di fase III, denominati, GOG 0218 and ICON7, le donne che hanno ricevuto bevacizumab in combinazione con la chemioterapia hanno vissuto molto più a lungo (PFS +39% e + 15%, rispettivamente) senza che la malattia peggiorasse rispetto alle donne trattate con la sola chemioterapia.

L’approvazione consentirà l’impiego del farmaco in associazione alla chemioterapia per un massimo di sei  cicli di trattamento seguiti da un uso continuativo in monoterapia fino alla progressione della malattia, per un massimo di 15 mesi. La terapia potrà essere interrotta prima in caso di tossicità non accettabile. La dose raccomandata per il farmaco è di 15mg/kg di peso corporeo somministrati una volta ogni 3 settimane per infusione endovenosa.

Il carcinoma ovarico
A livello mondiale, il carcinoma ovarico rappresenta in termini di frequenza la settima forma di cancro diagnosticata e l’ottava causa di mortalità per tumore tra le donne. Si stima che ogni anno il carcinoma ovarico venga diagnosticato a 220.000 donne nel mondo e che circa 140.000 donne muoiano a causa di questa malattia.

L’intervento chirurgico radicale per ottenere la rimozione di quanto più tumore possibile rappresenta un pilastro importante a livello terapeutico, ma sfortunatamente la maggior parte dei casi viene diagnosticata in fase avanzata di malattia o in fase metastatica e richiede pertanto trattamenti ulteriori. 

Nel carcinoma dell’ovaio si osservano elevate concentrazioni plasmatiche del fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF), una proteina associata alla crescita e alla diffusione del tumore. Gli studi finora condotti, in donne affette da carcinoma ovarico, hanno dimostrato che esiste una correlazione tra concentrazioni elevate di VEGF e sviluppo di ascite (eccesso di liquido nella cavità addominale), il peggioramento della malattia e una prognosi infausta. Bevacizumab è una “target therapy” in quanto si lega in  modo specifico al VEGF.