Gli inibitori della pompa protonica diminuiscono la diversità delle specie presenti nella flora microbica intestinale dei soggetti che li assumono, aumentando il loro rischio di contrarre l'infezione da Clostridium difficile e altre complicazioni. Questo è quanto suggerito da un nuovo studio pubblicato sulla rivista Microbiome.

Gli inibitori della pompa protonica (PPI) sono potenti inibitori della produzione di acido gastrico che sono altamente efficaci per il trattamento dei disturbi acido-mediati del tratto digestivo superiore. Anche se hanno una lunga storia di sicurezza e di efficacia, studi epidemiologici hanno collegato l’uso dei PPI a diversi disturbi nutrizionali, metabolici e infettivi. In particolare, il loro uso prolungato è stato associato con la carenza di ferro e vitamina B12, ipomagnesiemia, fratture correlate all'osteoporosi, piccolo proliferazione batterica intestinale. Inoltre, numerosi studi recenti hanno dimostrato un'associazione tra l'uso di PPI e lo sviluppo di infezioni da Clostridium difficile (CDI).

Nonostante questa associazione epidemiologica, il motivo per cui i PPI potrebbero aumentare il rischio di CDI non è noto.
Il microbiota intestinale svolge una funzione importante nel sopprimere la crescita dei patogeni e le alterazioni nella microbiota da PPI possono indurre la proliferazione dello C. difficile. La perdita di diversità microbica del colon è una caratteristica della CDI.

L'uso prolungato di PPI è stato collegato a cambiamenti nella composizione della comunità microbica del tratto intestinale superiore in vitro. Una riduzione dell’acidità gastrica può anche influenzare la composizione microbica del tratto gastrointestinale inferiore (GI).
Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare l'impatto dell'uso dei PPI a breve e lungo periodo sul microbiota fecale e per confrontare questi cambiamenti nelle persone con nuova diagnosi di CDI. L’obiettivo finale era quello di fornire un potenziale meccanismo per l'associazione dei PPI ad un aumentato rischio di CDI.

A tal fine sono state valutate modifiche alla comunità microbica fecale indotta dall’uso dei PPI in soggetti sani utilizzando il sequenziamento delle sequenze geniche ipervariabili 16S e confrontate con pazienti con un primo episodio di CDI, naive al trattamento.
Sono stati reclutati 5 uomini e 5 donne (18-57 anni) e trattati con omeprazolo alla dose di 20 mg al giorno una volta al giorno (5 soggetti) o due volte al giorno (altri 5 soggetti). I campioni di feci sono stati raccolti prima al basale (T0) e dopo 7 giorni (T7) e 28 giorni (T28) di utilizzo dell’omeprazolo. Un campione di feci finale è stato raccolto 1 mese dopo la sospensione dell’ omeprazolo (T56).

Il DNA fecale è stato sequenziato e confrontato con quello di cinque pazienti CDI naïve al trattamento, tutte donne, di età compresa tra i 20 e i 63 anni.
I risultati dimostrano che c’è una riduzione nella diversità microbica in seguito all’uso prolungato dei PPI (28 giorni). Questa diminuzione si traduce in livelli osservati di unità tassonomiche operative (OTU) simili a quelli riscontrati in pazienti CDI naïve al trattamento. La riduzione dei livelli OTU osservati non è sempre reversibile 1 mese dopo la cessazione del trattamento.

Non si sono verificati eventi avversi nei soggetti sani trattati con omeprazolo. Un soggetto sano è stato ritirato dallo studio, dopo aver fornito la linea di base e il primo campioni di feci dopo trattamento con PPI, a causa di un uso successivo di antibiotici prescritto dal suo medico di base.
Le OTU corrispondenti al Clostridium nei soggetti CDI sono stati valutati per determinare se C. difficile potrebbe essere rilevato in tutti i cinque soggetti. C. difficile BI1 è stato rilevato in 4/5 soggetti con CDI (come OTU 57). Altre infezioni maggiori da Clostridium hanno incluso Clostridium butyricum (come OTU 377) in 4/5 soggetti CDI e Clostridium perfringens (come OTU 393) in 3/5 CDI soggetti.

Nessuna differenza significativa è stata osservata tra donne e uomini con l’infezione. Non sono state osservate differenze nelle OTU tra pazienti trattati una volta al giorno o due (239 ± 62 e 277 ± 81, rispettivamente).
Il dr. John DiBaise, gastroenterologo della Mayo Clinic ha dichiarato: «Sono anni che valutiamo le evidenze sull'uso a lungo termine di PPI rispetto all’aumento del rischio di CDI e di una serie di complicazioni associate, ma non abbiamo mai veramente capito perché. Ciò che questo studio ha fatto per la prima volta è provare una spiegazione plausibile per queste condizioni associate.»

I ricercatori hanno scoperto che l'uso di PPI diminuisce le OTU dopo 1 settimana e 1 mese, a prescindere dalla dose somministrata al paziente o dal sesso. Inoltre, i livelli di OTU nei volontari nello studio è sceso a livelli simili ai pazienti CDI, ed era in parte reversibile dopo 1 mese di sospensione dei PPI.

I ricercatori hanno concluso: «Abbiamo dimostrato che l'uso dei PPI nell'uomo riduce la diversità microbica, una condizione trovata in soggetti con infezione da Clostridium difficile. Non stiamo dicendo che la gente dovrebbe smettere di prendere farmaci antiacidi regolari; nonostante i molti rischi per la salute connessi con l'uso di PPI, hanno un ampio track record di sicurezza se usati come indicato. Quello che stiamo dicendo è che la comunità medica e della ricerca dovrebbero prendere in considerazione questi farmaci nel contesto del microbioma del paziente. Questo è un settore che ha bisogno di ulteriori studi.»

Emilia Vaccaro

Seto CT et al. Prolonged use of a proton pump inhibitor reduces microbial diversity: implications for Clostridium difficile susceptibility
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