Daclizumab HYP (acronimo per processo ad alta resa) ha ridotto i tassi di recidiva e progressione della disabilità nei pazienti affetti da sclerosi multipla (SM) in modo più efficace rispetto all'interferone beta-1a ma la tossicità epatica rilevata in studi precedenti con l'inibitore dell'interleuchina-2 è rimasto un motivo di preoccupazione. Sono i risultati di uno studio di fase III, denominato DECIDE, presentati a Boston in occasione dei lavori congiunti ACTRIMS/ECTRIMS.

I pazienti coinvolti nel DECIDE provengono da 28 Paesi, compresi Nord e Sud America, Europa occidentale e orientale e India. Per essere eligibili, i pazienti dovevano avere dai 18 ai 55 anni, con punteggi alla Expanded Disability Status Scale (EDSS) non superiori a 5, almeno due recidive negli ultimi 3 anni e almeno una negli ultimi 12 mesi.

Daclizumab è stato somministrato una volta al mese per iniezione sottocutanea. L'interferone invece settimanalmente per via intramuscolare alla dose di 30 mcg. Il trial era in doppio cieco e double-dummy, quindi i pazienti hanno ricevuto in ogni gruppo anche una iniezione di placebo in corrispondenza dell’iniezione attiva all'altro braccio. Tutti i soggetti sono stati seguiti per 144 settimane con scansioni RM e valutazioni cliniche periodiche per il monitoraggio delle recidive e del punteggio EDSS.

Nel trial, i 1.841 pazienti con malattia recidivante-remittente assegnati a daclizumab HYP hanno avuto un tasso di recidive annualizzato inferiore del 45% rispetto a quello dei soggetti trattati con interferone, ha affermato Ludwig Kappos, dell’Ospedale Universitario di Basilea (Svizzera) e primo autore dello studio. Non solo. Il rischio di progressione della disabilità confermata a 6 mesi – ha aggiunto - è stato inferiore del 27% (P = 0,033) nel gruppo daclizumab. Per ogni altra misura di efficacia inclusa nello studio, compreso la conta delle lesioni e il carico lesionale alla RM, daclizumab è risultato significativamente superiore o non peggiore rispetto all’interferone beta-1a.

Ecco più in dettaglio i principali risultati di efficacia conseguiti:
tasso annualizzato di recidiva: 0,216 per daclizumab, 0,393 per l'interferone (P <0,0001);
pazienti liberi da ricaduta alla 144 a settimana: 67% per daclizumab, 51% per interferone (con riduzione complessiva del rischio del 41%, p <0,0001);
lesioni in T2 nuove o allargate a 96 settimane: 4,3 per daclizumab, 9,6 per interferone (P <0,0001);
proporzione di pazienti con disabilità, confermata a 6 mesi, valutata a 144 settimane: il 13% per daclizumab, il 18% per interferone (P = 0.033);
cambiamento nel punteggio all’MSFC (MS Functional Composite) valutato a 96 settimane: 0,091 per daclizumab, 0,055 per interferone (P = 0.0007);
cambiamento medio annualizzato nel volume cerebrale tra le settimane 24-96: 0,52% per daclizumab, 0,56% per interferone (P <0,0001).

Kappos ha poi osservato che, tra gli outcome secondari, c’è stato un miglioramento significativo nel gruppo daclizumab nel tempo di percorrenza di 25 piedi e nel test dei 9 pioli (nine-hole peg test, NHPT), quest’ultimo test noto per essere in grado di valutare la funzione della mano, che spesso non viene considerata negli studi su farmaci nell’SM.

D’altra parte i dati relativi agli eventi avversi non sono riusciti a dissipare i timori circa il fatto che il farmaco sia seriamente epatotossico, come è emerso in studi pregressi. Una presentazione separata su poster presentata dai ricercatori del DECIDE riguardanti la sicurezza indicano che un numero maggiore di soggetti nel braccio daclizumab ha fatto registrare innalzamenti di alanina aminotransferasi superiori a cinque volte il limite superiore della norma (53 vs 30 nel gruppo interferone). Aumenti superiori a 10 volte il limite superiore della norma sono stati osservati in 24 pazienti trattati con daclizumab e 11 in quello interferone.

Inoltre, sette dei pazienti trattati con daclizumab hanno sviluppato una combinazione di elevazione di alanina e aspartato aminotransferasi tre volte sopra il limite superiore della norma più livelli di bilirubina totale doppi rispetto al limite superiore della norma, a confronto di un solo soggetto nel braccio interferone.
Il rischio di queste anomalie comunque si è mantenuto basso - più di 900 pazienti hanno ricevuto daclizumab nello studio e solo un paziente trattato con l'inibitore dell'interleuchina-2 è stato da una commissione indipendente è stato ritenuto atto a soddisfare i criteri di legge di Hy, al pari di un paziente nel braccio interferone. (La legge di Hy – si ricorda – è una regola per cui un farmaco ha un alto rischio di causare una lesione fatale al fegato se dato a un’ampia popolazione quando soddisfa determinati criteri [elevazioni superiori a 3 volte la norma di alanina transferasi, aspartato transferasi, bilirubina] nel momento in cui è somministrato a una popolazione più piccola).

Più frequenti con daclizumab sono state inoltre gravi reazioni cutanee, riscontrate in 14 pazienti rispetto al gruppo interferone, anche se in nessun caso sono stati diagnosticati casi di sindrome di Stevens-Johnson o necrolisi epidermica tossica. Anche le infezioni sono state lievemente più comuni nel braccio daclizumab.

In generale, gli eventi avversi gravi (escluse le recidive di SM) sono stati 141 nel gruppo daclizumab rispetto agli 88, con interferone. Circa il 30% dei soggetti in entrambi i gruppi hanno interrotto la terapia nel corso dello studio e gli eventi avversi sono stati la ragione più comune dato nel gruppo daclizumab (circa 50% dei casi). Per un periodo di studio di 3 anni, ha sostenuto Kappos, questo è un tasso di interruzione ragionevole.

Daclizumab HYP per iniezione sottocutanea una volta al mese «potenzialmente ha un profilo rischio/beneficio favorevole per le forme recidivanti di SM» ha concluso Kappos, definendo i problemi di sicurezza «gestibili con interventi medici e attività di monitoraggio standard».

Kappos L, et al "Primary results of DECIDE: a randomized, doubleblind, double-dummy, active-controlled trial of daclizumab HYP vs. interferon ?-1a in RRMS patients" ACTRIMS-ECTRIMS 2014; Abstract FC1.1.