La combinazione dell’inibitore della tirosin chinasi di Bruton (BTK) ibrutinib con l’anticorpo monoclonale anti-CD20 ofatumumab si è dimostrata attiva e ben tollerata in pazienti con leucemia linfatica cronica recidivata, in uno studio pubblicato di recente online sulla rivista Blood.

Inoltre, con la combinazione si è ottenuto un  tempo di risposta migliore più rapido rispetto a quanto osservato con ibrutinib in monoterapia.

Ibrutinib, aggiunto alla terapia standard, rappresenta un progresso terapeutico nella leucemia linfatica cronica, ma in monoterapia dà poche remissioni complete nei pazienti già trattati. Gli anticorpi anti-CD20 come ofatumumab, associati alla chemioterapia, hanno mostrato di migliorare la risposta e la sopravvivenza libera da progressione (PFS) in questi pazienti. Sulla base di questi studi, gli autori (coordinati da Samantha M. Jaglowski della Ohio State University di Columbus) hanno ipotizzato che l’aggiunta di ofatumumab potesse migliorare l’attività mostrata da ibrutinib in monoterapia.

Nello studio appena pubblicato, i ricercatori hanno provato quindi a valutare la sicurezza e l'efficacia della combinazione di ibrutinib e ofatumumab in dosi fisse, somministrata con tre diverse sequenze in pazienti con leucemia linfatica cronica recidivata (il 92%), piccolo linfoma linfocitico (l’1%), leucemia prolinfocitica (il 3%) o trasformazione di Richter (il 4%) già sottoposti senza successo a due o più terapie.

Il trial, di fase I/II, non randomizzato e in aperto, ha coinvolto 71 pazienti, la maggior parte dei quali con una malattia ad alto rischio. I partecipanti sono stati trattati con ibrutinib 420 mg/die per via orale al giorno e 12 dosi di ofatumumab 300/2000 mg per via endovenosa con tre diverse sequenza: 27 pazienti sono stati trattati con ibrutinib come lead-in (4 settimane prima di ofatumumab), 20 hanno iniziato i due farmaci in contemporanea e 24 sono stati trattati con ofatumumab come lead-in (8 settimane prima di ibrutinib).

L’età mediana dei partecipanti era di 64 anni (range 48-85 anni). La maggior parte (il 61%) aveva una malattia ad alto rischio (stadio Rai III o IV); il 75% aveva una mlattia bulky (linfonodi ≥5 cm), il 44% aveva la delezione del(17)(p13.1), e il 31% la delezione del(11)(q22.3). Inoltre. al basale il 70% presentava citopenia.

I pazienti avevano fatto una mediana di tre terapie (range 2-13) che tipicamente contenevano un agente alchilante, un analogo di una purina e rituximab.
Per quanto riguarda l'attività antitumorale, le percentuali di risposta complessiva nei 66 pazienti con leucemia linfatica cronica o piccolo linfoma linfocitico è stata del 100% nel gruppo trattato prima con ibrutinib, 79% nel gruppo che ha iniziato i due farmaci in simultanea e 71% nel gruppo trattato prima con ofatumumab.
La PFS stimata è risultata rispettivamente dell’89%, 85% e 75%.

Il tempo mediano di risposta è stata inferiore ai 3 mesi in tutte e tre i gruppi e le risposte sono state durature.
Il 13% dei pazienti ha interrotto il trattamento a causa di una progressione della malattia, tra cui quattro pazienti del braccio trattato prima con ofatumumab in cui si è osservata progressione della malattia già prima di iniziare ibrutinib.

Sul fronte della sicurezza, gli eventi avversi più comuni di qualsiasi grado sono stati diarrea (70%), reazioni correlate all’infusione (45%), neuropatia sensoriale periferica (44%) e stomatite (38%); questi effetti sono stati per lo più di grado 1 o 2, quindi lievi. Invece, non ci sono stati decessi correlati al trattamento.

Otto pazienti (l’11%), di cui tre nel primo e nel secondo gruppo e due nel terzo gruppo, hanno manifestato eventi avversi che hanno portato a sospendere ibrutinib.

“Questo studio dimostra che ibrutinib e ofatumumab mostrano un’attività clinica elevata nei pazienti con leucemia linfatica cronica/piccolo linfoma linfocitico recidivati/refrattari, con tutte e tre le sequenze studiate” scrivono la Jaglowski e i colleghi nella discussione, sottolineando che il campione era formato da pazienti altamente pretrattati, la maggioranza dei quali ad alto rischio.
Inoltre, osservano i ricercatori, la risposta è stata più rapida di quanto atteso in base all’esperienza precedente fatta con ibrutinib in monoterapia.
Inattesa, invece, la neuropatia, che è stata però lieve e limitata nel tempo.

In prospettiva, concludono i ricercatori, i benefici a lungo termine dell’aggiunta di un anticorpo anti-CD20 a rituximab andranno confermati con studi di fase III in cui si valutino sia l’efficacia sia la tossicità aggiuntiva della combinazione. Studi di questo genere in cui si sta utilizzando rituximab sono già in corso.

Alessandra Terzaghi

S.M. Jaglowski, et al. Safety and activity of BTK inhibitor ibrutinib combined with ofatumumab in chronic lymphocytic leukemia: a phase 1b/2 study. Blood. 2015; doi: 10.1182/blood-2014-12-617522.
http://www.bloodjournal.org/content/early/2015/06/30/blood-2014-12-617522?sso-checked=true