Nei pazienti con artrite reumatoide la depressione può aggravare il dolore, l’attività di malattia e ridurre l’efficacia di terapie farmacologiche quali DMARDs biologici e farmaci di sintesi chimica. È quanto affermano gli esperti dell’Università del Massachusetts che, in una recente analisi sistematica della letteratura (1), hanno analizzato l’impatto della depressione sulla progressione della malattia e sull’efficacia del trattamento.

La depressione è una comorbidità piuttosto diffusa fra questi pazienti, con una prevalenza 2-3 volte superiore rispetto alla popolazione generale. Inoltre nei pazienti con AR la depressione si manifesta indipendentemente dalle caratteristiche socio-demografiche.

Nei pazienti con AR, le complicazioni associate alla depressione includono un aumentato rischio di inabilità al lavoro, mortalità e infarto del miocardio. Da non sottovalutare poi il fattore economico. La depressione in AR determina un aumento dei costi diretti di quasi il 7,2% per paziente/anno.

In quadro clinico già pesantemente colpito da una maggiore sensibilità al dolore e da atteggiamenti di evitamento dell’attività fisica, la depressione sembra infatti rappresentare una ulteriore e spesso sottostimata aggravante, in molti casi responsabile di abbandono precoce della terapia e mancata risposta.

Per giungere a queste conclusioni, gli autori hanno analizzato le pubblicazioni scientifiche prodotte dal 1998 - ovvero a partire dall’avvento dei farmaci biotecnologici – che valutavano l’impatto della depressione nell’artrite reumatoide. Degli articoli riguardanti artrite reumatoide e depressione, solo sette valutavano la relazione temporale fra depressione e attività di malattia, persistenza al trattamento e risposta alla terapia.

Le popolazioni oggetto di studio includevano pazienti con AR e depressione diagnosticata con vari metodi: dalla diagnosi meramente clinica, a quella basata sui criteri del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders Fourth Edition (DSM-IV), passando per l’utilizzo di scale validate e questionari in autosomministrazione quali ad esempio il Beck Depression Inventory (BDI) e le Hospital Anxiety and Depression Scale (HADS). Gli outcome analizzati comprendevano tre categorie: attività di malattia, persistenza e risposta al trattamento.

Le popolazioni descritte nei sette articoli inclusi nella revisione erano costituite in prevalenza da  donne anziane e di mezza età in USA e Europa. I disegni di studio erano i seguenti: 5 studi prospettici di coorte, uno studio randomizzato controllato ed una post hoc analisi di dati clinici aggregati, con una numerosità campionaria variabile da 45 a 389 pazienti. In conseguenza dell’ampia eterogeneità dei disegni di studio e del campione, gli autori non hanno potuto eseguire un’analisi quantitativa degli outcome degli studi prescelti.

Delle sette pubblicazioni incluse nella revisione sistematica, l’attività di malattia è stata valutata in due di queste (2,3), in cui pazienti AR di sesso femminile erano sottoposte a basse dosi di methotrexate (≤10 mg a settimana) e basse dosi di prednisone (≤7.5 mg al giorno). In questi studi la depressione è risultata essere un moderatore significativo di stress, con una depressione elevata che correla con un più ampio effetto dello stress sull’attività di malattia.

Due articoli hanno invece investigato la persistenza al trattamento dell’AR (4,5), identificando dai medical record ogni possibile causa di interruzione del trattamento, distinguendo fra una generica ragione e l’inefficacia del trattamento. In uno dei due studi non è stata trovata alcuna relazione fra la depressione al baseline e la sospensione dei DMARD a 1 anno per una generica ragione. L’altro studio al contrario ha trovato un’associazione positiva (HR = 1.68; CI 1.08, 2.60), ancor più palese quando la ragione della sospensione era l’inefficacia (HR = 1.86; CI 1.01, 3.43).

Lo studio in cui venivano condotte analisi post hoc dei dati aggregati provenienti da più studi controllati, in cui i pazienti erano randomizzati a MTX o MTX in combinazione con etanercept, è risultato essere decisivo (6). Gli autori infatti osservato che i pazienti con depressione al baseline avevano probabilità inferiori di raggiungere la remissione clinica ed una più bassa attività di malattia - misurata con il DAS28 (42.4% vs 56.3% and 56.3% vs 69.3%, rispettivamente) o sulla base di ACR20, 50 o 70, HAQ-DI e VAS dolore - rispetto ai pazienti senza depressione.

Pertanto, oltre al peggioramento del condizioni di salute e all’aumento della spesa sanitaria, la depressione interferisce anche con le attività della vita quotidiana, determinando un peggioramento della qualità della vita, insieme ad una riduzione della persistenza e dell’efficacia del trattamento farmacologico. Infatti i soggetti affetti da depressione cronica tendono a non avvertire immediatamente i benefici del trattamento, con compromissione degli outcome clinici sul lungo termine e decretando di conseguenza l’inefficacia del trattamento.

Quali le ragioni alla base dell’evidenza? Nel discutere i risultati emersi, gli autori ipotizzano due possibilità. La depressione potrebbe essere correlata a un processo mentale in grado di suscitare pensieri negativi incontrollati e ripetitivi, che agiscono direttamente sulle vie somatiche determinando l’attivazione dell’immunità cellulo-mediata e quindi un aggravamento dell’attività di malattia.
In alternativa, i sintomi della depressione potrebbero indurre il paziente con AR a evitare qualsiasi forma di attività fisica. Tale atteggiamento potrebbe risultare quindi in un decondizionamento dell’organismo e in una perdita di endorfine endogene, che potrebbero concorrere ad aumentare il dolore muscolo scheletrico.

Gli autori concludono sottolineando la necessità di condurre studi osservazionali in grado di valutare come la depressione moduli la risposta al trattamento farmacologico in più ampie ed eterogenee casistiche di pazienti, allo scopo di supportare lo sviluppo di raccomandazioni utili alla pratica clinica in ambito reumatologico.


Francesca Sernissi

1    Rathbun AM, Reed GW, Harrold LR. The temporal relationship between depression  and rheumatoid arthritis disease activity, treatment persistence and response: a systematic review. Rheumatology (Oxford).
2    Zautra AJ, Smith BW. Depression and reactivity to stress in older women with rheumatoid arthritis and osteoarthritis. Psychosom Med 2001;63:687–96.
3    Zautra AJ, Yocum DC, Villanueva I, et al. Immune activation and depression in women with rheuma-toid arthritis. J Rheumatol 2004;31:457–63.
4    Wong M, Mulherin D. The influence of medication beliefs and other psychosocial factors on early discontinuation of disease-modifying anti-rheumatic drugs. Musculoskel Care 2007;5:148–59.
5    Mattey DL, Dawes PT, Hassell AB, Brownfield A, Packham JC. Effect of psychological distress on continuation of anti-tumor necrosis factor therapy in patients with rheumatoid arthritis. J Rheumatol 2010;37:2021–4.
6    Kekow J, Moots R, Khandker R, Melin J, Freundlich B, Singh A. Improvements in patient-reported outcomes, symptoms of depression and anxiety, and their association with clinical remission among patients with moderate-to-severe active early rheumatoid arthritis. Rheumatology 2011;50:401–9.