Da qualche anno, per diverse patologie abbiamo a disposizione i farmaci biosimilari. Queste molecole non sono equiparabili ai farmaci generici e sono sottoposte a studi clinici anche di fase III prima di arrivare in commercio in modo da dimostrarne efficacia, sicurezza e una immunogenicità confrontabile al farmaco originatore.
Questa non inferiorità è stata mostrata di recente per quanto riguarda il biosimilare di infliximab CT-P13 in un trial da poco pubblicato su Lancet, lo studio NOR-SWITCH.
Questi e numerosi altri approfondimenti sull’uso dei biosimilari in diverse aree della medicina sono stati gli argomenti di una due giorni promossa dalla Fondazione The Bridge che si è svolta a Roma il 23 e 24 maggio, dal titolo “Farmaci biosimilari, da terapia innovativa a pratica quotidiana”.
«L’obiettivo principale della Fondazione The Bridge è la sostenibilità del SSN e i farmaci biosimilari sono una grande risorsa perché coniugano qualità a minor costo», spiega Rosaria Iardino, presidente della Fondazione “The Bridge”.
Fondazione The Bridge è nata nel 2014 per supportare interventi e progetti di ricerca in ambito sanitario e socioassistenziale. La scelta del nome vuole indicare la caratteristica saliente della Fondazione, ossia l’impegno a rinforzare sempre, nelle proprie iniziative, la relazione tra i diversi stakeholder: medici, pazienti, società civile, istituzioni, aziende.
Come riportato in diversi lavori scientifici l’uso dei biosimilari va incoraggiato perché è un modo per diminuire la spesa farmaceutica ospedaliera in quanto con il loro utilizzo è possibile ottenere un notevole risparmio.
Per avere un’idea dell’abbattimento di questi costi, uno studio apparso nel 2015 sulla rivista Pharmacoeconomics Italian Research Articles ha stimato che, utilizzando in maniera allargata i biosimilari, nel 2020 nel nostro Paese si potrebbero risparmiare fino a 450-570 milioni di euro.
Linee guida all’uso dei biosimilari Lo scorso 5 maggio, l’Ema ha pubblicato una nuova guida sui biosimilari per gli operatori sanitari. Questa guida ribadisce la definizione di farmaco biosimilare e gli studi a supporto della sua autorizzazione al commercio.
Nell’illustrare i principali punti chiave della guida europea all’uso di questi farmaci, il prof. Piercarlo Sarzi Puttini ha sottolineato come i biosimilari non possono essere considerati alla pari dei generici. Questi ultimi, infatti, sono prodotti di sintesi chimica, possono essere identici all’originator, nella maggior parte dei casi sono molecole piccole e facili da caratterizzare, devono essere supportati unicamente da dati completi di qualità farmaceutica.
I biosimilari, invece, sono ottenuti da fonti biologiche e sono molecole di grandi dimensioni e con una certa complessità che richiede diverse tecnologie per la loro caratterizzazione.
Dalle autorità regolatorie sono in genere richiesti dati completi di qualità farmacologica insieme a dati qualitativi aggiuntivi di confronto tra la struttura e l’attività biologica del biosimilare rispetto al farmaco di riferimento.
Vengono in genere richiesti anche studi aggiuntivi a quelli effettuati normalmente per l’originator come trial non clinici di confronto, studi qualitativi di confronto, studi clinici comparativi e un piano di risk management come richiesto per il farmaco di riferimento.
Questi studi garantiscono la funzionalità del biosimilare, l’efficacia e la sicurezza rispetto all’originator.
«Da due anni abbiamo la possibilità di utilizzare infliximab biosimilare CT-P13”, ha sottolineato il prof. Alessandro Armuzzi, responsabile IBD unit, complesso integrato Columbus, Fondazione Policlinico Gemelli Università Cattolica, Roma “i dati disponibili mostrano che questa molecola è altrettanto efficace e sicura rispetto all’infliximab originatore».
Lo studio NOR-SWITCH Durante la due giorni sono stati presentati anche i dati dello studio NOR-SWITCH dalla dott.ssa Kristin Kaasen Jorgensen della Oslo University Hospital in Norvegia in cui il biosimilare di infliximab, CT-P13, ha dimostrato di essere non inferiore all’originator.
Questo studio fondamentalmente ha risposto alle domande: il passaggio da originatore a biosimilare è sicuro? È sicuro estrapolare le indicazioni? E’ possibile lo switch di un paziente dall’originatore al biosimilare in corso di terapia, al fine di ridurre i costi?
Lo studio NOR-SWITCH, un trial randomizzato, in doppio cieco, a gruppi paralleli ha valutato efficacia , sicurezza e immunogenicità del passaggio da farmaco originatore al biosimilare in pazienti con Crohn, colite ulcerosa, spondiloartrosi, artrite reumatoide e psoriasi cronica a placche
Si tratta di uno studio di non inferiorità, di fase 4 con un follow up a 52 settimane condotto in pazienti in trattamento stabile con infliximab originator da almeno 6 mesi, in ambiente ospedaliero.
I 482 pazienti arruolati sono stati randomizzati 1:1 a proseguire il solito trattamento o a passare al biosimilare. I dati sono stati raccolti da 40 centri in Norvegia alla visita di infusione. L’endpoint primario era il peggioramento della malattia durante il follow up.
L’analisi primaria per-protocol eseguita su 394 pazienti doveva mostrare la non inferiorità con un margine del 15% assumendo il 30% di peggioramento per ogni gruppo.
Il 32% dei pazienti aveva malattia di Crohn, il 19% aveva colite ulcerosa, il 19% aveva spondiloartrosi, il 16% artrite reumatoide, il 6% artrite psoriasica, e il 7% psoriasi cronica a placche.
I risultati del trial hanno mostrato che il peggioramento delle malattie si è verificato nel 26% dei pazienti trattati con infliximab originator e nel 30% dei pazienti nel gruppo che ha ricevuto il biosimilare (set di analisi per-protocol, differenza di trattamento aggiustata -4,4%, 95% CI da -12,7 a 3.9).
La frequenza degli eventi avversi è stata simile tra i gruppi (per gli eventi avversi gravi, 24 [10%] per l’originator vs 21 [9%] per il biosimilare; gli eventi avversi complessivi sono stati 168 [70%] vs 164 [68% e gli eventi avversi che hanno portato alla sospensione del trattamento sono stati 9 [4%] vs 8 [3%] rispettivamente).
Lo studio NOR-SWITCH ha dimostrato che il passaggio da infliximab al biosimilare CT-P13 non è inferiore al trattamento continuato con infliximab originator in base a un margine di non inferiorità prestabilito del 15%. Lo studio non aveva la potenza necessaria per dimostrare la non inferiorità nelle singole patologie studiate.
Il punto di vista del dermatologo Anche in dermatologia stanno iniziando ad arrivare i biosimilari: da oltre un anno nel nostro Paese è disponibile CT-P13, biosimilare di infliximab, e altri saranno disponibili nei prossimi anni.
In ambito dermatologico, la principale necessità è legata alla disponibilità di farmaci efficaci per la cura della psoriasi, ma a un costo inferiore rispetto alle molecole oggi disponibili.
Anche in dermatologia, i biologici hanno rivoluzionato la cura di diverse patologie, prima fra tutti la psoriasi. Tuttavia, questi farmaci rimangono sotto utilizzati, in parte per riserve legate alla loro sicurezza, ma soprattutto per i costi della terapia. Uno studio pubblicato nel 2015 pone in luce come il costo della terapia sia di gran lunga (48,8% dei casi) il fattore principale che limita l’impiego di questi farmaci.
Da qui il grande interesse per i biosimilari che coniugano efficacia e contenimento della spesa. Questi farmaci, di così recente introduzione vanno attentamente monitorati e a questo scopo, la SiDeMaST, Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse, ha messo a punto un registro online dedicato ai biosimilari. Attraverso questo registro è possibile inserire i dati dei pazienti in terapia con questi farmaci per la cura della psoriasi.
«Il registro è di facile compilazione e invito tutti i dermatologi a inserire i propri dati», afferma Paolo Gisondi, professore associato presso il Dipartimento di Medicina, Sezione di Dermatologia e Venereologia dell'Università di Verona.
Ad oggi, il registro è stato avviato in 33 centri italiani e include i dati di 240 pazienti con psoriasi che vengono seguiti in modo prospettico. I dati inclusi nel registro riguardano gli indici di gravità della malattia, PASI e BSA, i dati generali del paziente e i dati di sicurezza del farmaco.
I primi dati del registro, pubblicati lo scorso mese di maggio sul British Journal of Dermatology, mostrano che il biosimilare di infliximab è efficace nei pazienti naive in modo simile al farmaco originatore. L’analisi dei dati nel Registro ha mostrato una riduzione statisticamente e clinicamente significativa del PASI a 2, 4 e 6 mesi nell’80% dei pazienti.
Nei pazienti che hanno effettuato lo switch dall’originatore al biosimilare, caratterizzati da un PASI molto basso all’inizio dello studio, pari a circa 2, tale indice si mantiene invariato nel tempo fino al mese 6 anche con il farmaco copia.
Anche dal punto di vista della sicurezza, i dati del registro sono rassicuranti perché solo pochi pazienti hanno lamentato eventi avversi per lo più legati a rush nella sede dell’iniezione, piastrinopenia, insorgenza di infezione da herpes zoster.
«Al momento i dati disponibili dimostrano che il biosimilare di infliximab CT-P13 presenta lo stesso profilo di efficacia e sicurezza dell’originatore e che è possibile effettuare lo switch dall’originatore al biosimilare senza perdere di efficacia e senza incorrere nel rischio di effetti collaterali legati al passaggio al biosimilare» spiega Gisondi.
Il punto di vista del reumatologo Da oltre 15 anni i farmaci biologici e biotecnologici hanno rivoluzionato la cura delle malattie reumatiche su base infiammatoria. Per alcuni di questi farmaci oggi è disponibile la versione biosimilare e l’utilizzo di queste molecole nella pratica clinica quotidiana è ad oggi oggetto di dibattito.
«Reumatologi, pazienti e rappresentati del servizio sanitario della Regione Emilia Romagna, qualche anno fa hanno messo a punto un position paper sull’utilizzo dei biosimilari in reumatologia», spiega Marco Sebastiani, reumatologo dell’Università di Modena e Reggio Emilia.
Dal documento emerge che questi farmaci rappresentano una grande opportunità per i malati, per i clinici e per il servizio sanitario, che ha la possibilità di trattare più persone e con farmaci di pari efficacia.
«Nel documento è stato ribadito il ruolo del clinico nella scelta del farmaco da utilizzare, per evitare, come accade per i generici, lo switch automatico da parte del farmacista sulla base del costo dei farmaci. Essendo i biosimilari dei farmaci diversi dai generici è stato riconosciuto il diritto-dovere del clinico, insieme al malato, di decidere quale terapia adottare», spiega Sebastiani.
I medici sono concordi nell’utilizzare i biosimilari come farmaci di riferimento per i pazienti naive e si riservano il diritto di valutare caso per caso la possibilità di passare dall’originatore al biosimilare.
«L’esperienza di alcuni centri di reumatologia dimostra un’ottima tollerabilità del biosimilare CT-P13, che si presenta con le stesse caratteristiche dell’originatore, non evidenziando differenze rispetto a quest’ultimo. I dati di registro, ad esempio quelli del registro GISEA, tra non molto ci permetteranno di portare all’opinione pubblica l’esperienza della reumatologia italiana sull’utilizzo di questi farmaci», conclude Sebastiani.
Il punto di vista del gastroenterologo L’utilizzo di farmaci biosimilari potrebbe contribuire al trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD) a un costo inferiore rispetto a quello dei corrispondenti originator, coniugando sostenibilità del sistema sanitario e qualità della terapia.
Lo studio PROSIT-BIO, recentemente pubblicato sulla rivista Inflammatory Bowel Diseases, ha coinvolto 31 centri italiani e 547 pazienti (di cui 27 pediatrici) con colite ulcerosa e malattia di Crohn, cui è stato somministrato il CT-P13, biosimilare di infliximab.
Lo studio della pratica clinica quotidiana ha permesso di confermare un elevato profilo di sicurezza ed efficacia sia nei pazienti naive al trattamento con un farmaco biologico, sia in pazienti già esposti ad altri anticorpi monoclonali, dimostrando così la sovrapponibilità tra infliximab originator e il suo biosimilare CT-P13.
Se all’inizio i clinici hanno avuto un atteggiamento cauto, interrogandosi sull’effettiva equivalenza tra biosimilare e originator, questa percezione con il tempo si è capovolta, quando il biosimilare CT-P13 è entrato nella pratica clinica e gli specialisti hanno cominciato a fare esperienza sul campo.
I vari studi tuttora in corso o pubblicati di recente, come PROSIT-BIO, hanno avvalorato la totale sovrapponibilità in termini di efficacia, sicurezza e immunogenicità, convincendo la comunità dei gastroenterologi. Lo dimostrano le due survey condotte da ECCO (European Crohn’s Colitis Organization), su medici esperti di MICI e prescrittori di terapia biologica: se, nel 2013, solo il 12,6% si sentiva molto o del tutto a proprio agio nell’utilizzo dei biosimilari e il 6% li riteneva intercambiabili con il farmaco di riferimento, nel 2015 le percentuali sono salite rispettivamente al 46,6% e al 44,4%.
«All’inizio del 2017 anche ECCO ha aggiornato la propria posizione, in un nuovo Position Paper che elimina ogni timore residuo sull’uso dei biosimilari nelle MICI, sia per i pazienti naïve sia per chi è già in trattamento con originator, quando la loro bioequivalenza è garantita a livello europeo», spiega Alessandro Armuzzi, responsabile IBD unit, complesso integrato Columbus, Fondazione Policlinico Gemelli Università Cattolica, Roma.
Il punto di vista dei pazienti «I biosimilari consentono un risparmio economico e in generale noi siamo a favore di una riduzione della spesa pubblica”, spiega Maria Grazia Pisu, presidente di ALOMAR. “L’aspetto economico è uno dei principali aspetti positivi di questi farmaci, specialmente se consentono di aumentare il numero di pazienti che possono accedere a terapie biologiche”, aggiunge Ugo Viora, presidente ANAP onlus e ANMAR Piemonte. “D’altro canto, continua Pisu, i pazienti non sono ancora ben informati sulle differenze tra biosimilari e originator, non solo in termini di costi, ma soprattutto dal punto di vista scientifico e vogliono saperne di più sulle sperimentazioni cliniche in corso e sui risultati degli studi precedenti condotti per valutare l’efficacia e la sicurezza dei biosimilari».
«L’informazione verso i pazienti deve essere completa e comprensibile. Come associazioni vogliamo essere nelle condizioni di aiutare quelle persone che hanno ancora dubbi su questi farmaci. Inoltre, necessitiamo di dati sulla validità dei biosimilari nel lungo periodo, per potere dare certezza della loro efficacia ai pazienti in terapia da anni con farmaci biologici», conclude Viora.
In sintesi
«Abbiamo messo intorno a un tavolo medici, pazienti, aziende sanitarie e Regioni per capire i differenti punti di vista sui biosimilari», spiega Alessandro Battistella, Esperto di Servizi Sociali e Sanitari, Università Cà Foscari, Venezia, del Centro studi Fondazione The Bridge.
I clinici si dividono in tre categorie: quelli che non hanno una grande conoscenza sui biosimilari, quelli che conoscono bene questi farmaci e sono convinti della loro efficacia e sicurezza e quelli che hanno ancora delle resistenze, principalmente dovute al problema dello switch e della responsabilità del medico che effettua il passaggio da originator a biosimilare.
«Quello che è emerso da questo incontro è la necessità dei medici di avere più informazioni su questi farmaci e soprattutto sul loro utilizzo nella pratica clinica quotidiana», spiega Battistella.
Le strutture ospedaliere sono favorevoli all’utilizzo dei biosimilari, soprattutto per questioni legate ai costi. Dall’incontro è emersa, però, una certa preoccupazione riguardante una possibile riduzione del sostegno da parte delle aziende produttrici di originator nelle attività di ricerca o di altre attività portate avanti dalle aziende ospedaliere.
Le Regioni hanno punti di vista differenti riguardo ai biosimilari. Per alcune, questi farmaci rappresentano un’opportunità per liberare risorse, per altre sono solo un’opportunità di risparmio.
I pazienti sono generalmente favorevoli all’utilizzo dei biosimilari in quanto permettono di ridurre la spesa pubblica, ma chiedono maggiori informazioni su questi farmaci. Infine, i pazienti chiedono di reinvestire i costi risparmiati dall’utilizzo dei biosimilari per le stesse patologie in cui vengono utilizzati.
Elisa Spelta
Emilia Vaccaro
Jørgensen KK. et al. Switching from originator infliximab to biosimilar CT-P13 compared with maintained treatment with originator infliximab (NOR-SWITCH): a 52-week, randomised, double-blind, non-inferiority trial. Lancet. 2017 May 11. pii: S0140-6736(17)30068-5. doi: 10.1016/S0140-6736(17)30068-5.
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Dermatologia
Biosimilari, da terapia innovativa a pratica quotidiana in diversi ambiti della medicina
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