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Diagnosi 3D, resistenza agli antibiotici e novità terapeutiche: gli hot topics del 90^ congresso della SIU

Fusion biopsy, antibiotico-resistenza, novità sul trattamento del carcinoma della prostata resistente alla castrazione. Sono questi alcuni degli hot topics del 90° Congresso Nazionale della Società Italiana di Urologia appena conclusosi a Napoli.

Fusion biopsy, antibiotico-resistenza, novità sul trattamento del carcinoma della prostata resistente alla castrazione. Sono questi alcuni degli hot topics del 90° Congresso Nazionale della Società Italiana di Urologia appena conclusosi a Napoli.

Il tumore della prostata è la neoplasia più frequente negli uomini, la cui incidenza aumenta progressivamente con l’età. Ogni anno in Italia si registrano circa 34mila nuovi casi di carcinoma alla prostata e la mortalità è costantemente in calo grazie alla diagnosi precoce e alle numerose cure disponibili

“Inizialmente – spiega Vincenzo Mirone, professore Ordinario di Urologia dell’Università Federico II di Napoli e Segretario Generale della Società Italiana di Urologia (SIU) – la malattia è confinata alla ghiandola prostatica ed è spesso caratterizzata da una crescita molto lenta: può restare asintomatica e non diagnosticata anche per anni. Al contrario, in altri casi il tumore può risultare molto aggressivo e diffondersi velocemente ad altre parti del corpo, soprattutto a livello linfonodale ed osseo”.

Capire dunque quale tipologia si ha di fronte è indispensabile per decidere come procedere e quale strategia scegliere, fra le tante a disposizione.
Oggi l’urologo esegue la biopsia inserendo l’ago con l’aiuto di un’immagine ecografica che non distingue quasi mai tra tessuto sano e tumore. Vengono quindi effettuati dei prelievi random in tutto l’organo, rischiando in alcuni casi di non prelevare il tessuto tumorale.

A questo problema si sta finalmente ovviando con l’adozione di ecografi tridimensionali e con l’uso di software appositi che simulano, ricostruiscono e registrano il percorso dell’ago all’interno della prostata. Il sistema prende il nome di Fusion Biopsy o biopsia con fusione, che consente in maniera estremamente efficace di mirare, in associazione con lo stesso software 3d, le zone evidenziate come sospette dalla risonanza magnetica, trasferendo in pratica le informazioni della risonanza sull’immagine ecografica tridimensionale. “La Biopsia Fusion si avvale d’immagini potenziate, grazie all’integrazione con la Risonanza Magnetica Multiparametrica capace di evidenziare le zone sospette come veri e propri bersagli da cui estrarre il materiale per l’analisi al microscopio (analisi istologica)”, spiega il segretario generale della SIU.

Questa nuova tecnica consente di affinare la diagnosi del tumore alla prostata dando al medico la possibilità di intervenire in modo più preciso ed efficace.
In pratica, la fusione delle immagini della risonanza magnetica a quelle ecografiche permette all’Urologo di mirare sulle zone in cui è più probabile che ci sia una lesione tumorale. “Confrontando i riscontri della biopsia ecoguidata standard con la tecnica Fusion – aggiunge il prof. Mirone - si osservano una riduzione dei prelievi prostatici, dei casi falsi-negativi, delle più comuni complicanze da biopsia transrettale, quali sangue nelle urine, nel liquido seminale e nel retto, infezioni urinarie dovute al potenziale passaggio di germi dal retto alla prostata e prostatiti acute”.

La Biopsia Fusion è già disponibile in moltissimi centri italiani che si sono dotati del software necessario. Inoltre, molti specialisti e diverse cliniche noleggiano la macchina quando hanno diverse procedure da eseguire. “Ma bisogna evitare gli sprechi – conclude il prof. Mirone. Questa metodica andrebbe utilizzata in pazienti che devono ripetere la biopsia a seguito di un sospetto clinico che persiste dopo una biopsia negativa”.

Quando la malattia è conclamata bisogna far ricorso alle terapie farmacologiche. Negli ultimi anni e mesi si sono susseguiti diversi studi che hanno valutato l’importanza delle terapie ormonali di nuova generazione in pazienti con carcinoma della prostata resistente alla castrazione (CPRC).

“La biopsia di fusione di immagini è una metodica nuova che permettere di fondere le immagini ottenute tramite una risonanza magnetica multiparametrica della prostata con l’ecografia in tempo reale in modo da permetterci di andare a fare delle biopsie mirate delle aree di interesse e che quindi possono avere un significato tumorale a livello della ghiandola prostatica stessa” precisa Giovanni Lughezzani –Istituto Humanitas, Rozzano (MI)-ai nostri microfoni.


“La tendenza a livello farmacologico nel prossimo futuro”-sottolinea Alberto Lapini- Prostate Cancer Unit, AOU Careggi Firenze-ai microfoni di Pharmastar- “sarà quella di usare in fase sempre più precoce la classica terapia androgeno deprivativa in associazione ai nuovi farmaci come taxani o abiraterone o enzalutamide che trovano una collocazione anticipata rispetto a quella degli studi registrativi. Ci sono due novità che derivano dagli studi CHAARTED con docetaxel e al LATITUDE con abiraterone che mostrano una sopravvivenza nettamente aumentata nei soggetti trattati in combinazione nella fase metastatica ma ancora ormono-sensibile. Inoltre, si sta pensando di andare a trattare gli M0 CRCP in cui non c’è ancora una terapia approvata e dove se lo studio con enzalutamide porterà come sembra dei benefici avremo un’arma vincente anche per questi pazienti. Ultimo la possibilità di usare le combinazioni anche alla ripresa biochimica della malattia.”

Altro argomento molto attuale analizzato durante il 90^ congresso SIU è stato l’antibiotico-resistenza. Il massimo uso e abuso di antibiotici si verifica, infatti, anche in urologia. Secondo le stime della Società Italiana di Urologia, in circa il 40% delle cistiti, cosi come per altre infezioni del tratto urogenitale, c’è un uso inappropriato di antibiotici.

“Ormai da tempo – spiega il prof. Mirone– questa problematica è una vera e propria priorità di sanità pubblica a livello mondiale, non soltanto per le importanti implicazioni cliniche (aumento della morbilità, letalità, durata della malattia, possibilità di sviluppo di complicanze, possibilità di epidemie, comparsa di malattie che si credevano sconfitte), ma anche per la ricaduta economica delle infezioni da batteri antibiotico-resistenti, dovuta al costo aggiuntivo richiesto per l’impiego di farmaci e di procedure più costose, per l’allungamento delle degenze in ospedale e per eventuali invalidità”. Basti pensare che abbassando i consumi a livello dei paesi del Nord Europa si potrebbero risparmiare ogni anno 316 milioni di euro.

“Le infezioni urologiche, per la loro larga incidenza e per il fatto che sono spesso sottovalutate e trattate autonomamente dal paziente – prosegue il prof. Mirone – sono uno dei motivi principali dello sviluppo di tali resistenze. Basti pensare alle cistiti nelle giovani donne. C’è poi il problema dell’autoprescrizione che è un dato non stimabile ma molto diffuso specie quando le cistiti sono recidivanti e le donne pensano di trattarle ricorrendo allo stesso farmaco prescritto dal medico la prima volta”.

“Altro errore che comunemente viene fatto nella pratica clinica urologica è il trattamento della batteriuria asintomatica”-sottolinea Tommaso Cai, Dipartimento di Urologia dell’Ospedale Santa Chiara di Trento- “Se un paziente presenta dei batteri nelle urine e non ha sintomi non deve essere trattato. Bisogna trattare il paziente ed i suoi sintomi ma non i risultati microbiologici. Studi recenti hanno dimostrato, inoltre, che il trattamento della batteriuria asintomatica non solo non è indicato ma espone il paziente a rischi di infezioni più gravi. Infine – aggiunge il prof. Cai – l’antibiotico viene dato spesso anche a pazienti con colica renale che non necessitano di questo tipo di terapia ma ai quali viene prescritto in maniera preventiva”

“I fluorochinoloni sono gli antibiotici che hanno perso più rapidamente efficacia – sottolinea il prof. Mirone – e purtroppo in Italia la percentuale di resistenza a questa classe è tra le più alte in Europa ed oscilla tra il 25 e il 50% a seconda delle regioni e degli ospedali Anche i carbapenemi, considerati spesso l’ultima risorsa disponibile per il trattamento di alcune infezioni da Gramnegativi, sono minacciati dalla nascita e dalla diffusione di nuovi meccanismi di resistenza, come le metallo-beta-lattamasi”.
Secondo uno studio pubblicato sul British Medical Journal on line da un gruppo di clinici dell’Università di Gottingen, è possibile evitare l’utilizzo di antibiotici soprattutto nei pazienti pronti a sopportare sintomi un po’ più significativi. Dopo averne discusso con 500 pazienti affette da varie infezioni urinarie, i ricercatori anziché prescrivere l’antibiotico hanno fatto ricorso ad un antinfiammatorio non steroideo, tipo l’Ibuprofene, dilazionando così una prescrizione più mirata dopo una eventuale valutazione colturale positiva ed il relativo antibiogramma. I ricercatori tedeschi hanno osservato che, dopo un monitoraggio di quattro settimane, solo un terzo delle donne con infezioni delle vie urinarie ha avuto poi la necessità di utilizzare antibiotici specifici.

“Si tratta di una strategia terapeutica intelligente e che potrebbe consentire una netta riduzione dell’uso di antibiotici – commenta il prof. Mirone –: le infezioni del basso tratto urinario possono essere autolimitate perché il sistema immunitario è già in grado di debellarle da solo. Tuttavia, l’antibiotico serve per ridurre la durata della malattia e dare il tempo al sistema immunitario di attrezzarsi per combattere da solo l’infezione”.