“Sostanzialmente positivo il giudizio che emerge dall’edizione 2012 del Rapporto AIFA sull’uso dei farmaci in Italia (Rapporto OsMed)  sull’operato della rete diabetologica nazionale”, ad affermarlo è Antonio Ceriello, Presidente di Associazione medici diabetologi (AMD), la società scientifica cui fanno capo gli oltre 600 centri di diabetologia italiani operanti nell’ambito del Servizio sanitario nazionale. 

“Per la prima volta  – ricorda Ceriello – l’Agenzia Italiana del Farmaco nella realizzazione del Rapporto OsMed si è avvalsa, per analizzare i comportamenti prescrittivi dei farmaci nelle persone con diabete, del database Annali AMD, probabilmente la raccolta dati più completa al mondo sulla malattia diabetica, che esamina, ad oggi, le modalità di assistenza, l’impiego dei farmaci antidiabete, antipertensivi e ipolipemizzanti, oltre ai risultati clinici in oltre 500.000 persone con diabete – 1 su 6 in Italia – nella metà, oltre 300, dei centri di diabetologia sul territorio nazionale. Questa collaborazione con l’Autorità regolatoria nazionale, da un lato, è un importante riconoscimento per il lavoro che in questi 10 anni AMD ha compiuto per mettere in atto un sistema di analisi e miglioramento della qualità dell’assistenza diabetologica in Italia, dall’altro, permette alle Istituzioni di ottenere informazioni approfondite sul carico assistenziale delle due forme di diabete e sull’appropriatezza prescrittiva degli specialisti”, conclude.

I dati del rapporto OsMed 2012 dell’AIFA  relativi al diabete evidenziano un’intensificazione dei trattamenti e anche un moderato incremento dell’appropriatezza prescrittiva, pur con margini di miglioramento.
Nel diabete tipo 1, nell’arco temporale 2004-2011, si è avuta una radicale modifica nel trattamento insulinico, con il progressivo abbandono delle insuline con durata d’azione intermedia e premiscelate, e l’adozione dei regimi cosiddetti “basal-bolus”, che mimano meglio la risposta fisiologica dell’insulina endogena. Anche l’utilizzo della tecnologia dell’infusione continua sottocutanea, attraverso microinfusori, è raddoppiata nel periodo di osservazione: oggi è utilizzata dal  16,5% delle persone con diabete tipo 1, con una maggiore frequenza di utilizzo nella donna e indipendentemente dalla durata della malattia e dalla fascia di età. 

“I cambiamenti terapeutici si sono tradotti in un miglioramento del controllo metabolico, con un lieve aumento, dal 20,6 al 23,2%, delle persone con diabete tipo 1 con emoglobina glicosilata (HbA1c) sotto il 7%, ma soprattutto con la parallela riduzione della proporzione di quelle con valori di HbA1c francamente elevati (oltre 8%): da 51,6 a 44,2%, meno 7,4 punti in valore assoluto. Esistono, come è lecito attendersi, differenze su base regionale sulle quali proprio grazie al progetto Annali, AMD e la rete diabetologica nazionale stanno lavorando attivamente per mettere in atto attività di miglioramento”, commenta Carlo Giorda, Presidente Fondazione AMD.

Per quanto riguarda il diabete tipo 2, quasi 2 persone con diabete su 3 sono in trattamento con ipoglicemizzanti orali o farmaci iniettabili diversi dall’insulina (definiti nel complesso “iporali”), mentre tra chi è in cura con insulina, il 50% è trattato con sola insulina e il 50% con iporali associati a insulina. I farmaci di gran lunga più impiegati sono la metformina e i secretagoghi (sulfaniluree e glinidi), rispettivamente nel 65,5% e nel 49,6% della popolazione diabetica. In termini di schemi terapeutici, oltre il 50% delle persone con diabete tipo 2 è curato con 1 o 2 ipoglicemizzanti orali, mentre solo una piccola quota (6,8%) con 3 o più. 

Il 15,6% utilizza solo insulina e un altro 15,6% insulina combinata a ipoglicemizzanti. Non si registrano sostanziali differenze prescrittive legate al sesso, mentre differenze marcate riguardano le fasce di età e durata di malattia. Nelle persone più anziane e con più lunga durata di malattia sono infatti maggiormente impiegate glinidi e insuline. La prescrizione dei nuovi farmaci incretino-mimetici (inibitori del DPP-IV e agonisti del GLP-1) è più bassa nelle fasce di età più avanzate. “Negli anni dal 2004 al 2011 è nettamente aumentato l’uso di tutte le classi di farmaci ipoglicemizzanti, a parte le insuline intermedia e premiscelata, cadute quasi totalmente in disuso, e le sulfaniluree. Gli incrementi più rilevanti riguardano l’utilizzo di metformina e insulina basale. 

L’analisi degli schemi terapeutici mostra un aumento della quota di persone in trattamento, un aumento della tripla terapia orale e dell’insulina, oltre ovviamente all’introduzione degli agonisti del GLP-1 a partire dal 2008. In altre parole, vi è stato un aumento dell’intensità di trattamento che si è tradotto in un miglioramento del compenso metabolico, con un aumento dei soggetti a target di HbA1c (da 39% a 43,8%) e una parallela riduzione dei soggetti con valori francamente elevati (da 34,9% a 27,2%). Inoltre, è migliorata anche in maniera importante l’appropriatezza dei trattamenti; lo mostrano 3 indicatori chiave: -1,9% le persone in cura con  sola dieta nonostante valori di HbA1c >7.0%; -14,1%  quello dei non trattati con insulina nonostante valori di HbA1c >9.0%; -9%, infine, la quota di persone in cura con insulina che mostrano valori di HbA1c >9.0%. Tuttavia, nonostante il miglioramento delle attitudini prescrittive e dei risultati dell’assistenza, esistono ancora importanti margini di miglioramento. 

Ad oggi la quota di soggetti con valori di HbA1c superiori a 9% supera il 10%; nella donna sussistono percentuali più elevate nelle fasce di HbA1c più insoddisfacenti, come accade anche al di sotto dei 55 anni, nei soggetti con più lunga durata di malattia e in quelli trattati con insulina. E anche nel diabete tipo 2 esistono differenze tra regione e regione, indice probabilmente della disuniformità di risorse che possono condizionare gli atteggiamenti del medico e della necessità di implementare politiche sanitarie più omogenee sul territorio nazionale”, conclude Giorda.