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La nuova frontiera degli inibitori del checkpoint: dalle delusioni dei TIGIT alle speranze VEGF

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A più di un decennio dall’approvazione di pembrolizumab e nivolumab, farmaci che hanno rivoluzionato il trattamento di diverse neoplasie solide, l’immuno-oncologia sembra oggi attraversare una fase di transizione. Gli inibitori dei checkpoint immunitari (CPI) – cardine della prima ondata di immunoterapie – stanno infatti registrando un rallentamento nella capacità di ampliare le indicazioni terapeutiche e migliorare i tassi di risposta.

Attualmente, negli Stati Uniti sono 14 gli inibitori di checkpoint approvati dalla Fda, ma il loro beneficio clinico si concentra in circa il 30% dei pazienti trattati, lasciando una quota significativa di malati oncologici senza un’opzione efficace.

Secondo diversi analisti, il settore appare oggi a un bivio: se da un lato le combinazioni e i nuovi bersagli offrono margini di sviluppo, dall’altro i recenti insuccessi terapeutici hanno raffreddato parte dell’entusiasmo iniziale. A testimoniarlo sono, ad esempio, i risultati insoddisfacenti raccolti dagli inibitori di TIGIT, checkpoint immunitario che aveva generato grandi aspettative, ma che finora non ha confermato i dati preliminari più promettenti.

Il TIGIT (T-cell immunoreceptor with Ig and ITIM domains) è un recettore di checkpoint immunitario presente sulle cellule T e sulle cellule natural killer (NK). Svolge un ruolo nella soppressione immunitaria, aiutando a regolare il sistema immunitario per prevenire un'infiammazione eccessiva. Tuttavia, nel cancro, i tumori possono sfruttare TIGIT per eludere le risposte immunitarie, rendendolo un bersaglio per l'immunoterapia del cancro.

Il blocco di TIGIT, soprattutto in combinazione con gli inibitori di PD-1/PD-L1, si è dimostrato promettente nel potenziare le risposte immunitarie antitumorali.

TIGIT: aspettative disattese e segnali incoraggianti
Negli ultimi cinque anni, le aziende impegnate nello sviluppo di farmaci anti-TIGIT hanno sperimentato un andamento altalenante. A fine 2021, Roche aveva riacceso l’interesse per questo target grazie ai risultati positivi di uno studio di Fase II, che vedeva tiragolumab (anti-TIGIT) associato ad atezolizumab nel trattamento del carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) metastatico. Tuttavia, nella successiva Fase II/III, la combinazione non è riuscita a migliorare significativamente la sopravvivenza libera da progressione e la sopravvivenza globale rispetto al trattamento con pembrolizumab e chemioterapia, segnando una battuta d’arresto per il programma.

Situazione analoga per vibostolimab, l’anti-TIGIT di Merck, il cui studio di Fase II in associazione a pembrolizumab in NSCLC ha prodotto dati deludenti. In controtendenza, nel settembre 2024 iTeos Therapeutics ha presentato risultati incoraggianti relativi a belrestotug (anti-TIGIT) in combinazione con dostarlimab: nel carcinoma polmonare non a piccole cellule, il trattamento combinato ha superato la monoterapia in termini di tasso di risposta obiettiva confermata, con un vantaggio del 30%. Nonostante questi segnali positivi, il futuro di TIGIT resta incerto, mentre nuovi target iniziano a emergere.

VEGF e PD-1: la scommessa delle bispecifiche
Uno dei filoni più promettenti in immuno-oncologia è rappresentato dallo sviluppo di anticorpi bispecifici, in grado di colpire simultaneamente due bersagli molecolari. Particolare attenzione sta ricevendo ivonescimab, anticorpo bispecifico che combina l’inibizione di PD-1 e VEGF. Il farmaco, sviluppato da Summit Therapeutics, ha mostrato nel settembre 2024 risultati di rilievo in uno studio di Fase III condotto in Cina su pazienti con NSCLC avanzato, battendo pembrolizumab in termini di sopravvivenza libera da progressione e risposta tumorale.

Il meccanismo d’azione di ivonescimab sfrutta la sua duplice attività: blocca PD-1, impedendo l’inibizione della risposta immunitaria antitumorale, e neutralizza VEGF, fattore che favorisce l’angiogenesi e crea un microambiente tumorale immunosoppressivo. Tale approccio sinergico punta a potenziare l’infiltrazione dei linfociti T nel tumore e a migliorare l’efficacia immunoterapica.

Sebbene i dati preliminari abbiano suscitato molto interesse, alcuni esperti hanno evidenziato che i risultati potrebbero non essere completamente trasferibili alla popolazione occidentale, essendo lo studio condotto su una coorte di pazienti cinesi. Per questo motivo, è attualmente in corso uno studio di Fase III negli Stati Uniti, la cui conclusione è prevista per aprile 2028.

Anche BioNTech sta investendo nel segmento delle bispecifiche. Con l’acquisizione di Biotheus nel novembre 2024, l’azienda tedesca ha ottenuto i diritti completi su BNT327/PM8002, anticorpo bispecifico PD-L1/VEGF-A, rafforzando così la propria pipeline oncologica.

Prospettive future: combinazioni e target emergenti
A confermare l’interesse per le strategie combinatorie è la continua ricerca di nuove molecole e associazioni terapeutiche. Diverse aziende, tra cui BeiGene, AstraZeneca, Gilead e Arcus Biosciences, stanno sviluppando anticorpi anti-TIGIT in abbinamento ad altri checkpoint inhibitors o a chemioterapia, nel tentativo di superare le attuali resistenze.

Parallelamente, cresce l’interesse per target emergenti come LAG-3, con Bristol Myers Squibb che ha ottenuto nel 2022 l’approvazione di relatlimab (in combinazione con nivolumab, segnando il primo successo per questo checkpoint.

Il settore dell’immuno-oncologia continua dunque a cercare nuove soluzioni per superare il plateau di efficacia raggiunto con PD-1 e PD-L1. Il mercato globale dei checkpoint inhibitors è destinato a una crescita tumuluiosa, a patto di saper individuare i target più efficaci e le combinazioni terapeutiche più sinergiche.

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