È stato pubblicato sul “BMJ” uno studio osservazionale ‘real world’ condotto su quasi 60 mila pazienti con tromboembolismo venosa (TEV) che ha mostrato risultati rassicuranti circa il rischio di sanguinamento dei nuovi farmaci anticoagulanti orali ad azione diretta (DOAC [attuale sigla con la quale si identificavano precedentemente i NOAC o NAO]): dabigatran, apixaban e rivaroxaban.
In particolare, l’analisi ha mostrato che negli adulti con TEV, il trattamento con DOAC non è risultato associato a un aumento del rischio di sanguinamento maggiore o di mortalità per tutte le cause rispetto al warfarin nei primi 3 mesi di trattamento.
«I nostri risultati non mostrano un aumento del rischio di sanguinamento maggiore con i nuovi anticoagulanti vs warfarin ma anzi una tendenza verso un tasso più basso» specificano gli autori, guidati da Brenda R. Hemmelgarn, del Dipartimento di Medicina e Scienze della Salute di Comunità dell’Università di Calgary (Canada).
«Questo dato è coerente con quello che è stato visto in studi clinici randomizzati, ma i nostri risultati estendono il rilievo a una più ampia gamma di pazienti» fanno notare. «Sono stati eseguiti diversi studi randomizzati controllati (RCT) che hanno confrontato i DOAC con warfarin, ma sono stati principalmente focalizzati sull'efficacia» aggiungono gli autori.
«Naturalmente questi studi hanno valutato anche la sicurezza e suggerito tassi al sanguinamento simili o inferiori con i nuovi farmaci, ma le popolazioni negli RCT sono normalmente piuttosto selezionate e i pazienti ad alto rischio di emorragia sono spesso esclusi» proseguono Hemmelgarn e colleghi. Per questo è importante guardare il sanguinamento nel mondo reale, sottolineano. Se pure ci sono stati alcuni studi osservazionali che in precedenza lo hanno fatto, la nostra analisi è una delle più grandi finora effettuate, sostengono.
Coinvolti quasi 60 mila pazienti di 6 giurisdizioni tra Canada e USA
Per lo studio, i ricercatori hanno analizzato i codici diagnostici di ammissione ospedaliera e i dati prescrittivi di sei giurisdizioni in Canada e negli Stati Uniti. I pazienti erano idonei a essere inclusi nello studio se avevano una nuova diagnosi di TEV, definita come almeno un codice diagnostico per TEV entro 30 giorni prima della data della prima prescrizione di warfarin o di uno dei DOAC.
Per ogni paziente al quale era stato somministrato un DOAC è stato abbinato fino a un massimo di 5 pazienti trattati con warfarin in base all'età, al genere, alla data di ingresso nella coorte e a un punteggio di propensione che rifletteva la probabilità di essere trattati con un DOAC. Il punteggio ha incluso dati sull'informazione demografica, le condizioni di comorbilità e la prescrizione di altri farmaci.
Lo studio ha coinvolto 12.489 pazienti che hanno ricevuto un DOAC (rivaroxaban nel 95% dei casi) e 47.036 pazienti che hanno ricevuto warfarin. Gli outcomes includevano l'ammissione ospedaliera o una visita in un reparto di emergenza per sanguinamenti maggiori e la mortalità per tutte le cause entro 90 giorni dall'inizio del trattamento.
I risultati hanno mostrato che 1.967 pazienti (3,3%) hanno avuto un sanguinamento maggiore e 1.029 (1,7%) sono morti a un follow-up medio di 85,2 giorni. Il rischio di sanguinamento maggiore è stato simile (trend verso il beneficio) per DOAC rispetto al warfarin (HR globale: 0,92; intervallo di confidenza 95% (CI), 0.82 - 1.03). Non è stata riscontrata alcuna differenza nel rischio di morte (HR globale, 0,99; 95% CI, 0,84 - 1,16). I risultati sono rimasti invariati a 180 giorni di follow-up.
Poiché la maggior parte dei pazienti aveva ricevuto uno solo dei DOAC (rivaroxaban), gli autori dichiarano di non essere in grado di valutare le differenze di sicurezza tra i diversi agenti. Peraltro, affermano di aver trovato alcuna evidenza di eterogeneità nei centri, tra pazienti con e senza malattia renale cronica, tra le varie fasce di età, o tra pazienti di sesso maschile o femminile.
Necessari più dati per i soggetti affetti da nefropatia cronica
Secondo Hemmelgarn e colleghi sono necessari più dati sui DOAC nei pazienti con malattia renale cronica. «Questi pazienti sono noti per essere ad alto rischio di sanguinamento e i DOAC non sono stati raccomandati in questo gruppo, quindi non ci sono abbastanza pazienti per valutare veramente la sicurezza di questi agenti in questa popolazione. Abbiamo sicuramente bisogno di ulteriori sperimentazioni in questo gruppo di pazienti».
Nell'articolo, gli autori sottolineano che una precedente revisione sistematica volta a valutare la sicurezza dei DOAC nei pazienti con una velocità di filtrazione glomerulare inferiore a 50 mL/min ha riscontrato che i rischi di sanguinamento erano fortemente correlati alla percentuale di escrezione renale dell'agente. Mentre rivaroxaban e apixaban (che hanno un'escrezione renale al di sotto del 50%) hanno mostrato un rischio ridotto di sanguinamento maggiore rispetto a warfarin, dabigatran (che ha una maggiore escrezione renale) non ha mostrato una riduzione del rischio di sanguinamento maggiore, affermano.
Questi dati osservazionali non possono stabilire definitivamente cause ed effetti perché potrebbero ancora fattori confondenti non considerati, avvertono. In ogni caso, gli autori ritengono che «questi risultati forniscano elementi di prova per sostenere la sicurezza di questi farmaci nel mondo reale».
In particolare il team di Hemmelgarn sottolineato che negli RCT i pazienti sono monitorati più strettamente e quindi il rischio di sanguinamento è ridotto. Pertanto «è rassicurante vedere che il rischio di emorragia associato con i nuovi farmaci non è aumentato rispetto al warfarin al di fuori delle condizioni della sperimentazione clinica».
A.Z.
Riferimento bibliografico:
Jun M, Lix LM, Durand M, et al. Comparative safety of direct oral anticoagulants and warfarin in venous thromboembolism: multicentre, population based, observational study. BMJ, 2017;359:j4323.
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Cardiologia
DOAC in pazienti con TEV, rassicurazioni 'real life': rischio di sanguinamento non aumentato
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