Cardiologia

Fibrillazione atriale secondaria, nessun beneficio dagli anticoagulanti

Non solo gli anticoagulanti orali non riducono il rischio di ictus ischemico nei pazienti con fibrillazione atriale da sindrome coronarica acuta, malattie polmonari o sepsi, ma addirittura aumentano il rischio di sanguinamento. È quanto emerge da un nuovo studio pubblicato sul Journal American College of Cardiology (JACC: Clinical Electrophysiology).

Non solo gli anticoagulanti orali non riducono il rischio di ictus ischemico nei pazienti con fibrillazione atriale da sindrome coronarica acuta, malattie polmonari o sepsi, ma addirittura aumentano il rischio di sanguinamento. È quanto emerge da un nuovo studio pubblicato sul Journal American College of Cardiology (JACC: Clinical Electrophysiology).

Gli autori dello studio, con a capo il dottor Michael Quon, della McGill University Health Center, Montreal, Canada, hanno sollevato la questione sulle differenti risposte, in merito al rischio di sanguinamento e ictus, che i pazienti con fibrillazione atriale primaria e secondaria danno, quindi ritengono che i medici debbano fare particolare attenzione nel trattare i pazienti la cui aritmia non è la diagnosi primaria.

Fibrillazione atriale secondaria, va trattata con anticoagulanti?
La fibrillazione atriale è l'aritmia cardiaca più comune; se è di tipo parossistico, persistente o permanente aumenta il rischio di ictus ischemico. Quando l'aritmia è auto-limitata e causata da una eziologia reversibile, è stata definita fibrillazione atriale secondaria; questa aritmia è stata osservata in molteplici condizioni cliniche, tra cui l’infarto miocardico acuto, miocardite, pericardite, malattia polmonare acuta, stati post-operatori, tireotossicosi, consumo acuto di alcool e sepsi.

Il trattamento della fibrillazione atriale secondaria è stato oggetto di discussione in quanto la terapia con anticoagulanti potrebbe portare a rischi notevoli.

“Poiché sono rari gli studi che valutano i benefici e i rischi dell’anticoagulazione nella fibrillazione atriale secondaria, ad oggi si hanno delle difficoltà nella gestione ottimale di questi pazienti” ha commentato il dottor Quon, secondo il quale la fibrillazione atriale secondaria non è poi così sporadica in ambito ospedaliero e dopo aver osservato costantemente l'aritmia in queste popolazioni di pazienti, lui e i suoi colleghi hanno indagato se gli anticoagulanti fossero consigliati al momento delle dimissioni.

“Sono poche le linee guida che li consigliano” ha chiarito il dottor Quon aggiungendo che l'American Heart Association raccomanda gli anticoagulanti nei pazienti con sindrome coronarica acuta, nuovo esordio di fibrillazione atriale e quando il CHA2DS2VASc-score è ≥ 2, mentre nei pazienti con malattia polmonare acuta o sepsi si consiglia di trattare la diagnosi primaria e quindi valutare il profilo di rischio del paziente e la durata della fibrillazione atriale nel caso in cui venga consigliata la terapia anticoagulante. Diversamente, le linee guida europee e canadesi non danno raccomandazioni specifiche per questa tipologia di pazienti.

È rischioso somministrare anticoagulanti nei pazienti con fibrillazione atriale secondaria
Questo studio di coorte retrospettivo aveva come scopo quello di determinare una possibile associazione tra terapia anticoagulante, in pazienti con fibrillazione atriale secondaria e sindrome coronarica acuta, malattie polmonari acute o sepsi, e una riduzione dell'ictus ischemico o un aumento del rischio di sanguinamento.

Nello studio sono stati inclusi 2.304 pazienti di età ≥ 65 anni, ospedalizzati con diagnosi primaria di sindrome coronarica acuta, malattie polmonari acute (broncopneumopatia cronica ostruttiva, polmonite, embolia polmonare o versamento pleurico) o sepsi, e complicanza dovuta ad un primo esordio di fibrillazione atriale.

Durante il follow-up di 3 anni non è stata identificata alcuna associazione tra trattamento anticoagulante e minore incidenza di ictus ischemico nei pazienti con esordio di fibrillazione atriale e diagnosi di sindrome coronarica acuta, malattie polmonari acute o sepsi (Or: 1,22; 95% Ic: 0,65-2,27. Or: 0,97; 95% Ic: 0,53-1,77. Or: 1,98; 95% Ic: 0,29-13,47); tuttavia la terapia anticoagulante è stata associata ad un più elevato rischio di sanguinamento nei pazienti con fibrillazione atriale e malattie polmonari acute (Or: 1,72; 95% Ic: 1,23-2,39), ma non nella sindrome coronarica acuta o sepsi (Or: 1,42; 95% Ic: 0,94-2,14. Or: 0,96; 95% Ic: 0,29-3,21).

“Il nostro studio dimostra che il beneficio della terapia anticoagulante nella fibrillazione secondaria non è forte e può essere associato ad un più elevato rischio di sanguinamento” hanno concluso gli autori aggiungendo che in questa tipologia di pazienti è necessaria un’attenta valutazione individuale in merito all’anticoagulazione.

Poiché l’analisi non era sufficientemente incisiva nell’identificare le differenze in merito ai risultati dell'ictus tra coloro che assumevano anticoagulati e non, gli autori erano in accordo nel suggerire il bisogno di eventuali studi randomizzati che valutino l’azione anticoagulante in questa popolazione di pazienti.

Quon M. J. Et al. Anticoagulant Use and Risk of Ischemic Stroke and Bleeding in Patients With Secondary Atrial Fibrillation Associated With Acute Coronary Syndromes, Acute Pulmonary Disease, or Sepsis. JACC: Clinical Electrophysiology, September 2017 DOI: 10.1016/j.jacep.2017.08.003
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