Cardiologia

Post-ACS, scelta dell'antiaggregante pių appropriato guidata dalla genotipizzazione al letto del paziente

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Il più vasto trial randomizzato eseguito finora per testare al letto del paziente le capacità della genotipizzazione di guidare le decisioni relative alla terapia antiaggregante dimostra che tale approccio è fattibile e può ridurre il rischio di eventi ischemici e di sanguinamento. Sono i risultati dello studio di farmacogenomica PHARMCLO - condotto da ricercatori italiani – presentati all'American College of Cardiology 2018 Scientific Session di Orlando e pubblicati contemporaneamente sul “Journal of American College of Cardiology”.

Tuttavia gli sperimentatori – guidati da Diego Ardissino, dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma e senior author della ricerca -  sostengono che l'arresto prematuro del trial per motivi normativi lo ha lasciato sottodimensionato e in quanto tale i risultati non dovrebbero avere un impatto sulle linee guida.

Stando alle prove attuali, ha detto il cardiologo, «non siamo in grado di concludere che questo metodo è davvero uno strumento che dovremmo inserire nella pratica clinica quotidiana».

Prematura interruzione del trial per problemi di carattere normativo
Per lo studio, Ardissino e colleghi - e in particolare il primo autore dello studio, Francesca Maria Notarangelo, anch’essa affiliata all’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma - hanno randomizzato 3.600 pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS) - a partire dal giugno del 2013 - a sottoporsi a genotipizzazione ‘bedside’ o a terapia abituale e determinare l'effetto sui risultati clinici nell'arco di un anno.

Dopo l’arruolamento di 888 pazienti, gli enti regolatori hanno imposto l’interruzione anticipata dello studio nel febbraio del 2015 a causa di una «mancanza di certificazione per la diagnosi in vitro» riguardante lo strumento usato per la genotipizzazione, ha spiegato Ardissino. Rispetto ai pazienti del braccio ‘terapia standard’, quelli nel braccio ‘farmacogenomico’ hanno evidenziato una minore probabilità di ricevere clopidogrel (43,3% vs 50,7%) e una maggiore probabilità di avere una prescrizione di prasugrel o ticagrelor (50,2% vs 41,1%, P = 0,02 complessivo).

A un anno, i pazienti sottoposti a genotipizzazione avevano una probabilità dimezzata di avere un evento composito (endpoint primario) - costituito da morte cardiovascolare (CV), infarto miocardico (IM) non fatale, ictus non fatale o sanguinamento maggiore BARC 3-5 (Bleeding Academic Research Consortium, scala di valutazione dei sanguinamenti) -  rispetto ai pazienti che ricevevano le cure usuali (15,9% vs 25,9%; HR 0,58; 95% CI ,43-0,78).

Ciò è stato determinato da una riduzione dell'IM non fatale nel gruppo genotipizzato (4,6% vs 10,7%, HR ( hazard ratio): 0,42, IC 95% ( intervallo di confidenza al 95%): 0,25-0,70). Non vi erano differenze significative in uno qualsiasi degli altri endpoint individuali. I risultati si sono mantenuti soltanto tra i pazienti trattati con clopidogrel (24,7% vs 35,4%, HR: 0,68, IC 95%: 0,47-0,97).

L'età media dei pazienti tra la popolazione dello studio arruolato era di 70,9 anni e più di un quarto dei pazienti aveva più di 80 anni. Inoltre, il 21,5% ha riportato un precedente IM, il 27,5% è stato ospedalizzato per STEMI e il 96,3% è stato sottoposto ad angiografia coronarica.

Commenti, risposte e quesiti aperti
Nella discussione successiva alla presentazione, è emersa grande soddisfazione per avere intrapreso tale studio dal momento che sia le linee guida statunitensi che quelle europee classificano i test genetici con una raccomandazione di classe III a causa della mancanza di dati sugli outcomes.

In ogni caso, dato l’insufficiente potere statistico dello studio, PHARMACLO ha sorpreso per l’entità del beneficio osservato tra i bracci dello studio in termini di endpoint primario, equivalente a una riduzione assoluta del rischio dell’8%.

Non sottovalutando il ruolo della casualità nel raggiungimento dei loro risultati, Ardissino ha evidenziato il fatto che un maggior numero di pazienti nel braccio farmacogenomico aveva ricevuto ticagrelor e ciò avrebbe potuto influenzare i risultati. Peraltro è anche possibile, ha aggiunto, che «sia stata sottovalutata la dimensione dell'effetto. Quest’ultima, quando si va verso la medicina personalizzata, è molto più grande di quella a cui siamo abituati».

È stato fatto notare ad Ardissino che lo studio PHARMCLO era caratterizzato dall’inclusione di un'ampia popolazione di pazienti che normalmente non sono inclusi negli studi randomizzati, in particolare gli anziani. Ci si chiedeva pertanto se alcuni dei risultati fossero dovuti a questo fatto e che tali pazienti potessero essere sottoposti a un trattamento eccessivo o al rischio di sanguinamento o di eventi ischemici non valutati appropriatamente.

Il clinico italiano sul punto si è detto d’accordo, specificando che il suo team inizialmente aveva deciso di arruolare una popolazione ad alto rischio perché con un sottogruppo di questo tipo «era più probabile che i dati genetici migliorassero il giudizio clinico e quindi la selezione della terapia antiaggregante».

Il fatto che lo studio sia stato fermato precocemente rendendolo sottodimensionato per la valutazione degli eventi clinici ha lasciato inevase alcune importanti domande, in particolare se ci siano sufficienti prove per l’impiego della genotipizzazione bedside nella pratica clinica, è stato fatto notare.«Vari trial in corso con risultati attesi nel 2020 daranno auspicabilmente qualche conferma in più» ha risposto Ardissino.

A.Z.

Riferimento bibliografico:
Notarangelo FM, Maglietta G, Bevilacqua P, et al. Pharmacogenomic Approach to Selecting Antiplatelet Therapy in Acute Coronary Syndromes: PHARMCLO trial. J Am Coll Cardiol. 2018 Feb 24. pii: S0735-1097(18)33306-0. doi: 10.1016/j.jacc.2018.02.029. [Epub ahead of print]
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