Nei pazienti con sindromi coronariche acute (SCA) già in trattamento con la doppia terapia antiaggregante, l’aggiunta dell’anticoagulante rivaroxaban dopo un impianto di stent riduce in modo significativo il rischio di trombosi dello stent e di mortalità. A suggerirlo sono i risultati di una nuova analisi dello studio ATLAS ACS 2–TIMI 51, appena pubblicata online sul Journal of the American College of Cardiology.
Nei pazienti trattati con rivaroxaban, oltre che con aspirina e una tienopiridina, è stata calcolata una riduzione del 32% del rischio di trombosi dello stent rispetto al gruppo placebo. Una seconda analisi su pazienti trattati con il dosaggio più basso dei due testati dell’anticoagulante ha dimostrato una riduzione del rischio di mortalità del 44%.
In generale, i pazienti trattati con rivaroxaban hanno ottenuto anche una piccola, ma significativa, riduzione della trombosi dello stent sia che facessero la doppia terapia antiaggregante sia la monoterapia con aspirina. Stesso risultato nei pazienti trattati con la dose più bassa di anticoagulante.
"Il vantaggio è emerso durante il trattamento con la doppia terapia antiaggregante con aspirina più una tienopiridina" scrivono gli autori nella discussione, aggiungendo che “i risultati dell’analisi evidenziano il potenziale beneficio aggiuntivo dell’inibizione della sintesi di trombina rispetto alla sola doppia terapia antiaggregante tra i pazienti portatori di stent".
L’angioplastica coronarica con impianto di stent è la procedura più diffusa nel trattamento delle SCA, offrendo percentuali di successo della rivascolarizzazione superiori rispetto all’angioplastica con palloncino. Tuttavia, la trombosi dello stent resta una complicanza preoccupante dell’intervento per via della morbilità ad essa associata.
L’introduzione della doppia terapia antiaggregante ha ridotto il rischio di trombosi dello stent. Fino ad ora, spiegano gli autori nell’introduzione, gli sforzi per ottenere un'ulteriore riduzione del rischio si sono concentrati sul minimizzare la sospensione della doppia terapia antiaggregante e sull’individuare i pazienti che non rispondono in modo adeguato alle tienopiridine.
Pochi studi, invece, hanno valutato il ruolo dell’anticoagulazione nel ridurre il rischio di questa complicanza. In un modello preclinico, rivaroxaban ha mostrato di ridurre di per sé la trombosi dello stent e l’aggiunta dell’anticoagulante alla doppia terapia antiaggregante ha ridotto di 10 volte il peso del trombo rispetto alla sola terapia antiaggregante.
I dati dello studio ATLAS ACS 2-TIMI 51 (un ampio trial randomizzato pubblicato nel 2011 sul New England Journal of Medicine) hanno fornito l'occasione per esaminare l'impatto di rivaroxaban quando aggiunto alla doppia terapia antiaggregante per la SCA. Nello studio rivaroxaban ha ridotto in modo significativo l'incidenza della mortalità cardiovascolare, dell’infarto miocardico e dell’ictus rispetto al placebo nei pazienti che avevano avuto di recente una SCA.
Nel lavoro ora uscito su Jacc, lo stesso gruppo di autori (coordinati da Michael Gibson, del Beth Israel Deaconess Medical Center e Jessica Mega, del Brigham and Women's Hospital, entrambi a Boston) ha riportato i risultati di un'analisi limitata ai 9631 pazienti dei 15.342 dello studio ATLAS (il 63%), che erano stati sottoposti a un’angioplastica con impianto di stent.
I partecipanti sono stati trattati con rivaroxaban 2,5 mg BID, rivaroxaban 5 mg BID oppure placebo, in aggiunta alla terapia antiaggregante piastrinica, con due agenti oppure con la sola aspirina a discrezione del medico, alle dosi consigliate dalle linee guida locali o nazionali. Il follow-up mediano è stato di 13 mesi, ma alcuni pazienti sono stati seguiti per un periodo fino a 31 mesi.
Combinando i dati dei due gruppi rivaroxaban, gli autori hanno calcolato un’incidenza a 2 anni di trombosi dello stent definita o probabile dell’1,5% contro 1,9% per il gruppo placebo ( hazard ratio 0,65 in favore di rivaroxaban; P = 0,017). L'analisi dei due gruppi rivaroxaban presi singolarmente ha mostrato una riduzione significativa, pari al 39%, del rischio di trombosi dello stent anche nel gruppo con 2,5 mg (HR 0,61; incidenza 1,5% contro 1,9%; P = 0,023), mentre nel gruppo 5 mg si è osservata solo una tendenza alla superiorità rispetto al placebo, anche se il beneficio assoluto è risultato identico (HR 0,70; 1,9% contro 1,5%; P = 0,89).
Quando l'analisi è stata limitata ai pazienti sottoposti alla doppia terapia antiaggregante, i gruppi rivaroxaban combinati hanno mostrato una riduzione del 32% del rischio di trombosi dello stent
Sempre nei pazienti trattati con la doppia terapia antiaggregante, la dose più bassa di rivaroxaban si è associata anche a una riduzione significativa del rischio di mortalità (HR 0,56; = 0,014).
Nella discussione gli autori fanno notare che l'anticoagulante orale apixaban ha dimostrato una riduzione simile della trombosi dello stent nello studio APPRAISE-2, ma tale riduzione non ha raggiunto la significatività statistica perché il trial è stato interrotto prematuramente a causa di un aumento degli eventi emorragici maggiori. Nessuna riduzione simile della trombosi dello stent, invece, con l'antagonista del recettore della trombina vorapaxar.
Da notare anche che nel marzo scorso, rivaroxaban è stato bocciato per la seconda volta dall’Fda come trattamento della SCA.
C.M. Gibson, et al. Reduction of stent thrombosis in patients with acute coronary syndrome treated with rivaroxaban in ATLAS ACS2-TIMI 51. J Am Coll Cardiol 2013; epub
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Cardiologia