Cardiologia

Sospensione degli anticoagulanti, uno scenario da rivedere con gli inibitori del fattore XI?

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Un recente analisi dello studio AZALEA-TIMI 71, pubblicata sul “Journal of the American College of Cardiology”, suggerisce che, se l'inibitore del fattore XI abelacimab sarà approvato per il trattamento dei pazienti con fibrillazione atriale (AF) che necessitano di terapia anticoagulante, potrebbe non essere necessario interromperne la somministrazione prima delle procedure invasive a basso rischio di sanguinamento.

Questa prospettiva, se confermata da studi più ampi, potrebbe trasformare l'attuale gestione della terapia anticoagulante nei pazienti sottoposti a interventi medici e chirurgici.

La ricerca ha evidenziato che, tra circa un terzo dei pazienti arruolati nel trial che hanno subito un intervento (tra cui colonscopia, coronarografia o chirurgia ortopedica), l'incidenza di sanguinamenti maggiori o clinicamente rilevanti secondo i criteri ISTH (International Society on Thrombosis and Haemostasis) entro 30 giorni è risultata bassa: 1,2% nel gruppo abelacimab e 2,2% nel gruppo rivaroxaban (rapporto di rischio 0,54; IC 95% 0,19-1,58).

Secondo Siddharth Patel, del Brigham and Women’s Hospital di Boston, primo autore dell'analisi, la sicurezza del blocco del fattore XI in relazione agli interventi potrebbe consentire una revisione del paradigma della gestione della terapia anticoagulante, evitando l’interruzione della terapia per le procedure a basso rischio di sanguinamento, che sono peraltro le più frequenti in questa popolazione.

Potenziale cambiamento nella pratica clinica
Attualmente, la prassi prevede la sospensione degli anticoagulanti nei pazienti con AF da uno a due giorni prima della maggior parte delle procedure. Tuttavia, non di rado si verificano dimenticanze nell'assunzione della terapia o errori nel rispetto del protocollo, causando rinvii degli interventi.

Gli inibitori del fattore XI, come abelacimab, stanno emergendo come un'opzione promettente per ridurre il rischio emorragico rispetto ai più diffusi anticoagulanti orali diretti (rivolti al fattore IIa e Xa). Questi ultimi agiscono inibendo la trombina (fattore IIa), impedendo la conversione del fibrinogeno in fibrina, oppure bloccando il fattore Xa, riducendo la generazione di trombina.

Abelacimab, invece, grazie al suo meccanismo d'azione selettivo (blocco della fase di amplificazione della coagulazione senza influenzare direttamente la formazione del coagulo), interferisce meno con l'emostasi fisiologica.

Tuttavia, la sua durata d'azione significativamente più lunga rispetto agli inibitori della trombina e del fattore Xa (con emivite di settimane o mesi anziché poche ore) potrebbe complicare la gestione della terapia nei pazienti anziani con comorbilità multiple, limitando la flessibilità nell'interruzione del trattamento.

Profilo di sicurezza e tollerabilità di abelacimab
AZALEA-TIMI 71 è uno studio di fase IIb, randomizzato e controllato, che ha valutato la sicurezza e la tollerabilità di due dosi di abelacimab (90 mg e 150 mg sottocutanei, mensili) rispetto a rivaroxaban 20 mg/die in pazienti con AF a rischio moderato-alto di ictus. I partecipanti sono stati seguiti per una mediana di 2,1 anni, durante i quali è stata monitorata l’incidenza di sanguinamenti maggiori o clinicamente rilevanti.

In assenza di dati derivati da studi clinici randomizzati specifici sulla gestione perioperatoria di abelacimab, la strategia utilizzata nel trial si è basata sulle raccomandazioni per i pazienti con deficit congenito del fattore XI.

Per le procedure a basso rischio, non è stata prevista l'interruzione del trattamento né l'uso di terapie aggiuntive per la prevenzione del sanguinamento. Per quelle a rischio intermedio o elevato, i centri partecipanti sono stati incoraggiati a considerare la somministrazione profilattica di un antifibrinolitico, come l’acido tranexamico, senza sospendere abelacimab.

Nel caso di interventi ad altissimo rischio emorragico, come chirurgia spinale o toracica maggiore, è stata suggerita l'interruzione di abelacimab per almeno 30 giorni e l'eventuale impiego di un antifibrinolitico associato a basse dosi di fattore VIIa ricombinante nei casi in cui la sospensione non fosse praticabile.

Nel gruppo rivaroxaban, invece, la gestione perioperatoria ha seguito lo standard clinico, con interruzione del trattamento 1-2 giorni prima della maggior parte delle procedure.

Riduzione del rischio emorragico perioperatorio 
I risultati suggeriscono che gli inibitori del fattore XI potrebbero ridurre significativamente il rischio emorragico perioperatorio senza necessità di sospendere la terapia, semplificando la gestione dei pazienti e riducendo il numero di interventi rinviati per errore alla sospensione dell’anticoagulante.

Secondo James Douketis, della McMaster University di Hamilton, primo autore dell'editoriale su “JACC”, gli anticoagulanti a lunga durata d'azione pongono nuove sfide alla gestione perioperatoria. Tuttavia, se la loro sicurezza sarà confermata, potrebbero rappresentare una svolta nella pratica clinica, riducendo le complicazioni associate alla sospensione e ripresa del trattamento.

Un punto chiave ancora da approfondire riguarda le procedure ad alto rischio di sanguinamento, per le quali sono necessari dati più robusti. Inoltre, la questione dell’efficacia nella prevenzione dell’ictus rimane aperta, poiché AZALEA-TIMI 71 non era disegnato per valutare questo aspetto.

Studi come LILAC-TIMI 76, su pazienti con AF a elevato rischio e non idonei alla terapia anticoagulante orale, potranno fornire risposte cruciali per il futuro di questi farmaci.

Bibliografia:
Patel SM, Giugliano RP, Morrow DA, et al. Long-Acting Factor XI Inhibition and Periprocedural Bleeding: An Analysis From AZALEA-TIMI 71. J Am Coll Cardiol. 2025;85:2288-2298. doi: 10.1016/j.jacc.2025.04.018. leggi

Douketis JD, Steg PG, Cannegieter SC, Spyropoulos AC. Perioperative Management of Patients Taking Factor XI Inhibitors: Small Steps Toward a Giant Leap. J Am Coll Cardiol. 2025;85:2299-2301. doi: 10.1016/j.jacc.2025.04.026. leggi

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