Il naltrexone a basse dosi riduce la severità dei sintomi in patologie quali la fibromialgia, la malattia di Crohn, la sclerosi multipla e la sindrome del dolore regionale complesso. Dati i molteplici meccanismi d’azione mediante i quali agisce il naltrexone e le conseguenti funzioni attivate, i ricercatori della Stanford University hanno analizzato i lavori presenti in letteratura per fare il punto su questo farmaco tra l’altro poco costoso e ben tollerato. Questo studio è stato pubblicato sulla rivista Clinical Rheumatology.

Il naltrexone è stato sintetizzato nel 1963, è un antagonista del recettore degli oppioidi ed ha caratteristiche strutturali simili al naloxone ma ha una biodisponibilità orale più elevata e un emivita più lunga.
E’ stato approvato dall’Fda nel 1984 per il trattamento della dipendenza da oppioidi alla dose di 50-100 mg giornalieri ed è disponibile in commercio sotto forma di compresse da 50 mg.
Farmaci antagonisti dei recettori degli oppioidi, come il naltrexone, se utilizzati in una precisa finestra di dosaggio esplicano un effetto analgesico “paradosso”.

Nel caso del naltrexone questo effetto si esplica a basse dosi, 1/10 rispetto a quelle usate nel trattamento tipico della dipendenza da oppioidi, intorno ai 4.5 mg. L’ effetto paradosso si riferisce all’ azione analgesica ed antinfiammatoria che non si ottiene a dosi più elevate.
Il naltrexone a basso dosaggio (LDN) è stato valutato solo in alcune condizioni di dolore cronico come la fibromialgia, in cui è coinvolto un processo infiammatorio anche se non si tratta di una classica patologia infiammatoria.

Due studi di piccole dimensioni hanno verificato che il dolore fibromialgico è ridotto in seguito a questo trattamento; nel primo studio pilota la terapia ha avuto successo in 6 delle 10 donne partecipanti e in uno studio successivo, coinvolgente 30 donne, la metà di esse dichiarava di sentirsi meglio.
Per quanto riguarda il meccanismo d’azione di questo farmaco bisogna sottolineare che alla dose utilizzata nel trattamento della dipendenza da oppioidi blocca l’attività dei recettori mu, delta e kappa ma antagonizzata anche recettori non oppioidi quali il recettore Toll-like 4 (TLR4) che si trova sui macrofagi della microglia. Proprio attraverso questi recettori l’LDN esplica la sua azione antinfiammatoria.

La microglia è formata dalle cellule immunitarie del sistema nervoso centrale che, una volta attivate, producono infiammazione e fattori eccitatori che, a loro volta, causano uno stato di malessere come sensibilità al dolore, fatica, disturbi cognitivi, del sonno e del comportamento e malessere generale. Questa cascata di eventi infiammatori può diventare neurotossica attraverso citochine infiammatorie, sostanza P, ossido nitrico e amminoacidi infiammatori. E’ quello che succede anche nella fibromialgia.
Naltrexone e naloxone esplicano un’azione neuroprotettiva ed analgesica inibendo l’attivazione della microglia nel cervello e nel midollo spinale, diminuendo le specie attivate dell’ossigeno e altre sostanze chimiche neuroeccitatorie e neurotossiche.

Oltre al target dei recettori TLR4 sono stati proposti anche altri bersagli del naltrexone come gli astrociti e la NADPH ossidasi 2 ma anche nuovi siti di azione come il recettore per i fattori di crescita degli oppioidi (OGFr).

Per quanto concerne l’associazione con i marker dell’infiammazione alcune evidenze supportano l’uso dell’LDN come nuovo agente antiinfiammatorio; ad esempio, la percentuale di sedimentazione degli eritrociti (ESR) è un predittore della risposta clinica all’LDN. Questo collegamento è stato dimostrato da diversi studi e recentemente è stato osservato che pazienti con fibromialgia con alti livelli di ESR al basale hanno la tendenza ad avere maggiore riduzione del dolore quando assumo l’LDN mentre non è stata osservata alcuna associazione col placebo. E’ da tenere presente però che la fibromialgia non è un patologia infiammatoria in senso stretto ma più un disordine immunologico centrale con amplificazione del dolore che coinvolge bassi livelli di citochine periferiche.

Altre patologie infiammatorie rispondono all’LDN come la malattia di Crohn in cui la risposta al trattamento è similare al caso della fibromialgia con miglioramenti significativi nell’80% dei partecipanti.
Nel caso della sclerosi multipla le evidenze non sono robuste quanto i casi precedenti; ci sono evidenze di riduzione della spasticità, miglioramenti dello stato mentale ma non sono stati raggiunti tutti gli endpoint clinici.

Alcune evidenze suggeriscono l’uso efficace dell’LND nel controllo dei sintomi nella sindrome del dolore regionale complesso in cui però mancano studi su grandi numeri.
L’effetto paradosso riscontrato col naltrexone è noto anche per la morfina in cui, dosaggi dell’ordine di 100 microgr/kg producono analgesia, dosaggi intorno ai 50 microgr/kg producono un’analgesia inferiore, dosaggi di 30 microgr/kg non mostrano differenza rispetto al placebo e la somministrazione di dosi intorno ai 10 microgr/kg sviluppano iperlagesia nei soggetti trattati che diventa ancora più pronunciata alla dose di 6 microgr/kg. Questo dosaggio è esattamente 1/10 di quello utilizzato normalmente per produrre analgesia come nel caso del naltrexone.
Non esistono ad oggi linee guida per l’utilizzo clinico dell’LDN e l’Fda non ha mai approvato alcun dosaggio di naltrexone per l’utilizzo nel trattamento del dolore cronico e per nessun altra condizione medica. Il naltrexone è disponibile in commercio solo in compresse da 50 mg anche se le compagnie farmaceutiche americane stanno spingendo per l’approvazione della formulazione da 4.5 mg visti i bassi costi di questa molecola e la bassa incidenza di effetti collaterali (non si sono verificati casi di ulcere, insufficienza renale, problemi di coagulazione o cardiaci che si possono verificare con altri antinfiammatori).

L’effetto collaterale più comune sono i sogni “vividi” che si verificano nel 37% dei partecipanti mentre, una minoranza di pazienti, presenta incubi che però diminuiscono nel tempo mentre migliora la qualità del sonno. Alcuni medici hanno riportato come effetto collaterale l’insorgenza di ansia e tachicardia e poiché l’ansia è uno sintomo del ritiro degli oppioidi questo aspetto andrebbe indagato in altri studi. Non sono stati segnalati casi di dipendenza e tolleranza con questi bassi dosaggi.

E’ da sottolineare che in alcuni studi, non essendo disponibile la compressa da 4.5 mg, i pazienti si creavano da soli tale dosaggio spezzettando la compressa da 50 mg. Questa operazione ovviamente non permette una dose uniforme tra i pazienti e neanche nello stesso paziente in giorni differenti. Inoltre, la dose di 4.5 mg non è detto che sia l’ottimale per tutti i pazienti in quanto andrebbero considerate anche l’indice di massa corporea, il metabolismo del singolo, la sensibilità della microglia all’LND; quindi individui che non rispondono a tale dosaggio potrebbero rispondere ad un leggermente più basso o più alto. Andrebbero quindi proposti degli studi per determinare il range terapeutico e identificare un processo attraverso il quale determinare la dose ottimale per ogni paziente.

Nel lavoro, gli autori accennano anche ad altri composti, come il dextro-naltrexone, che stanno suscitando interesse di ricerca per le loro capacità antiinfiammatorie e di modulazione della microglia ma anche le minocicline, il destrometorfano che sono anch’essi in fase di valutazione da parte dell’Fda.
Altri composti sono in fase di sviluppo perché modulatori specifici del recettore TLR4 ma anche di altri recettori Toll-like che si pensa siano coinvolti nel processo infiammatorio; tali recettori possano essere bloccati da molecole come l’idrossiclorochina che è stata già usato in disordini infiammatori come il lupus eritematoso ed alcune forme di artrite.

In conclusione, gli autori sottolineano che farmaci modulatori delle cellule della glia saranno il tema centrale della gestione di diverse forme di dolore nel prossimo futuro e che la ricerca sul naltrexone a basso dosaggio porterà molto probabilmente al suo utilizzo in diverse patologie infiammatorie come l’artrite reumatoide, la polimialgia reumatica ed il lupus.

Emilia Vaccaro

Younger J et al. The use of low-dose naltrexone (LDN) as a novel anti-infllamatory treatment of chronic pain. Clin Rheumatol 2014 feb 15.
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