Il dolore nelle donne in gravidanza e in allattamento non è sempre trattato in maniera adeguata sia per paura di utilizzare farmaci durante la gravidanza sia perché ci sono pochi studi clinici su farmaci contro il dolore in questo delicato periodo della vita di una donna.

Una recente revisione sistematica della letteratura, pubblicata su Minerva Anestesiologica, ha affrontato questo tema considerando la classificazione convenzionale della Fda e dell’American Academy of Pediatrics ma anche dati clinici disponibili in letteratura.
Il dolore durante la gravidanza può essere dovuto a problematiche preesistenti come mal di testa o lombalgia ma anche essere secondario a altri problemi come artrite reumatoide o fibromialgia. Il dolore più frequente, che spesso persiste anche dopo il parto, è quello lombalgico.

In generale, il dolore in gravidanza non è trattato ed i medici aspettano che passi da solo ma questo atteggiamento nella paziente può provocare l’insorgenza di comorbidità come ipertensione, ansia e depressione che possono avere effetti pesanti in gravidanza.
Gli autori del presente lavoro sono tutti ricercatori e professori universitari appartenenti ad Istituti specializzati nella medicina del dolore, tra cui la Prof.ssa Flaminia Coluzzi del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche e Biotecnologie della Sapienza di Roma nonché Coordinatore del Gruppo Italiano di Studio sul dolore acuto e cronico (SIAARTI).

La loro puntuale trattazione nel presente lavoro è cominciata col considerare l’effetto dei farmaci, in generale, sullo sviluppo dell’embrione nelle varie fasi della sua maturazione ed è poi proseguita con un attenta analisi dell’effetto delle singole classi farmacologiche sullo sviluppo del feto e del neonato allattato con latte materno.

Gli autori hanno però evidenziato che molti farmaci non sono stati valutati in studi appositi per il loro utilizzo in gravidanza e l’indicazione di non usarli riportata nel foglietto illustrativo deriva da prove accumulate nel primo anno di uso clinico del farmaco.
Gli effetti più dannosi sull’embrione si esplicano durante il primo utilizzo di un determinato farmaco, quando molte donne non sanno ancora di essere incinte, quindi, bisognerebbe porre attenzione anche alle donne che stanno pianificando una gravidanza.
All’inizio della gravidanza e precisamente nella prima settimana di gestazione il danno dovuto a farmaci, se davvero consistente, può risultare nella perdita dello zigote/blastocisti; in questa settimana l’effetto del farmaco è di tipo tutto (interruzione della gravidanza) o nulla.

Per quanto riguarda i difetti del nascituro, i farmaci sono responsabili solo del 2-3% di questi. Prima della terza settimana di gestazione molti composti tossici comportano aborto (effetto tutto o niente) mentre dopo tale settimana farmaci teratogeni possono creare difetti nella crescita e nella maturazione funzionale di diversi organi. L’organogenesi è il periodo che va dalla terza all’ottava settimana di gestazione; in questo periodo ogni organo, che è appunto in fase di formazione, è più sensibile all’effetto di fattori esterni (come i farmaci), ognuno in una specifica settimana tra la terza e l’ottava; ad esempio, il cuore è più sensibile nella terza e quarta settimana, i genitali esterni nell’ottava e nella nona. Il cervello, invece, comincia a svilupparsi nella terza settimana e continua anche dopo la nascita, anche se alla fine dell’ottava settimana (fine del periodo embrionico) la struttura del cervello e del sistema nervoso centrale è definita.

Purtroppo il rischio teratogenico non è stato determinato per il 90% dei farmaci approvati in America.
I farmaci passano al feto attraverso la placenta e questo passaggio è modulato dagli enzimi di fase I e II metabolizzanti i farmaci e presenti nella placenta; variazioni di questi enzimi influenzano l’esposizione del feto ad un certo composto tossico.
Alcuni studi hanno anche valutato l’influenza paterna nello sviluppo del feto e ma non è stata trovata nessuna evidenza di collegamento con difetti alla nascita e farmaci presi dal padre prima del concepimento.

Per quanto riguarda l’allattamento, anche in questo caso non ci sono molti studi in merito. L’esposizione di un neonato allattato al seno è 5-10 volte inferiore rispetto al feto e i fattori che influenzano il passaggio di una molecola attraverso il latte materno sono diversi: peso molecolare, lipofilicità, biodisponibilità, emivita del farmaco, livelli plasmatici del farmaco nella madre e pH del latte materno. E’ importante anche lo sviluppo del sistema metabolico nel neonato, soprattutto se prematuro.

L’ Fda nel 1979 ha stilato la prima normativa assegnando ogni farmaco ad una delle cinque “categorie della gravidanza” a seconda di quanto tale molecola era ritenuta dannosa in questa fase in base agli studi fino ad allora noti nell’animale o su evidenze nell’uomo. Nel 2001, l’American Accademy of Pediatrics ha pubblicato 7 tabelle con le categorie di farmaci compatibili con l’allattamento.
Nel 2008 l’ Fda ha proposto un aggiornamento della prima normativa del 1979 considerando nuovi dati di studi sull’uomo e nell’animale sul rischio potenziale di alcuni farmaci; il processo per la pubblicazione di questa seconda normativa è ancora in corso.
In Italia, nel 2005 l’Agenzia Italiana del Farmaco ha pubblicato la prima linea guida Europea sull’uso di farmaci in gravidanza con valutazioni fondate sulle evidenze di rischio teratogeno di ogni farmaco disponibile sul territorio nazionale. Non si tratta però di una classificazione standard e non è, quindi, utile nella pratica clinica.

Quindi, in questo lavoro di revisione della letteratura gli autori hanno utilizzato l’unica classificazione internazionale disponibile che deriva dalla prima normativa dell’ Fda per valutare le varie classi farmacologiche e noi di Pharmastar abbiamo riportato alcune loro considerazioni.

Farmaci analgesici
Gli antinfiammatori non steroidei (FANS) sono i farmaci più prescritti e comunque più usati dalle donne in gravidanza; le indicazioni al loro uso per dolore cronico in gravidanza riguardano la malattia infiammatoria intestinale e la malattia reumatica cronica. Possono avere effetti collaterali sulla madre e sul feto a seconda della ciclossigenasi (COX) che inibiscono. Hanno effetto sull’impianto della blastocisti e nelle primi fasi della gravidanza ma possono anche avere effetti sul feto e sul neonato, quindi, il loro uso va attentamente valutato.

Alcuni dei FANS non selettivi per una COX come ibuprofene, aspirina e naprossene potrebbero essere maggiormente collegati a difetti nel nascituro come dimostrato in alcuni studi tra cui il “National Birth defects prevention study” in cui il 22.6% dei bambini con difetti erano nati da madri che avevano preso i FANS sopra nominati, durante la gravidanza.

Ci sono, invece, meno studi sugli inibitori delle COX2 quindi il loro uso è controindicato in gravidanza.

La cosa cambia nell’allattamento perché i FANS diffondono poco nel latte materno.
L’aspirina è l’antinfiammatorio più studiato ed è stato collegato a anomalie congenite e basso peso alla nascita; comunque a dosi basse (60-80 mg/al giorno) tale molecola non è associata a complicazioni nella madre e neanche nel neonato.

L’ indometacina è considerata sicura nei trattamenti di breve durata e non sembra produrre malformazioni fetali nel primo trimestre; dopo la 32 esima settimana potrebbero però generare ipertensione polmonare nel neonato ma anche problemi renali, sanguinamento intracranico etc. anche se si tratta di complicazioni non comuni. Nell’allattamento è considerata sicura.

L’utilizzo dell’ibuprofene nel primo trimestre è considerato sicuro anche se recentemente il suo utilizzo ad alte dosi è stato associato a una riduzione della mineralizzazione delle vertebre lombari. E’ considerato sicuro nell’allattamento. Il ketorolac non ma mostrato collegamento con difetti alla nascita in modelli animali; è stato poco studiato e potrebbe aumentare il rischio di sanguinamento. E’ considerato compatibile con l’allattamento anche se esistono pochi studi in merito. Anche il diclofenac è considerato abbastanza sicuro nel primo trimestre con pochi casi di nefrotossicità riportati.

Paracetamolo
Il paracetamolo è uno dei farmaci più usati al mondo per il controllo del dolore anche se ha un meccanismo d’azione ancora sconosciuto. Alcuni studi hanno collegato il suo utilizzo nella madre a aumentato rischio di asma nel nascituro quindi andrebbe evitato un suo uso eccessivo in gravidanza. Per l’allattamento ci sono dati meno certi ma è considerato compatibile.

Oppioidi
Per quanto riguarda l’utilizzo di oppioidi in gravidanza è stato visto un uso eccessivo anche se risultano tossici sul feto. Il loro uso è stato associato, infatti, a difetti cardiaci, difetti del tubo neurale, spina bifida. Possono insorgere anche problemi di depressione respiratoria neonatale e nella velocità cardiaca quando usati come analgesici nel travaglio anche se il fentanyl, la morfina, il tramadolo e l’idromorfone sono sicuri. Inoltre, l’anestesia spinale riduce le loro concentrazioni nel plasma materna e quindi nel feto e nel latte.
Altro discorso riguarda gli oppiacei d’abuso, il loro rimpiazzo con metadone e buprenorfina in gravidanza può comportare ipereccitabilità del SNC, problemi gastrointestinali e respiratori del neonato che sono i tipico “Sintomi da astinenza neonatale” (NAS). Livelli fino a 20mg/al giorno di metadone sono considerati compatibili con l’allattamento come anche la somministrazione di fentanyl, per un periodo breve. Il cerotto a base di fentanyl sembra sicuro in gravidanza ed allattamento.

L’uso di tramadolo in gravidanza va limitato se per periodi lunghi mentre passa poco nel latte materno.
L’uso della codeina non sembra collegata a malformazioni nel neonato ma dopo un caso di morte in allattamento non è considerata sicura per problemi legati ad enzimi che la metabolizzano.

Benzodiazepine

Le benzodiazepine (BDZ) sono, invece, collegate a aborto spontaneo e nel feto possono comportare deformazioni del palato e labbro leporino come nel caso del diazepam. Non tutti questi farmaci comportano malformazioni, ma in generale il loro uso è controindicato fino al quarto mese. Gli effetti sull’allattamento sono meno noti anche se il diazepam è stato ritrovato nel siero del neonato.

Antidepressivi
Il loro uso è , in generale, consentito in gravidanza anche se ci sono poche evidenze a supporto del loro uso.
Alcuni studi hanno evidenziato anomalie cardiovascolari dopo l’utilizzo materno di imipramina; anche la venlafaxina è stata associata ad alcuni difetti alla nascita in un recente studio caso-controllo.
Gli SSRI (inibitori selettivi del reuptake della serotonina) hanno mostrato un aumento di 6 volte nel rischio di ipertensione polmonare persistente nel neonato soprattutto nell’uso prolungato. Bisogna inoltre valutare bene l’interruzione del trattamento con SSRI nella madre in gravidanza per il rischio di ricadute di depressione nella madre e che possono essere davvero dannose. Nel caso dell’allattamento se le percentuali che si ritrovano nel latte sono davvero basse è raccomandato non interrompere il trattamento come nel caso dell’amitriptilina, nortriptilina, desipramina, clomipraminina e sertralina.

Antiepilettici
La prima generazione di antiepilettici mostrava effetti avversi fetali mentre quelli della seconda generazione dovrebbero essere più sicuri; l’unico però studiato e approvato è la lamotrigina anche se è necessario un monitoraggio continuo ed a volte un aggiustamento della dose. Sugli altri antiepilettici ci sono pochi dati e contrastanti che non portano a decisioni conclusivi. Bisogna comunque considerare con cautela farmaci metabolizzati dalle uridin-difosfato glucuronosiltransferasi (UGT) per la bassa capacità metabolica nell’infante.

Corticosteroidi

I corticosteroidi usati per trattare l’asma come beta2-agonisti a breve durata d’azione, corticosteroidi inalatori, teofillina e inibitori dei leucotrieni non hanno effetti sulla crescita fetale e anche le complicazioni nel neonato sono ridotte se l’asma materna è controllata. Il loro collegamento alla nascita pretermine non è stato confermato da nuovi studi su grandi numeri. Non ci sono studi sull’uso nel dolore cronico quindi bisogna valutare bene in questo caso il rapporto rischio/beneficio.

Analgesici per mal di testa e emicrania
I dati maggiori presenti in letteratura riguardano i triptani e sembra non siano associati a aumento del rischio di malformazioni congenite. Studi sul sumatriptan hanno mostrato aumentato rischio di preclampsia, nascita pretermine e basso peso alla nascita. Ci sono poche evidenze riguardo agli altri triptani. Per quanto riguarda l’allattamento non sono stati visti effetti collaterali in seguito all’assunzione del sumatriptan che è quindi considerato sicuro.
I beta bloccanti sono stati molto studiati in gravidanza; sono stati evidenziati basso peso alla nascita, alcuni casi di morte perinatale e ipoglicemia se usati nel terzo trimestre. Sono comunque considerati sicuri in gravidanza e sono compatibili con l’allattamento (es. verapamil).

In conclusione, la gestione del dolore in gravidanza è un tema molto dibattuto. Purtroppo mancano studi su molti farmaci contro il dolore nel delicato periodo della gestazione, ma bisogna anche considerare, come sottolineano gli autori del lavoro, che una madre dolorante si muove meno e questo può causare effetti avversi sul feto. Per quanto riguarda la somministrazione di tali farmaci nell’allattamento bisogna considerare non solo la loro farmacocinetica ma anche caratteristiche genetiche della singola madre nel metabolismo di queste molecole. Infine, le linee guida internazionali necessitano di un’accurata revisione alla luce dei nuovi studi presenti in letteratura.

Emilia Vaccaro
Coluzzi F. et al. Chronic pain management in pregnancy and lactation. Minerva Anestesiol. 2014 Feb;80(2):211-24.
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