Il 1 luglio, la Commissione Europea ha approvato l'impiego di abatacept (Orencia, Bristol-Myers Squibb), in combinazione con methotrexate (MTX) nei pazienti con artrite reumatoide da moderata a grave che hanno avuto una risposta insufficiente alla  precedente terapia con uno o più Dmard (disease-modifying anti-rheumatic drugs), compreso il methotrexate o un inibitore del TNF-alfa.

Le indicazioni precedenti richiedevano che il farmaco potesse essere utilizzato solo dopo risposta insufficiente o intolleranza ad altri Dmards incluso almeno un farmaco anti TNF-alfa.

L'approvazione di abatacept quale biologico di prima linea dopo una risposta inadeguata ai DMARD è stata supportata dai dati di uno studio clinico in aperto della durata di 2 anni condotto in pazienti arruolati in un precedente studio (AGREE) che aveva arruolato pazienti naive al methotrexate, così dai provenienti da studi in aperto e a lungo termine condotti sui pazienti arruolati in altri studi facenti parte del programma di sviluppo clinico del farmaco e nei quali non vi era stata una risposta sufficiente con la sola terapia a base di MTX (studi AIM, ATTEST e un trial di fase IIb) o altri anti TNF ATTAIN e ARRIVE).

I dati di questi studi indicavano che abatacept è in grado di fornire un migliorato e più rapido outcome in termini di efficacia quando veniva prescritto insieme a MTX in una fase più precoce della malattia.  Erano disponibili dati fino a 7 anni. Inoltre,nello studio AIM è stata osservata una prolungata riduzione del tasso di progressione del danno strutturale per un tempo fino a 5 anni.

Si conferma quindi l'efficacia di questo farmaco biologico, che è in grado di "normalizzare" il processo infiammatorio associato alla malattia e di controllarla attraverso un meccanismo d'azione innovativo: è infatti la prima e unica proteina di fusione umana che blocca l'attivazione dei linfociti T.

Le persone colpite da questa malattia (in Italia si stimano circa 300 mila casi) vanno incontro ad una riduzione delle capacità motorie, con peggioramento della qualità di vita, perdita di capacità lavorativa, necessità di spese mediche ingenti e rischio di dover ricorrere a interventi chirurgici. Entro 10 anni dalla comparsa della malattia, il 50% dei pazienti non è più in grado di svolgere un lavoro a tempo pieno. La loro qualità di vita scende ad un livello paragonabile a quello di chi soffre di scompenso cardiaco e diabete.