Il Comitato di esperti dell’Ema ha dato parere positivo all’approvazione di nivolumab, l’inibitore del checkpoint PD-1 per la terapia del tumore al polmone non a piccole cellule (NSCLC) a cellule squamose, localmente avanzato o in fase avanzata (metastatico). Circa un mese fa, il farmaco ha ricevuto il parere favorevole del Chmp per il melanoma in fase avanzata.
Il parere positivo si basa sui dati di uno studio di fase III, in cui l’anti PD-1 nivolumab ha raggiunto l’endpoint principale di miglioramento della sopravvivenza generale rispetto a docetaxel in pazienti con tumore del polmone.
La valutazione favorevole del CHMP si basa sui dati di due studi, CheckMate -017 e CheckMate -063, che hanno dimostrato l'efficacia e la sicurezza di nivolumab in pazienti con NSCLC squamoso avanzato o metastatico in progressione dopo un precedente trattamento chemioterapico. Lo studio di fase III CheckMate -017, randomizzato, in aperto ha incluso pazienti in progressione durante o dopo un precedente regime chemioterapico con platino.
I risultati di un'analisi ad interim prespecificata di CheckMate -017 hanno dimostrato un significativo aumento della sopravvivenza globale (OS) con nivolumab, rispetto a docetaxel, con una riduzione del 41% del rischio di morte, indipendentemente dallo stato di espressione di PD-L1. Il tasso di sopravvivenza stimato ad un anno era quasi raddoppiato con nivolumab (42%), rispetto a docetaxel (24%). La OS mediana era 9,2 mesi nel braccio con nivolumab e 6 mesi nel braccio con docetaxel.
Un secondo studio di fase II, CheckMate -063, internazionale, multicentrico, in singolo braccio, ha incluso pazienti con NSCLC squamoso metastatico in progressione dopo una terapia con platino e almeno un ulteriore regime di trattamento sistemico. In CheckMate -063, il tasso di risposta obiettiva confermata, l'endpoint primario dello studio, era pari al 14,5%, con un tasso di sopravvivenza stimato ad un anno del 40,8% e una OS mediana di 8,2 mesi.
Nivolumab è un anticorpo monoclonale completamente umanizzato inibitore del checkpoint immunitario PD-1, che è stato approvato lo scorso dicembre dall’Fda per il trattamento del melanoma.
Il farmaco è in sviluppo anche per altre indicazioni, tra cui il linfoma di Hodgkin e il carcinoma renale metastatico.
Il blocco dei checkpoint immunitari, in particolare del pathway di PD-1 e dei suoi ligandi, PD- L1 e PD- L2, sta emergendo come una strategia promettente per la terapia del cancro.
Per checkpoint immunitari si intendono una serie piuttosto estesa di meccanismi inibitori intrinseci al sistema immunitario necessari per mantenere la tolleranza verso il tessuti self e per modulare la durata e l’ampiezza delle risposte immunitarie fisiologiche nei tessuti periferici in modo tale da limitare il danno tessutale collaterale.
Ultimamente, risulta sempre più chiaro che diversi tipi di tumore “sfruttano” nel proprio sviluppo alcuni di questi sistemi checkpoint come principale meccanismo per evadere la risposta immunitaria antitumorale, tipicamente svolta dai linfociti T specifici per antigeni tumorali.
Gli anticorpi anti-PD-1 e anti-PD-L1 potenziano la risposta immunitaria bloccando l'interazione tra la proteina PD-1, un cosiddetto check point immunitario o recettore co-inibitorio della cellula T, e uno dei suoi ligandi, il PD-L1, impedendo alle cellule tumorali di eludere il sistema immunitario dell'ospite.
Bloccando PD-1, questi farmaci permettono l’attivazione delle cellule T che colpiscono le cellule tumorali, essenzialmente ‘togliendo il freno’ al sistema immunitario.
Comunicato Ema
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