Duplice successo per olaparib, il farmaco anti-PARP di AstraZeneca ed MSD. Oggi, infatti, la Commissione europea lo ha approvato per due indicazioni. La prima è la terapia di mantenimento dopo la chemioterapia di prima linea a base di platino, in associazione a bevacizumab, per le pazienti con carcinoma ovarico avanzato positivo per il deficit di ricombinazione omologa (HRD), definito in base alla presenza di una mutazione dei geni BRCA 1/2 e/o un'instabilità genomica. La seconda indicazione che ha avuto il semaforo verde dell'Ema è il trattamento in monoterapia di pazienti adulti con cancro alla prostata resistente alla castrazione metastatico (mCRPC) e che presentano mutazioni di BRCA1/2 (germinali e/o somatiche) andati in progressione a seguito di una precedente terapia comprendente un agente ormonale di nuova generazione.
Doppia approvazione europea per olaparib: prima linea nel tumore ovarico HRD+ e tumore della prostata BRCA mutato
Duplice successo per olaparib, il farmaco anti-PARP di AstraZeneca ed MSD. Oggi, infatti, la Commissione europea lo ha approvato per due indicazioni.
La prima è la terapia di mantenimento dopo la chemioterapia di prima linea a base di platino, in associazione a bevacizumab, per le pazienti con carcinoma ovarico avanzato positivo per il deficit di ricombinazione omologa (HRD), definito in base alla presenza di una mutazione dei geni BRCA 1/2 e/o un’instabilità genomica.
La seconda indicazione che ha avuto il semaforo verde dell’Ema è il trattamento in monoterapia di pazienti adulti con cancro alla prostata resistente alla castrazione metastatico (mCRPC) e che presentano mutazioni di BRCA1/2 (germinali e/o somatiche) andati in progressione a seguito di una precedente terapia comprendente un agente ormonale di nuova generazione.
Cancro dell’ovaio
L'indicazione completa nell'Unione europea è per l’uso di olaparib in combinazione con bevacizumab per il trattamento di mantenimento di pazienti adulte con tumore ovarico epiteliale di alto grado, delle tube di Falloppio o peritoneale primario avanzato (stadi FIGO III e IV), che sono in risposta (completa o parziale) dopo il completamento della chemioterapia di prima linea a base di platino e il cui tumore è HRD-positivo.
Il carcinoma ovarico è la quinta causa più comune di morte per cancro nell'Ue e il tasso di sopravvivenza a 5 anni è di circa il 45%, in parte a causa del fatto che la malattia viene spesso diagnosticata in uno stadio già avanzato (III o IV).
L'approvazione di olaparib da parte della Commissione europea si è basata su un'analisi dello studio di fase 3 PAOLA-1, nel quale il trattamento di mantenimento con questo farmaco, in combinazione con bevacizumab, ha dimostrato un sostanziale miglioramento della sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto al solo bevacizumab per le pazienti con carcinoma ovarico avanzato HRD-positivo.
Isabelle Ray-Coquard, ricercatrice principale dello studio PAOLA-1 e oncologa medica presso il Centre Léon Bérard di Parigi e, nonché Presidente del gruppo cooperativo GINECO, ha dichiarato: «Per le donne che hanno un carcinoma ovarico avanzato, l'obiettivo del trattamento di prima linea è quello di ritardare la progressione della malattia il più a lungo possibile, con l'intento di ottenere una remissione a lungo termine. Purtroppo, una volta che il cancro si ripresenta, è storicamente incurabile. Olaparib, insieme con bevacizumab, ha mostrato di fornire un beneficio impressionante, di più di 3 anni, della mediana di sopravvivenza senza progressione ed è pronto a diventare lo standard di cura per le pazienti idonee con tumori HRD-positivi».
Nello studio PAOLA-1, il mantenimento con olaparib, in combinazione con bevacizumab, ha ridotto il rischio di progressione della malattia o di morte del 67% (sulla base di un rapporto di rischio, HR, di 0,33; intervallo di confidenza (IC) al 95% 0,25-0,45). L'aggiunta di olaparib all’antiangiogenico ha portato la PFS a una mediana di 37,2 mesi rispetto a 17,7 mesi con il solo bevacizumab in pazienti con carcinoma ovarico HRD-positivo avanzato. I dati dello studio PAOLA-1 sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine nel 2019.
Ulteriori risultati presentati di recente al congresso ESMO 2020 hanno mostrato un miglioramento statisticamente significativo di uno degli endpoint secondari chiave dello studio, rappresentato dal tempo intercorso tra la randomizzazione e la progressione dopo la chemioterapia di seconda linea (PFS2). Il mantenimento con olaparib più bevacizumab ha migliorato, infatti, la PFS2 mediana, portandola a 50,3 mesi, rispetto ai 35,3 mesi con il solo bevacizumab.
Cancro della prostata
Olaparib è stato approvato nell'Unione europea anche per il trattamento in monoterapia di pazienti adulti con cancro alla prostata metastatico resistente alla castrazione (mCRPC) e che presentano mutazioni di BRCA1/2 (germinali e/o somatiche) e andati in progressione a seguito di una precedente terapia comprendente un agente ormonale di nuova generazione.
L'approvazione da parte della Commissione europea si è basata su un'analisi di sottogruppo dello studio di fase 3 PROfound, nella quale olaparib ha dimostrato di migliorare la sopravvivenza libera da progressione radiografica (rPFS) e la sopravvivenza globale (OS) rispetto a enzalutamide o abiraterone negli uomini con mCRPC portatori di mutazioni BRCA1/2.
Il carcinoma della prostata è il secondo tipo di cancro più comune negli uomini, con circa 1,3 milioni di nuovi pazienti diagnosticati in tutto il mondo nel 2018. Circa il 10% degli uomini con mCRPC ha una mutazione di BRCA1/2.
Nell'analisi di sottogruppo dello studio PROfound sugli uomini con mCRPC con mutazioni di BRCA1/2, olaparib ha ridotto il rischio di progressione della malattia o di morte del 78% (HR 0,22; IC al 95% 0,15-0,32; P < 0,0001) e ha migliorato la rPFS mediana, che è risultata di 9,8 mesi nel braccio sperimentale, trattato con il PARP-inibitore, contro 3,0 mesi nel braccio trattato con enzalutamide o abiraterone.
Inoltre, il trattamento con olaparib ha ridotto il rischio di morte del 37% (HR 0,63; IC al 95% 0,42-0,95), con un’OS mediana di 20,1 mesi con il farmaco sperimentale contro 14,4 mesi con enzalutamide o abiraterone. I risultati dell’analisi primaria dello studio sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine all'inizio di quest'anno.