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Fibrillazione atriale, dopo lo stent per la SCA ok del Chmp a rivaroxaban

Il Comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) dell'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha espresso parere positivo in merito a un aggiornamento della scheda tecnica, riguardo l'uso dell'inibitore orale del fattore Xa (rivaroxaban), al dosaggio di 15 mg una volta al giorno in associazione ad un inibitore del recettore P2Y12 per il trattamento di pazienti affetti da fibrillazione atriale (FA) non valvolare.

Il Comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha espresso parere positivo in merito a un aggiornamento della scheda tecnica, riguardo l’uso dell’inibitore orale del fattore Xa (rivaroxaban), al dosaggio di 15 mg una volta al giorno in associazione ad un inibitore del recettore P2Y12 per il trattamento di pazienti affetti da fibrillazione atriale (FA) non valvolare.

Si tratta di casi in cui si rende necessaria una terapia con anticoagulanti orali, in pazienti sottoposti a intervento coronarico percutaneo (PCI) con inserimento di stent. La decisione finale è attesa nel corso del terzo trimestre di quest’anno.

“Il parere del CHMP rappresenta un altro passo verso una gestione ottimale di questi pazienti, che sono ad alto rischio di trombosi e che necessitano di terapia anticoagulante non solo poiché affetti da fibrillazione atriale, ma anche a causa dell’inserimento di uno stent”, afferma il dott. Michael Devoy, Responsabile Medical Affairs & Pharmacovigilance della Divisione Prodotti farmaceutici di Bayer AG e Chief Medical Officer di Bayer.

“L’approccio terapeutico attuale”, prosegue Devoy, “è tuttavia associato a un aumento del rischio di sanguinamento, in particolare di quello intracranico. Contro questa criticità, è particolarmente incoraggiante quanto emerso dallo studio PIONEER AF-PCI, dove il trattamento con rivaroxaban 15 mg una volta al giorno, in associazione a singola terapia antiaggregante piastrinica, ha portato ad una importante riduzione della percentuale di sanguinamenti clinicamente rilevanti (41%) rispetto alla strategia di trattamento con il VKA”.

La FA è la forma più diffusa di aritmia e colpisce circa 33,5 milioni di persone in tutto il mondo. Il 20-40% di questi pazienti è affetto, inoltre, da coronaropatia, che li espone al rischio di doversi sottoporre a PCI. Nel corso della propria vita, circa il 5-15% dei pazienti con FA avrà bisogno di uno stent da inserire con una procedura di PCI[v]. Questi pazienti hanno un rischio aumentato di sviluppare coaguli che possono innescare gravi conseguenze tra cui ictus, infarto miocardico o trombosi dello stent 4.

Il parere positivo del CHMP si basa sui dati ricavati dallo studio di Fase IIIb, PIONEER AF-PCI, pubblicato su The New England Journal of Medicine nel dicembre 2016. La ricerca ha dimostrato che una dose giornaliera di rivaroxaban 15 mg, in associazione a singola terapia antiaggregante piastrinica, riduce in modo significativo la percentuale di sanguinamenti clinicamente rilevanti (41% diminuzione del rischio relativo; pari al 9,9% del rischio assoluto), rispetto a VKA più terapia con doppio antiaggregante piastrinico (DAPT) nei pazienti randomizzati al trattamento per 12 mesi. Il regime terapeutico con rivaroxaban ha dimostrato percentuali analoghe per l’endpoint esplorativo composito di efficacia: morte cardiovascolare, IM, ictus e trombosi dello stent, rispetto al regime terapeutico con VKA. Tuttavia, poichè lo studio non era stato disegnato per avere la potenza statistica di dimostrare differenze in termini di efficacia, non è possibile trarre conclusioni riguardo a questi outcomes.

PIONEER AF-PCI è il primo studio randomizzato condotto con un NAO in questa popolazione di pazienti. La ricerca va ad aggiungersi all’ampio programma di sperimentazione clinica con rivaroxaban, che alla fine includerà, secondo le stime, oltre 275.000 pazienti fra quelli arruolati negli studi clinici e quelli osservati in un contesto di vita reale.