Avere il colesterolo LDL che raggiunge  anche i 1000 mg/dl. Non riuscire a ridurlo che in minima parte con i farmaci più efficaci e dover ricorrere alla LDL aferesi, una specie di dialisi però applicata ai lipidi del sangue. Avere un’aspettativa di vita ridotta a causa dell’insorgenza a che in giovane età di malattie cardiovascolari. Questo in sintesi il quadro di chi soffre di ipercolesterolemia famigliare omozigote, una malattia rara che colpisce circa una persona su un milione.

Oggi per questi pazienti si apre una nuova prospettiva perché Unione Europea ha approvato il farmaco lomitapide, un inibitore della proteina microsomiale di trasporto dei trigliceridi. Sviluppato dalla biotech americana Aegerion, verrà messo in commercio con il marchio Lojuxta.

Nella registrazione del farmaco, l’Italia ha giocato un ruolo di primo piano, perché ha contribuito con lo studio registrativo mondiale di fase III con ben 4 centri: Milano al Niguarda (Prof. Sirtori), Palermo al Giaccone (prof. Averna); Roma al Policlinico Umberto I (Prof.ssa Stefanutti), Ferrara all’Arcispedale di S.Anna (Prof. Vigna).

La lomitapide agisce da inibitore della MTP (microsomal transfer protein), proteina che ‘assembla’ colesterolo, trigliceridi e proteine nel fegato. In questo modo le LDL non vanno in circolo e il colesterolo scende in modo drammatico.

Negli studi clinici finora condotti, i risultati sono stati molto positivi: dimezzato il colesterolo LDL «cattivo» dopo poche compresse, con riduzione - in alcuni casi - del 70-80%. Una rivoluzione per le persone colpite da forme finora incurabili di ipercolesterolemia omozigote.

I trattamenti ad oggi disponibili sono i seguenti: dieta ipolipidica, farmaci ipocolesterolemizzanti come le statine alle massime dosi tollerate e  LDL aferesi, un processo simile alla dialisi che filtra le LDL dal sangue e che va ripetuto ogni due settimane circa. Quest'ultimo trattamento è senz'altro molto efficace e consente di raggiungere il target terapeutico ma non di mantenerlo, oltre al disagio indubbio simile a quello del paziente in dialisi, aggravato dal fatto che i centri in grado di praticare questa tecnica sono molto pochi. Nelle malattie genetiche da accumulo quello che conta è il controllo nel tempo della sostanza che si accumula, responsabile della patologia che ne deriva, in questo caseo  l'aterosclerosi.

I pazienti colpiti dalla malattia vanno frequentemente incontro a interventi chirurgici, per l'apposizione di stent o per altri interventi di cardiochirurgia. Nonostante le terapie attualmente disponibili, molti pazienti non arrivano a superare i trenta anni di età.
Nel caso dell’ipercolesterolemia omozigote i malati sono portatori di un gene patologico ereditato da entrambi i genitori, che determina una disfunzione del recettore di controllo che normalmente consente al fegato di bloccare la sintesi di colesterolo e tenerlo intorno a valori normali.

L’ipercolesterolemia familiare è una malattia ereditaria in cui la quantità di colesterolo nel sangue può essere notevolmente aumentata. Esistono due forme principali di ipercolesterolemia familiare: la forma eterozigote e quella omozigote.

La forma eterozigote è la più comune (1/500 nati vivi) e presenta valori di colesterolemia che vanno da 220 mg/dl (di poco superiore alla norma) fino a circa 550 mg/dl.

La forma omozigote è molto più grave, ma anche più rara (1/1.000.000 nati vivi) e le persone affette possono avere valori di colesterolemia di 550-1000 mg/dl, soprattutto sotto forma di LDL. Questo porta all'accumulo di LDL nell'endotelio dei vasi sanguigni e all'avvio del processo aterosclerotico che porta all'aumento consistente di rischio cardiovascolare anche in età infantile.

L’ipercolesterolemia familiare è dovuta ad alterazioni di un gene che contiene le informazioni per fabbricare una proteina nota con il nome di recettore dell’LDL. Si tratta di una proteina localizzata sulla superficie delle cellule, che è in grado di captare le LDL del sangue e di farle entrare nella cellula, dove vengono scomposte. A causa dell’alterazione genica, il recettore è prodotto in quantità insufficiente oppure è del tutto assente, e questo fa sì che le LDL si accumulino nel sangue.

Si conoscono nel mondo più di 1.600 diverse alterazioni nel gene delle LDL che causano l’ipercolesterolemia familiare, delle quali il 20% circa non è rilevabile con alcun test genetico. In Italia, un recente studio ha identificato circa 72 di queste alterazioni, distribuite in alcune regioni della penisola
Nella forma eterozigote è presente una copia normale del gene (quella derivante dal genitore sano), mentre l’altra (che proviene dal genitore affetto da ipercolesterolemia familiare) è alterata. Il recettore è quindi presente ma è prodotto in quantità insufficiente (50%).

Nella forma omozigote entrambe le copie del gene sono alterate, e il recettore è del tutto assente o molto ridotto (da 0 a 25%).

La frequenza degli individui eterozigoti è piuttosto alta: 1/500. Un dato che identifica l’ipercolesterolemia familiare come uno dei più frequenti errori congeniti del metabolismo.
La frequenza degli omozigoti è invece molto più bassa, circa 1/1.000.000. In Italia si stima che esistano circa 50-60 persone affette dalla forma omozigote. Tra non molto anche per loro si aprirà una speranza in più.