La Commissione europea ha approvato l’aggiunta nella scheda tecnica di natalizumab di un terzo fattore di rischio di leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML): lo status anticorpale anti-JC virus. Gli altri due fattori di rischio già menzionati tra le avvertenze speciali e le precauzioni di impiego sono la durata del trattamento (superiore a 24 mesi) e l’aver effettuato in precedenza una terapia con farmaci immunosoppressori quali mitoxantone, ciclofosfamide o azatioprina.

Questa misura permetterà di stratificare meglio il rischio di PML, un’infezione cerebrale che può provocare  grave disabilità e in una quota minore di casi può anche risultare letale e che, anche se rara, rappresenta una possibile complicanza del trattamento con natalizumab.

Grazie alla sua dimostrata efficacia, questo farmaco che a, a detta di molti esperti, è il più efficace per la cura della sclerosi multipla, ha permesso notevoli passi avanti nella cura di questa malattia che solo in Italia colpisce circa 60mila persone. In aggiunta, la Commissione europea ha anche dato il suo assenso al rinnovo per cinque anni dell’autorizzazione alla commercializzazione del farmaco.

Tenere conto di tutti e tre i fattori dà ai medici l’opportunità di prescrivere l’anticorpo in modo più mirato e sicuro, identificando i pazienti con le minori probabilità di sviluppare la PML. La conduzione del test non è obbligatoria per la prescrizione del farmaco, ma il suo uso è consigliato e sostenuto dall’azienda produttrice, Biogen Dompè.

Il professor Carlo Pozzilli, responsabile del Centro Sclerosi Multipla dell'Università di Roma "La Sapienza", Ospedale S. Andrea,  che dirige il centro di che ha in cura circa 250 pazienti con SM ci ha dichiarato «Si tratta di un grosso passo in avanti per una terapia sempre più sicura e personalizzata. Le indicazioni di natalizumab sono a prescindere dal test e si basano sulla mancata risposta a una terapia con interferone-beta oppure per i pazienti con sclerosi multipla recidivante remittente grave a evoluzione rapida. Per noi natalizumab è un farmaco molto importante che consente di quasi raddoppiare il numero di pazienti senza ricadute. I dati clinici con questo farmaco danno una risposta dell’80% verso il 30-40% ottenibile con interferone».

Come funziona il test?
Il test va effettuato su sangue periferico fresco (non congelato). Di conseguenza nei vari centri i medici cercano di concentrare i pazienti che lo devono fare in un determinato giorno nel corso del quale si fanno i prelievi ematici che vengono poi spediti a un unico laboratorio europeo che si trova a Copenaghen,  un centro indipendente dalla società produttrice e dai centri prescrittori del farmaco.

Nella normale pratica clinica il test può essere effettuato su qualsiasi paziente affetto da SM.  Ogni anno è bene rifare il test anche perché la presenza di anticorpi anti JC è correlata all’età.

Proprio i dati di un registro curato da Biogen-Idec, presentati all’ultimo congresso dell’American Academy of Neurology, a Honolulu, evidenziano che in assenza di tutti e tre i fattori di rischio meno di un paziente su 10mila trattato con natalizumab potrebbe sviluppare l’infezione, contro circa uno su 100 in caso siano presenti tutti e tre i fattori di rischio.

La possibilità di rilevare la presenza del virus attraverso il test costituisce un grosso passo in avanti per la sicurezza di impiego del farmaco e un fattore di tranquillità per i pazienti. Essere positivi al virus JC non significa affatto essere malati di PML. La malattia si potrà sviluppare solo in una minima quota di questi pazienti. Lo sviluppo di PML dipende dalla riattivazione del virus JC che è normalmente presente in oltre il 50% della popolazione sana e con sostanzialmente la stessa incidenza (55%) anche nei pazienti colpiti da SM. Di norma, il virus è latente nel sistema nervoso dei soggetti sani; la riattivazione è probabilmente legata all’inibizione della migrazione dei leucociti causata da natalizumab.

La positività al virus costituisce dunque un fattore di rischio per la PML, un elemento che il medico valuterà insieme al paziente per decidere con lui la terapia più adatta, caso per caso. In caso siano presenti anche gli altri due fattori di rischio è probabile che si possa decidere per l’interruzione, negli altri casi la decisione sarà personalizzata.