Le autorità regolatorie europee hanno raccomandato l’approvazione di rivaroxaban al dosaggio di 2,5 mg due volte al giorno, in associazione alla terapia antipiastrinica standard per la prevenzione di eventi aterotrombotici (infarto del miocardio, morte cardiovascolare o ictus) in pazienti adulti con Sindrome Coronarica Acuta (SCA), con elevati livelli di biomarcatori cardiaci.
L’Europa la pensa evidentemente in modo diverso dagli Usa che invece, per ora, non hanno concesso questa approvazione.

Gli eventi cardiovascolari maggiori - inclusi i casi di morte cardiovascolare - restano elevati nei pazienti con SCA, attualmente sottoposti alla terapia antipiastrinica standard dopo la dimissione ospedaliera. Questa terapia, infatti, interviene soltanto su una delle vie del processo di formazione del coagulo: l’attivazione piastrinica. In realtà, i trombi si formano attraverso un duplice processo, che comprende sia l’attivazione piastrinica che la generazione di trombina. Per di più i livelli di trombina rimangono elevati dopo un evento di SCA e devono essere tenuti sotto controllo per un lungo periodo.

Sviluppato congiuntamente da Bayer (che lo ha scoperto) e da Johnson & Johnson che ne supporta ala commercializzazione in Usa, rivaroxaban è il primo dei nuovi anticoagulanti per il quale sia stata ottenuta questa indicazione, anche se per ora in forma preliminare.

L’approvazione preliminare si basa sui dati dello studio di fase III ATLAS ACS 2 TIMI 51. Pubblicato sul New England Journal of Medicine il trial è stato condotto in pazienti con SCA e ha mostrato risultati promettenti in questi pazienti, portando a una riduzione del 34% della mortalità totale e cardiovascolare rispetto al placebo, seppure a prezzo di un aumento del rischio di sanguinamento e di emorragia intracranica (ICH).

Nei pazienti trattati con rivaroxaban si è ottenuta un’incidenza dell’endpoint primario (decessi per cause cardiovascolari, infarto miocardio o ictus) dell’8,9% contro il 10,7% nel gruppo placebo, pari una riduzione significativa (-16%) di tale endpoint con il trattamento attivo rispetto al placebo ( hazard ratio, HR, con rivaroxaban 0,84; IC al 95% 0,74-0,96; P = 0,008).
Alla dose di 2,5 mg BID, il farmaco ha ridotto di oltre il 30% l’incidenza  di decessi per tutte le cause e quelli per cause cardiovascolari, rispetto alla sola terapia standard. Entrambi i gruppi ricevevano aspirina a basso dosaggio (75-100 mg), il 93% assumeva anche clopidogrel.

Nello studio ATLAS ACS 2 TIMI 51, le percentuali di eventi di sanguinamento maggiori TIMI (Thrombolysis In Myocardial Infarction, trombolisi nell’infarto miocardico) non associati a impianto di bypass aorto-coronarico (CABG) sono risultate complessivamente basse, ma rivaroxaban è risultato associato a percentuali più elevate di questi sanguinamenti rispetto alla sola terapia standard. È importante notare che queste differenze non sono risultate associate ad un aumento del rischio di sanguinamento fatale o di emorragia intracranica fatale (ICH, Intacranial Hemorrhage).

“Per oltre un decennio, i pazienti con SCA sono stati trattati in modo efficace con Acido Acetil Salicilico a basse dosi, somministrato in combinazione con tienopiridina, allo scopo di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari ricorrenti -dichiara Corrado Tamburino, Divisione di Cardiologia Ospedale Ferrarotto, Università degli Studi di Catania -Lo Studio ATLAS ACS2-TIMI51 ha dimostrato che, aggiungendo alla terapia standard l’inibitore orale del Fattore Xa rivaroxaban, questo pericolo si riduce notevolmente, con significativa diminuzione della mortalità”.

Rivaroxaban è un inibitore del fattore Xa della coagulazione attivo per via orale, approvato in Usa e in Europa, anche se con “wording” leggermente diversi, per la per la prevenzione dello stroke e dell’embolia sistemica in pazienti con fibrillazione atriale non valvolare e per la prevenzione e per il trattamento del tromboembolismo venoso e dell’embolia polmonare in pazienti  sottoposti a sostituzione di anca o ginocchio.

Studio ATLAS ACS 2 TIMI 51
Nel trial in oggetto pubblicato nel 2011 sul NEJM, gli autori del lavoro hanno confrontato due dosi diverse di rivaroxaban, un inibitore del fattore Xa della coagulazione attivo per via orale, con il placebo in pazienti con SCA. Tutti i partecipanti erano già in trattamento con aspirina a basso dosaggio (75-100 mg), il 93% assumeva anche clopidogrel.

Il trattamento con rivaroxaban è iniziato in media 4,6 giorni dopo un evento legato alla SCA, escludendo però i pazienti con un precedente ictus o attacco ischemico transitorio (TIA), visto che questa popolazione ha dimostrato di avere un rischio particolarmente alto di emorragia intracranica in studi precedenti su altri farmaci antitrombotici. Il campione studiato era comunque a alto rischio, dato che la metà avevo avuto uno STEMI. L’endpoint primario di efficacia era dato dalla combinazione dei decessi per cause cardiovascolari, infarto miocardio o ictus.

Al trial, randomizzato e in doppio cieco, hanno preso parte 15.526 pazienti con SCA trattati con due diversi dosaggi di rivaroxaban (2,5 mg o 5 mg due volte al giorno) oppure placebo per un periodo medio di 13 mesi e fino a 31 mesi.

Entrambe le dosi testate dell’antiaggregante hanno mostrato di ridurre l’incidenza dell’endpoint primario, ma non a costo zero: nei pazienti i trattamento attivo si sono infatti osservati più episodi di sanguinamento rispetto ai controlli. La più bassa, però, è quella che ha mostrato il miglior rapporto rischio/beneficio, grazie a una minore incidenza dei sanguinamenti.

Combinando i dati dei due gruppi rivaroxaban, si è ottenuta un’incidenza dell’endpoint primario dell’8,9% contro il 10,7% nel gruppo placebo, pari una riduzione significativa, pari al 16%, di tale endpoint con il trattamento attivo rispetto al placebo (hazard ratio, HR, con rivaroxaban 0,84; IC al 95% 0,74-0,96; P = 0,008). Un risultato interessante, accompagnato, però, da un aumento di tre volte dei sanguinamenti maggiori non correlati al by-pass (2,1% contro 0,6%; P < 0,001) e delle emorragie intracraniche (0,6% contro 0,2%; P = 0,009), ma senza aumenti significativi dei sanguinamenti fatali (0,3% contro 0,2%; P = 0,66).

Analizzando i risultati relativi ai singoli dosaggi, i risultati migliori sono stati ottenuti con il più basso, ottenendo una riduzione significativa rispetto ai controlli sia dell’endpoint primario (9,1% contro 10,7%; HR 0, 84; IC al 95% 0,72-0,97; P = 0,02) sia della mortalità cardiovascolare (2,7% contro 4,1; P = 0,002) sia della mortalità per ogni causa (2,9% contro 4,5%; P = 0,002).

Dal punto di vista del rischio emorragico, i 2,5 mg di antiaggregante si sono rivelati, oltre che più efficaci, anche più sicuri dei 5 mg, con una frequenza di sanguinamenti fatali inferiore (0,1% contro 0,4%; P = 0,04).

Sindrome coronarica acuta (SCA)
La SCA è una complicazione della cardiopatia coronarica, che è la singola causa di morte più frequente a livello mondiale e una delle malattie non trasmissibili più prevalenti in tutto il mondo. La SCA insorge quando un coagulo ematico blocca un’arteria coronaria, riducendo l’apporto ematico al cuore. Questa interruzione del flusso ematico può direttamente causare un attacco cardiaco o dolore toracico severo (angina instabile), una condizione patologica che indica che presto potrebbe verificarsi un attacco di cuore.

Mega JL, Braunwald E, Wiviott SD, et al. Rivaroxaban in patients with a recent acute coronary syndrome. N Engl J Med 2011; DOI: 10.1056/NEJMoa1112277