HIV, accettare la propria condizione migliora la qualità della vita dei pazienti #ICAR2021
L’ascolto delle narrazioni delle persone affette da HIV ha messo in luce che, quanto più il paziente accetta la propria condizione, tanto migliore sarà la sua qualità di vita e la convivenza con la malattia. È quanto emerge dai risultati dello studio DIAMANTE, esposti nel corso di una relazione all’Italian Conference on AIDS and Antiviral Research (ICAR) 2021.
La malattia da HIV è cambiata nel corso degli anni, trasformandosi da una condizione pericolosa per la vita a una patologia cronica. Tuttavia, l'esperienza personale delle persone che vivono con l'HIV (PLWH) e la relazione medico-paziente sono ancora relativamente inesplorate e lo stigma percepito continua a essere un problema sociale, hanno premesso gli autori
La Medicina Narrativa, attraverso il racconto del paziente, approfondisce gli aspetti relativi alla percezione della malattia concentrandosi sul “coping”, definito come l'insieme delle strategie coscienti cognitivo-comportamentali utilizzate dalle persone per superare o imparare a convivere con un elemento stressogeno (la malattia) o con un evento cronico che durerà per tutta la vita.
Questo approccio si propone di affrontare le dimensioni relazionali e psicologiche che si manifestano di pari passo con la malattia fisica, nel tentativo di confrontarsi con il vissuto dei malati. Lo scopo non è solo convalidare l'esperienza del paziente, ma anche incoraggiare l'autoriflessione del medico sul proprio operato.
Analisi delle narrazioni dei pazienti
Lo studio non interventistico di fase IV DIAMANTE mirava a raccogliere i dati clinici e le narrazioni delle persone con HIV trattate con il regime D/C/F/TAF (darunavir/cobicistat/emtricitabina/tenofovir alafenamide), valutando l'efficacia della terapia e i risultati riportati dal paziente (PRO, Patient-Reported Oucomes). Da giugno 2018 a settembre 2020 lo studio ha coinvolto 18 centri in tutta Italia ed ha arruolato e seguito per 48 settimane pazienti sia naïve alla terapia che con esperienza di antiretrovirali (con o senza darunavir).
I PRO sono stati raccolti all'arruolamento (V1) e all'ultima visita (V4, alla settimana 48). I racconti dei pazienti sono stati esaminati da due ricercatori indipendenti per valutare il livello di coping tramite il software NVivo10 basato sull'analisi dei contenuti.
Sono stati valutati un totale di 243 PLWH: 154 (63%) hanno completato la narrazione alla V1, 125 (60%) alla V4 e 114 (47%) alle visite V1 e V4. Quattro narrazioni sono state escluse dall'analisi sia alla V1 che alla V4 perché con informazioni troppo brevi e di scarsa qualità.
Migliore qualità di vita se si accetta la malattia
Hanno effettuato con successo il coping alla prima visita il 51% dei partecipanti, saliti al 59% alla visita 4.
I risultati hanno mostrato che una precedente esperienza terapeutica non ha alcun impatto sul coping, ma i pazienti che alla visita 4 ancora non accettavano di vivere con l’infezione hanno ottenuto un punteggio più basso (18,9) nel questionario sulla soddisfazione del trattamento dell'HIV (HIVTSQ), rispetto a quanti hanno invece accettato la loro condizione (punteggio di 25,7 nell’HIVTSQ).
Riguardo al percorso di cura, coloro che non riescono a costruire una buona relazione con il proprio clinico di riferimento oppure che hanno giudicato come difficoltoso il percorso di cura che hanno affrontato, sono gli stessi che hanno bassi livelli di coping (rispettivamente 29% e 24%).
Dalle narrazioni, che forniscono approfondimenti più profondi, la maggior parte dei pazienti ha valutato la terapia come efficace (63%) e facile da assumere (62%), mentre solo il 13% di quanti hanno percepito la terapia come un destino ineluttabile (con il continuo ricordare a sé stessi della propria condizione cronica) ha accettato la convivenza con l’HIV.
I pazienti non hanno riportato alcuna limitazione nello svolgimento delle attività a seguito dell'infezione, anche se il 7% di quelli che hanno deciso vivere in modo isolato aveva un basso livello di coping.
La percezione dello stigma rimane un fattore negativo per il coping alla visita 4. Quanti temono lo stigma avevano bassi livelli di coping (47%) mentre, tra i fattori che attivano il coping, l'estroversione è risultata il driver più significativo in grado di favorire l'accettazione della convivenza con l’HIV, come evidenziato da molteplici comportamenti: la capacità di condividere il fatto di essere sieropositivi, la costruzione di relazioni positive con la famiglia e gli altri, la speranza di aiutare altre persone che vivono le stesse esperienze.
Dal punto di vista emozionale, durante il percorso di cura le emozioni si sono evolute, passando dalla paura e dal dolore dopo il test di conferma dell'HIV (82%), alla rassicurazione dopo la prima visita con l’infettivologo (68%) e alla serenità dopo la visita 1 dello studio DIAMANTE (30%), confermando che un livello più elevato di informazioni sull'HIV ha un ruolo fondamentale nell'accettare la propria condizione, così come il percorso generale di cura. I pazienti più sereni alla V1 facevano poi un maggior coping alla V4.
«L'estroversione e la cura sentite come crescita personale sono fattori chiave nel favorire il coping, mentre la paura dello stigma e dell'isolamento rappresentano ancora i maggiori ostacoli all'accettazione dell'HIV» hanno concluso gli autori. «Le campagne educative che prendono spunto sulle questioni emerse dalle narrazioni potrebbero aiutare le persone che vivono con l’HIV a migliorare la qualità della loro vitae i medici a migliorare il percorso di cura».
Bibliografia
Antinori A et al. Narratives of HIV-positive patients in the DIAMANTE study.