I primi riscontri degli studi di fase II e III vennero presentati due anni fa all’ASCO di Chicago, suscitando l’interesse della comunità oncologica mondiale. Oggi pazopanib, un antiangiogenetico orale, frutto della ricerca Gsk, ha concluso l’iter di approvazione con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ed è disponibile anche in Italia.

Pazopanib è una piccola molecola orale, inibitore dell’angiogenesi e di alcune tirosin chinasi, in particolare dei recettori VEGFR1, VEGFR2, VEGFR3, PDGFR-α, PDGFR–β, e del recettore per le stem cell (c-KIT). Disponibile per via orale con somministrazione once a day, verrà messo in commercio con il marchio Votrient.

Nei pazienti in prima linea, il trattamento si è dimostrato in grado di rallentare la progressione del carcinoma renale avanzato di quasi un anno: 11,1 mesi rispetto ai 2,8 mesi del placebo, evidenziando un profilo di tollerabilità migliore rispetto agli altri farmaci impiegati in questo ambito. Questi i risultati emersi nello studio clinico di registrazione del farmaco che, nel febbraio scorso, hanno spinto anche il Nice ad approvare pazopanib, come opzione di prima linea nei pazienti con carcinoma renale avanzato.

In Italia pazopanib è stato inserito nel Registro farmaci oncologici di Aifa e così come per le altre terapie innovative verrà sottoposto al sistema di payment by result: per quei pazienti che risultassero non responder dopo 24 settimane per avvenuta progressione della malattia, l’azienda rimborserà la spesa sostenuta.

“L’epidemiologia – afferma il prof. Camillo Porta, oncologo medico del Policlinico San Matteo di Pavia - ci dice che sono circa 8200 le persone che ogni anno devono affrontare una diagnosi di carcinoma renale, neoplasia che rappresenta un 2-3% di tutti i casi di tumore, con una tendenza però all’aumento. Si tratta di una malattia prevalentemente maschile, con un’incidenza doppia rispetto alle donne e che interessa soprattutto gli anziani: due terzi delle persone ha più di 65 anni. L’altra cosa importante ce la dice la patologia: siamo di fronte ad un tumore non particolarmente frequente, spesso asintomatico, e per questo difficile da scoprire. Uno su due viene infatti individuato per caso, attraverso un’ecografia o una Tac addominale. Con il risultato che circa il 30% dei pazienti mostra segni di metastasi già alla diagnosi e circa il 40% le svilupperà in seguito, solitamente nell’arco di due anni”.

Una storia clinica difficile, dunque: perché per il tumore del rene non si può veramente parlare di prevenzione, visto che i fattori di rischio sui quali c’è concordanza di opinioni sono pochi: il fumo, l’esposizione ad alcuni metalli, come l’asbesto, l’amianto e il cadmio, derivati del petrolio  o specifiche mutazioni genetiche presenti in alcune famiglie. E perché i farmaci attualmente in uso sono attivi ma non in tutti i pazienti, ed alcuni di questi presentano inoltre problemi di tossicità”.

“Quando il tumore è localizzato e non sono presenti metastasi – sostiene il prof. Sergio Bracarda, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Oncologia Medica Usl 8 di Arezzo – Istituto Tumori Toscano - viene trattato in sala operatoria. L’intervento chirurgico ancora oggi rappresenta il solo approccio curativo in senso definitivo. I trattamenti “tradizionali”, come la chemio o la radioterapia, non hanno infatti mai dato risultati particolarmente soddisfacenti. Solo con l’avvento delle terapie a bersaglio molecolari – il cui meccanismo d’azione è sostanzialmente anti-angiogenico - si è registrato un cambio di rotta, sia per la sopravvivenza del paziente, sia per la sua qualità di vita. Ma anche in questo caso è necessario fare attenzione ai profili di tossicità, che sono diversi per ciascuna terapia, e richiedono quindi una scelta oculata che tenga conto delle condizioni generali del malato e di eventuali patologie preesistenti”.

L'approvazione di pazopanib è avvenuta dopo l’analisi dei risultati dello studio denominato VEG105192, studio randomizzato e controllato di fase III, in doppio cieco, multicentrico.

“La sperimentazione – spiega la prof.ssa Cora Sternberg, direttore del Reparto di Oncologia Medica dell'Azienda Ospedaliera San Camillo - Forlanini di Roma - è stata condotta su pazienti che presentavano caratteristiche diverse della malattia: persone affette da carcinoma del rene con malattia misurabile, in fase localmente avanzata e/o metastatica, alcune naive per il trattamento medico e altre che avevano ricevuto un precedente trattamento a base di citochine.  Complessivamente, tra l’aprile del 2006 e l’aprile del 2007, sono stati inseriti nello studio 435 malati in cura in 80 centri in Europa, Asia, Sud America, Australia e Nuova Zelanda. I risultati mostrano che pazopanib. prolunga in maniera significativa la sopravvivenza libera da progressione nel confronto con il placebo, sia nella popolazione globale, sia nei pazienti di prima linea e nei pazienti pretrattati. In prima linea la Progression free survival, cioè il tempo in cui la malattia non progredisce, è stata di 11.1 mesi per pazopanib rispetto ai 2,8 mesi del placebo; nei pazienti pre trattati si è passati dai 4,2 mesi nel braccio placebo a 7.4 in quello pazopanib; infine, nella popolazione globale lo scarto è stato di 5 mesi: 9.2 per pazopanib e 4.2 per il placebo. La durata mediana della risposta nella popolazione globale è stata di oltre un anno: 58,7 settimane”.

La maggioranza degli effetti collaterali sono stati di Grado 1/2 (moderato) e clinicamente facilmente gestibili. Gli effetti collaterali di Grado 3/4 (severo) sono stati la diarrea (4%), l’ipertensione (4%, un effetto di classe per farmaci antiangiogenetici) e il rialzo transitorio  degli enzimi del fegato: quest’ultimo in gran parte reversibile o comunque gestibile attraverso il monitoraggio periodico della funzionalità epatica e la modificazione della dose di somministrazione.

“I nuovi farmaci molecolari – conclude il prof. Bracarda - presentano tutti un rischio elevato di ipertensione, legato al meccanismo d’azione antiangiogenico, ma si differenziano in maniera abbastanza significativa per altre tossicità, probabilmente a causa della possibile azione su pathway secondari diversi. Ci sono farmaci che presentano una tossicità prevalentemente cutanea, altri ematologica e gastroenterica (stomatite, diarrea), anomalie a livello enzimatico, proteinuria (perdita di proteine nelle urine). Rispetto ai farmaci della stessa categoria, anche pazopanib ha dimostrato un buon profilo di tollerabilità. Una condizione importante questa nei pazienti con carcinoma renale in fase avanzata: la tollerabilità si traduce infatti anche in maggiore compliance, consente di rispettare la dose intensity prevista, di preservare la qualità di vita, e di rimanere in trattamento per un lungo periodo di tempo, con un impatto importante sulla stabilità di malattia”.

Documento del Nice