Neurologia e Psichiatria

Amiloidosi ereditaria da accumulo di transtiretina, nuove possibilità di cura con patisiran, primo farmaco che sfrutta la RNA interference

La terapia sperimentale a base di patisiran è risultata efficace e sicura in pazienti affetti da amiloidosi ereditaria da accumulo di transtiretina (hATTR) con polineuropatia. L'efficacia è stata mostrata dalla riduzione significativa della progressione della neuropatia e da un miglioramento della qualità di vita dei pazienti a 18 mesi rispetto al placebo. Questi risultati sono stati annunciati ieri dall'azienda produttrice del farmaco, la biotech Alnylam, e derivano dallo studio di fase III APOLLO.

La terapia sperimentale a base di patisiran è risultata efficace e sicura in pazienti affetti da amiloidosi ereditaria da accumulo di transtiretina (hATTR) con polineuropatia. L’efficacia è stata mostrata dalla riduzione significativa della progressione della neuropatia e da un miglioramento della qualità di vita dei pazienti a 18 mesi rispetto al placebo. Questi risultati sono stati annunciati ieri dall’azienda produttrice del farmaco, la biotech Alnylam, e derivano dallo studio di fase III APOLLO.  

Amiloidosi ereditaria da accumulo di transtiretina, una malattia autosomica dominante
«L’amiloidosi ereditaria da accumulo di transtiretina è una malattia autosomica dominante, neurodegenerativa, causata da mutazioni nel gene della proteina transtiretina, che è una proteina di trasporto della tiroxina e della vitamina A» -ha spiegato ai microfoni di PharmaStar la dr.ssa Laura Obici, Centro per lo Studio e la cura delle Amiloidosi Sistemiche del Policlinico San Matteo di Pavia.

«Queste mutazioni, che si trasmettono per via autosomica dominante» ha proseguito la dr.ssa Obici- «causano un’instabilità della proteina in circolo e la rendono prona ad aggregarsi per formare depositi tissutali di amiloide. La proteina ha già una sua propensione a formare fibrille di amiloide, per la sua struttura nativa; la presenza di amiloide aumenta l’instabilità e la tendenza a fare amiloide. E’ una proteina sintetizzata prevalentemente dal fegato. Chi ha la mutazione in questo gene ha il 50% di questa proteina circolante mutata che nel tempo forma aggregati amiloidi nel tessuto, localizzati prevalentemente nel sistema nervoso periferico (SNP), nel sistema nervoso autonomo (SNA) e in alcuni casi anche nel cuore».

L’amiloidosi hATTR rappresenta un bisogno medico importante non soddisfatto, con morbilità e mortalità significative che colpisce circa 50mila persone in tutto il mondo.

«E’ una malattia genetica che porta al decesso nel giro di circa 10 anni dall’esordio della sintomatologia»-ha sottolineato ai nostri microfoni il prof. Giuseppe Vita, direttore della UOC Neurologia e malattie Neuromuscolari, Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “G. Martino” di Messina- «Impatta molto sulla vita del paziente e della sua famiglia. Colpisce tutti gli organi perché l’accumulo di amiloide si ha a livello di vari organi e tessuti soprattutto il cuore, i nervi periferici e l’intestino. I disturbi quindi sono cardiaci, polineuropatia, impotenza e disturbi della minzione».
«Visto il coinvolgimento del SNA»-ha aggiunto la dr.ssa Obici-« i pazienti possono avere disfunzioni della motilità intestinale, disfunzione erettile, ipotensione ortostatica»

Epidemiologia e diagnosi della malattia
L’esordio è tra i 40 e gli 80 anni, quest’ampio range di età dipende dal tipo di mutazione che ha il paziente; ogni mutazione ha un fenotipo un po’ differente. 

«E’ una malattia rara la cui frequenza è difficile da stimare» ha evidenziato la dr.ssa Obici- «perché non ci sono dati epidemiologici chiari. In Italia ci sono però delle aree in cui è più frequente; essendo una malattia genetica ad esordio in età adulta (dopo i 40 anni) questi soggetti sono compatibili con la riproduzione, per cui nelle zone in cui è presente la mutazione questa tende ad essere trasmessa nelle generazioni e si crea un effetto, detto effetto “del fondatore” per cui in alcune zone in cui la popolazione è abbastanza stanziale abbiamo una frequenza più elevata. Ad esempio, in Sicilia c’è un cluster nella provincia di Siracusa, uno ad Agrigento, uno tra Messina e Reggio Calabria , aree con frequenza maggiore».

«In alcuni casi»-ha precisato il prof. Vita- «l’esordio è in età molto avanzata e questo porta a difficoltà diagnostiche in quanto spesso si pensa ad altre malattie dell’anziano. C’è un ritardo diagnostico importante di 4-5 anni dall’inizio della malattia e questo comporta un ritardo anche nell’inizio della terapia».

«La malattia si sviluppa nell’adulto perché questa proteina, per quanto sia instabile per la presenza della mutazione, per ragioni che hanno a che fare con la struttura stessa della proteina e i meccanismi che formano l’amiloide tende a far fatica ad aggregare, ci sono dei meccanismi con cui l’organismo in qualche modo si ripulisce delle proteine patologiche e questi meccanismi tengono a funzionare molto bene per alcune decadi e poi vengono messi alla prova. Inoltre, l’aggregazione non è un processo favorito a livello termodinamico per cui prima che l’aggregato sia presente nel tessuto ci vuole del tempo. Una volta formato però cresce più rapidamente» ha dichiarato la dr.ssa Obici.

Terapie, dal trapianto di fegato alla terapia con patisiran che agisce con il silenziamento genico
«In passato, a livello terapeutico esisteva solo il trapianto di fegato, da circa 4 anni c’è una terapia, il tafamidis, che rallenta la malattia ma non tutti i pazienti rispondono al farmaco» ha aggiunto il prof. Vita. «Il tafamidis agisce rendendo più stabile la proteina cioè evita che la proteina perda la sua conformazione in modo che il processo dell’amiloide sia molto ridotto. E’ un farmaco che in uno studio clinico precedente ha dimostrato di rallentare la progressione della neuropatia; nella pratica ci sono pazienti che realmente rallentano e pazienti meno responsivi al trattamento e in cui la progressione, anche se più lenta, va avanti» ha spiegato la dr.ssa Obici.

Tafamidis è approvato in Europa, Giappone e alcuni Paesi dell’America Latina, l’indicazione specifica varia a seconda delle regioni; esiste un bisogno significativo di nuove terapie per aiutare a trattare i pazienti affetti da questa malattia.

«Questa nuova molecola, patisiran»- ha aggiunto la dr.ssa Obici- «agisce a livello di sintesi della proteina; il fegato secerne la proteina che circola e svolge la sua funzione biologica, questa terapia spegne la sintesi della proteina degradando l’RNA messaggero. Questo è uno dei meccanismi grazie al quale si può spegnere la trascrizione del gene andando a demolire solo l’RNA messaggero che codifica per questa proteina. E’ interessante, perché questo farmaco spegne la sintesi non solo della parte mutata ma anche della parte normale, quindi, il paziente che assume questa terapia ha una riduzione dell’80-90% di tutta la  concentrazione della proteina sia quella mutata che quella normale. Questo è importante perché oggi sappiamo che una volta che si instaura la malattia anche la proteina normale può andarsi ad accumulare. Eradicando completamente o quasi la proteina e in modo stabile preveniamo l’ulteriore aggregazione sia della parte mutata che della parte normale per cui il meccanismo si rivela molto efficace».
«Questo farmaco agisce diminuendo la sintesi della proteina transtiretina che precipita sotto forma di amiloide, meno proteina precipita meno amiloide si forma» ha commentato il prof. Vita.



I risultati dello studio APOLLO
«Su questa nuova terapia lo studio di fase III Apollo è iniziato due anni fa»- ha precisato il prof. Vita, aggiungendo: «si tratta di uno studio randomizzato, in doppio cieco con placebo che seguiva uno studio di fase II che aveva già prodotto risultati incoraggianti per cui noi ci aspettavamo già risultati importanti dalla fase III.

I risultati che abbiamo avuto, anche se parziali, sono molto incoraggianti e speriamo possa essere presto disponibile per i pazienti».

La sperimentazione APOLLO ha arruolato 225 pazienti affetti da amiloidosi hATTR con polineuropatia, che rappresentano 39 genotipi, presso 44 centri di studio in 19 Paesi in tutto il mondo. I pazienti sono stati randomizzati in un rapporto 2:1 a patisiran o placebo, con patisiran somministrato per via endovenosa a una dose di 0,3 mg/kg ogni tre settimane per 18 mesi. Per le misurazioni dell’endpoint sia di mNIS+7 che di Norfolk QOL-DN fornite sotto, un punteggio inferiore indica un risultato clinico migliore.

«Dobbiamo considerare che si tratta di una malattia complessa» ha chiarito la dr.ssa Obici- «è una patologia sistemica per cui è molto difficile definirla e quantificare il danno della malattia. La scala mNIS+7 è un punteggio composito a cui partecipano tante voci diverse che cercano ciascuna di descrivere un aspetto della neuropatia come l’aspetto del deficit di sensibilità, l’aspetto del deficit di forza, deficit della frequenza cardiaca. E’ una scala importante per descrivere la malattia in tutte le sue diverse componenti ed è stata sviluppata anche grazie a studi clinici precedenti in cui si è imparato a quantificare il danno della malattia e per monitorare la risposta dei pazienti alle terapie».

I risultati hanno mostrato che a 18 mesi, la variazione media rispetto al basale in mNIS+7 era significativamente inferiore nel gruppo con patisiran rispetto a quello con placebo (p <0,00001). Le variazioni media e mediana nei punteggi di insufficienza mNIS+7 per patisiran hanno raggiunto entrambe valori negativi, indicando un miglioramento globale e nella maggior parte dei pazienti rispetto al basale.
I pazienti nel gruppo di patisiran hanno manifestato un miglioramento nella qualità della vita rispetto a placebo, secondo quanto valutato dal questionario sulla qualità della vita di Norfolk-Neuropatia diabetica (Norfolk QOL-DN) (p <0,00001).

Inoltre, le variazioni media e mediana nei punteggi QOL per patisiran hanno raggiunto entrambe valori negativi, indicando un miglioramento globale e nella maggior parte dei pazienti rispetto al basale.

Anche tutti gli altri 5 endpoint secondari hanno dimostrato differenze favorevoli significative dal punto di vista statistico nel braccio di patisiran rispetto al placebo (p <0,001). Si tratta di:NIS-W, il sottodominio di mNIS+7 che valuta la forza muscolare; la scala dell’invalidità complessiva secondo l’analisi di Rasch (R-ODS), una misurazione dell’esito riferito dal paziente della vita e dell’invalidità di tutti i giorni;  il test del cammino di 10 metri, che valuta la velocità dell’andatura;  l’indice di massa corporea modificato (IMCm), che valuta lo stato nutritivo e COMPASS-31, un questionario per valutare i sintomi autonomici.

E’ stato anche evidenziato dagli autori dello studio che il profilo globale di sicurezza di patisiran era incoraggiante, infatti i bracci con patisiran e con placebo presentavano frequenze simili di eventi avversi (EA) (rispettivamente 96,6% e 97,4%) e di eventi avversi seri (SAE) (36,5% e 40,3%, rispettivamente).  La frequenza di decessi nello studio era simile nei bracci con patisiran (4,7%) e placebo (7,8%) e il trattamento con patisiran era associato a meno interruzioni di trattamento rispetto a placebo (rispettivamente 7,4% e 37,7%) e interruzioni di trattamento dovute a EA (rispettivamente 4,7% e 14,3%).

Gli EA riportati in più del 10% dei pazienti e osservati con maggior frequenza con patisiran rispetto a placebo sono stati edema periferico (rispettivamente 29,7% e 22,1%) e reazioni correlate all’infusione (rispettivamente 18,9% e 9,1%), entrambi generalmente di intensità da lieve a moderata.

APOLLO è il più grande studio randomizzato mai completato per questa malattia. Quasi tutti i pazienti idonei che hanno completato APOLLO sono passati allo studio di estensione in aperto (OLE) di APOLLO e continuano a ricevere patisiran.

«Ci aspettiamo che con questo nuovo farmaco ci sia una risposta più marcata non solo nel rallentamento della neuropatia ma anche nel miglioramento, come ci dicono i dati di questa fase III» ha commentato la dr. Obici, aggiungendo: «questi dati vanno comunque presi con le giuste cautele perché si tratta di una popolazione selezionata e piccola. E’ bene sottolineare come mentre in altri studi è stata sempre vista una progressione, nei dati di APOLLO sembra ci sia anche una regressione e, quindi, un potente effetto della terapia con patisiran. I dati degli studi clinici, inoltre, ci dicono che la molecola è anche molto ben tollerata perché il profilo di sicurezza è molto buono».

I risultati completi, che includono i dati provenienti da un’analisi esplorativa del sottogruppo di pazienti con coinvolgimento cardiaco, saranno presentati al prossimo meeting europeo sull’amiloidosi ATTR per pazienti e medici, il 2 novembre 2017 a Parigi.

L’azienda che si sta occupando dello sviluppo del farmaco, Alnylam, intende presentare di registrazione come nuovo farmaco (NDA) alla fine del 2017 e la domanda di autorizzazione all’immissione in commercio per l’inizio del 2018.

Nel gennaio 2014, Alnylam e Sanofi Genzyme, l’unità aziendale dedicata alle cure specializzate di Sanofi, ha stretto una cooperazione per accelerare l’avanzamento delle terapie a base di RNAi come nuova classe di farmaci innovativi per i pazienti che soffrono di malattie genetiche rare.  Nel caso di patisiran, Alnylam avrà i diritti commerciali sul farmaco per Stati Uniti, Canada ed Europa occidentale, mentre Sanofi Genzyme porterà avanti il prodotto nel resto del mondo.