La somministrazione di tetraidrocannabinolo (THC) per via orale alla dose di 4,5 mg al giorno non ha mostrato alcun beneficio nel trattamento dei sintomi neuropsichiatrici (NPS) correlati alla demenza, ma è risultato ben tollerato, aggiungendo così conoscenze preziose alle scarse evidenze disponibili sul THC nella demenza.

Il profilo benigno degli eventi avversi di questo dosaggio consente di studiare dosi più elevate per verificare se siano efficaci e altrettanto ben tollerate. È quanto emerge da una ricerca apparsa online su Neurology.

«La maggior parte dei pazienti con demenza sperimenta NPS nel corso della propria malattia. Riguardo agli interventi non farmacologici, peraltro preferibili, i dati concernenti la loro efficacia sono limitati e non facilmente applicabili alla pratica clinica» spiegano gli autori, coordinati da Geke A.H. van den Elsen, del Dipartimento di Medicina Geriatrica/Radboudmc Alzheimer Centre di Nijmegen (Olanda). «Il trattamento farmacologico è complesso, dal momento che i farmaci attualmente disponibili presentano importanti svantaggi circa il rapporto rischio-beneficio ».

«Il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC), il principale costituente della cannabis, possiede proprietà sia psicoattive sia analgesiche e potrebbe pertanto servire come trattamento farmacologico alternativo» proseguono. «Alcuni studi preliminari indicano con il suo uso nei pazienti con malattia di Alzheimer (AD) un miglioramento degli stati di agitazione e dell’attività motoria notturna».

L’effetto del THC sul sistema degli endocannabinoidi – ricordano gli autori -  è mediato da 2 recettori cannabinoidi: i recettori CB1, espressi a livello di gangli della base, cervelletto, ippocampo, amigdala e ipotalamo, e i CB2, primariamente riscontrati nelle cellule e negli organi del sistema immunitario. «Pertanto» affermano «il THC probabilmente ha un ampio spettro di interazioni mediate dai recettori CB1 con il sistema endocannabinoide che influisce su emozioni, cognizione e comportamento. Inoltre, sono esercitati anche effetti psicotropi attraverso l’interazione con altri recettori e neurotrasmettitori».

Svariati studi preclinici depongono per un effetto protettivo del THC rispetto all’AD. Mancano però prove certe sull’efficacia e la sicurezza di THC o altri cannabinoidi in un gruppo di pazienti vulnerabile come quelli affetti da AD, così come scarsi sono i dati su soggetti anziani. «Questo studio» affermano van den Elsen e collaboratori «è il più vasto condotto finora per valutare l’efficacia e la sicurezza di THC orale nei disturbi del comportamento nei pazienti con demenza».

È stato condotto un trial in doppio cieco, randomizzato, controllato con placebo. I pazienti affetti da demenza e con NPS clinicamente rilevanti sono stati assegnati in modo casuale a ricevere (in proporzione 1: 1) 1,5 mg di THC o un corrispondente placebo 3 volte al giorno per 3 settimane. L'outcome primario era costituito dal cambiamento al Neuropsychiatric Inventory (NPI), valutato al basale e dopo 14 e 21 giorni. Le analisi si sono basate sull’intention-to-treat.

Ventiquattro pazienti hanno ricevuto THC e 26 hanno avuto il placebo. I NPS sono stati ridotti nel corso di entrambe le condizioni di trattamento. La differenza nella riduzione rispetto al basale tra il THC e placebo non è risultata significativa (differenza media NPI totale: 3,2; 95% CI: da -3,6 a 10,0), né vi sono stati cambiamenti nei punteggi per l'agitazione (Cohen-Mansfield Agitation Inventory: 4,6; 95% CI: da -3,0 a 12,2), la qualità della vita (Quality of Life-Alzheimer’s Disease: -0,5; 95% CI: da -2,6 a 1,6) o le attività della vita quotidiana (Barthel Index: 0,6; 95% CI: da -0.8 a 1,9). Il numero di pazienti che ha manifestato eventi avversi lievi o moderati è stato simile (THC, n = 16; placebo, n = 14; p = 0,36). Non sono stati osservati effetti sui segni vitali, il peso o la memoria episodica.

«Il consistente grado di miglioramento nel gruppo placebo è sorprendente» ammettono i ricercatori «e può essere dovuto a molti fattori, compresi l’attenzione e il supporto dal team dello studio, le aspettative dei pazienti e dei caregivers circa il THC, l’influsso del personale infermieristico. Per correggere questa consistente risposta al placebo, sarebbe opportuno implementare un disegno crociato randomizzato a livello individuale in futuri studi». Fanno inoltre notare che: «nonostante il fatto che si sia studiata una popolazione di pazienti vulnerabili, il livello di attrito è stato basso (6%) e l’adesione elevata (98-100%)».

«Questo trial indica che 4,5 mg al giorno di THC possono essere somministrati in sicurezza ai pazienti con demenza. L’osservazione che non vi è stato alcun segnale biologico di eventi avversi indica che il dosaggio era troppo basso, dato che un farmaco psicoattivo è raramente efficace senza mostrare alcun effetto collaterale. Pertanto, i nostri risultati meritano ulteriori ricerche con dosaggi più alti di THC per il trattamento dei NPS correlati alla demenza» concludono gli autori.

Arturo Zenorini

Vanden Elsen GA, Ahmed AI, Verkes RJ, et al. Tetrahydrocannabinol for neuropsychiatric symptoms in dementia. A randomized controlled trial. Neurology, 2015 May 13. [Epub ahead of print]

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