Le modificazioni del trascrittoma delle cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC: monociti e linfociti) a breve termine - che riflettono l'attivazione del fattore nucleare di derivazione eritroide 2 (Nrf2) e l'inibizione dei percorsi del fattore di trascrizione NFkB - distinguono i pazienti affetti da sclerosi multipla (SM) che successivamente mostrano una risposta al trattamento a medio termine con dimetilfumarato (DMF). È quanto rivela uno studio pubblicato su "Neurology, Neuroimmunology & Neuroinflammation".
SM, prelievi di sangue predittivi di risposta al DMF tramite analisi del trascrittoma dei mononucleati
Le modificazioni del trascrittoma delle cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC: monociti e linfociti) a breve termine - che riflettono l'attivazione del fattore nucleare di derivazione eritroide 2 (Nrf2) e l'inibizione dei percorsi del fattore di trascrizione NFkB - distinguono i pazienti affetti da sclerosi multipla (SM) che successivamente mostrano una risposta al trattamento a medio termine con dimetilfumarato (DMF). È quanto rivela uno studio pubblicato su “Neurology, Neuroimmunology & Neuroinflammation”.
La stabilizzazione relativa dei pattern di espressione genica può accompagnare la soppressione associata al trattamento dell'attività della malattia, specificano gli autori, coordinati da Paul M. Matthews, della Divisone di Scienze del Cervello preso il Centre for Neurotechnology and the UK Dementia Research Institute dell’Imperial College di Londra (Regno Unito).
«Il DMF è una terapia di prima linea di moderata efficacia approvata per l'uso nella SM recidivante-remittente (RRSM)» ricordano. «Tuttavia» fanno notare «una recente analisi post hoc ha rivelato che solo il 26% dei pazienti negli studi originali DEFINE/CONFIRM era privo di evidenza clinica di attività della malattia o lesioni T2-iperintense nuove o ingrandite alla risonanza magnetica (RM) a 2 anni».
«Questo suggerisce che potrebbe esserci una popolazione di responder e di non responder» proseguono. «Tuttavia, al momento, non esiste un indicatore di stratificazione di risposta precoce per distinguerle».
Il meccanismo d'azione ipotizzato che coinvolge la modulazione di Nrf2 e NFkB nelle cellule immunitarie ha suggerito che gli effetti farmacodinamici sul trascrittoma delle PBMC potrebbero essere utilizzati per prevedere la risposta al trattamento, spiegano Matthews e colleghi.
«Per testare questo, abbiamo usato il sequenziamento dell'RNA di nuova generazione (NGS, Next Generation Sequencing) per identificare cambiamenti a breve termine nell'espressione genica a 6 settimane dall'inizio del trattamento che fossero associati a una risposta al trattamento a medio termine definita dalla misura di esito composito NEDA-4 (No Evidence of Disease activity) a 15 mesi dopo il trattamento» scrivono nell'articolo.
In sintesi, obiettivo dello studio è stato quello di Identificare i cambiamenti a breve termine nell'espressione genica delle PBMC associate alla risposta al trattamento con DMF in pazienti con RRSM.
Differenti variazioni di espressione genica rilevate tra responder e non responder
Sono stati prelevati campioni di sangue da 24 pazienti con RRSM (punteggio mediano all’Expanded Disability Status Scale: 2,0; range 1-7) al basale, a 6 settimane e a 15 mesi dopo l'inizio del trattamento con DMF.
Sono stati inoltre reclutati 7 controlli sani e sono stati raccolti campioni di sangue negli stessi intervalli di tempo. Le PBMC sono stati estratte da campioni di sangue e sequenziati utilizzando l’NGS dell'RNA.
I responder al trattamento sono stati definiti utilizzando la misura del risultato composito "nessuna evidenza di attività della malattia" (NEDA-4). Sono state eseguite analisi di espressione differenziale nell’andamento del tempo e trasversali per identificare i marker trascrittomici di risposta al trattamento.
I responder al trattamento (NEDA-4 positivi, 8/24) lungo il periodo di 15 mesi avevano 478 geni differenzialmente espressi (DEG) 6 settimane dopo l'inizio del trattamento. Questi erano arricchiti di Nrf2 e inibizione di NFkB.
Nei pazienti che mostravano segni di attività patologica, non c'erano DEG a 6 settimane rispetto al basale (non trattato). Trascrittomi contrastanti espressi a 6 settimane rispetto a quelli a 15 mesi di trattamento - 0 e 1.264 DEG - sono stati trovati rispettivamente nei gruppi responder e non responder. Le trascrizioni nel gruppo dei non responder (NEDA-4 negativi, 18/24) erano arricchite di geni di segnalazione delle cellule T.
Le potenzialità del metodo per la pratica clinica
«Abbiamo dimostrato che il DMF può alterare i profili del trascrittoma delle PBMC dei pazienti con SM anche a breve termine» dichiarano i ricercatori. «I cambiamenti che abbiamo trovato supportano le attuali ipotesi per i meccanismi di azione tramite l'attivazione di Nrf2 e la soppressione dei percorsi NFkB».
«Inoltre» sottolineano «abbiamo scoperto prove del fatto che una risposta al DMF è associata a una maggiore omeostasi immunitaria che "normalizza" l'espressione genica nella frazione PBMC. La convalida e l'estensione di questi risultati possono avere implicazioni per la stratificazione del paziente utili al miglior utilizzo del DMF in altre condizioni infiammatorie».
«Il nostro lavoro evidenzia la sensibilità delle misure farmacodinamiche trascrittomiche di sequenziamento dell’RNA della risposta ai farmaci» aggiungono.
«Sebbene i test di sequenziamento dell’RNA dell’intero trascrittoma delle PBMC siano ora relativamente costosi, l’NGS e i metodi correlati hanno il potenziale per essere ottimizzati e forniti a costi modici per diventare futuri esami di laboratorio clinico, qualora il loro valore venisse dimostrato e confermato» concludono.
Arturo Zenorini
Riferimento bibliografico:
Gafson AR, Kim K, Cencioni MT, et al. Mononuclear cell transcriptome changes associated with dimethyl fumarate in MS. Neurol Neuroimmunol Neuroinflamm, 2018 Jul 1;5(4). doi:10.1212/NXI.0000000000000470.
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