Neurologia e Psichiatria Sclerosi multipla, ECTRIMS 25

SM primariamente progressiva: la dose "alta" di ocrelizumab non supera quella standard. Studio GAVOTTE #ECTRIMS25

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Il messaggio che arriva dallo studio GAVOTTE è netto: aumentare la dose di ocrelizumab, aggiustandola per il peso, non offre un beneficio superiore sulla progressione della disabilità rispetto al regime standard da 600 mg ogni 24 settimane nelle persone con sclerosi multipla primariamente progressiva (PPMS).

I dati principali, presentati da Stephen L. Hauser e coautori, vengono confermati dai resoconti scientifici diffusi durante il congresso ECTRIMS di Barcellona. Risultato pratico: la dose approvata “tiene”, anche nei pazienti progressivi.

Perché testare una dose più alta
L’idea nasce da analisi di esposizione-risposta: in passato, livelli sierici più alti di ocrelizumab erano stati associati a minor rischio di progressione, lasciando intendere che un’esposizione maggiore potesse dare più protezione. Da qui due studi di Fase IIIb: MUSETTE (forme recidivanti) e GAVOTTE (PPMS), con dosi body-weight–adjusted fino a 2-3 volte la standard per verificare se “più” equivalesse a “meglio”.

Disegno dello studio GAVOTTE
Lo studio ha coinvolto 753 pazienti affetti da sclerosi multipla primariamente progressiva (PPMS), suddivisi in maniera randomizzata in due gruppi di trattamento. Un gruppo ha ricevuto ocrelizumab a dosaggio elevato, modulato in base al peso corporeo — 1200 mg nei pazienti con peso inferiore a 75 kg e 1800 mg in quelli con peso pari o superiore a 75 kg. L’altro gruppo, invece, ha ricevuto il dosaggio standard di 600 mg.

L’obiettivo principale dello studio (endpoint primario) era valutare il tempo alla progressione confermata della disabilità (cCDP). Quest’ultima veniva definita come un peggioramento documentato di uno dei seguenti parametri: punteggio alla scala EDSS, performance al test di deambulazione temporizzato sui 25 piedi (T25FW) oppure al test di destrezza manuale con nove pioli (9HPT).

Che cosa mostra GAVOTTE
Dopo oltre due anni di trattamento, non sono state osservate differenze significative tra i due gruppi. La progressione della disabilità a 12 settimane si è verificata nel 47% dei pazienti trattati con il dosaggio elevato e nel 49% di quelli trattati con 600 mg, con un hazard ratio di 0,95.

Risultati sostanzialmente sovrapponibili sono emersi anche per gli endpoint secondari, che includevano la progressione indipendente dalle ricadute, le funzioni cognitive, la perdita di volume cerebrale e i livelli sierici di neurofilamenti.

Il dosaggio più elevato ha determinato una deplezione più marcata dei linfociti B CD19+, ma tale effetto biologico non si è tradotto in un beneficio clinico misurabile.

Per quanto riguarda il profilo di sicurezza, non sono emerse differenze sostanziali tra i due gruppi di trattamento. Gli eventi avversi seri si sono verificati nel 12,2% dei pazienti trattati con dosaggio elevato e nell’11,4% di quelli trattati con il dosaggio standard. Anche l’incidenza di infezioni gravi è risultata simile, pari rispettivamente al 3,6% e al 5,1%. La frequenza di neoplasie è stata analoga (0,8% contro 1,6%), valori che rientrano comunque nei dati attesi a livello epidemiologico. Le reazioni correlate all’infusione si sono manifestate in circa un quarto dei pazienti in entrambi i gruppi, ma nella maggior parte dei casi si sono rivelate gestibili e solo raramente hanno comportato l’interruzione del trattamento.

In sintesi: nessun “guadagno clinico” con più farmaco, a fronte di una safety allineata.

Coerenza del segnale: anche MUSETTE è negativo
Lo studio “fratello” per le forme recidivanti, MUSETTE, annunciato ad aprile 2025, non aveva raggiunto l’endpoint primario: nessun beneficio additivo della dose alta sulla progressione. GAVOTTE, ora, chiude il cerchio anche nella PPMS, rafforzando la robustezza della dose Che cosa cambia per clinici e sistemi sanitari.

Scelta terapeutica semplificata: nelle persone con PPMS, non ci sono motivi per superare la dose approvata alla ricerca di un vantaggio sulla disabilità. Si riduce il ricorso a strategie “empiriche” di intensificazione.

Sostenibilità: evitare dosi più alte contiene costi e complessità organizzative (infusioni più lunghe o più frequenti), senza sacrificare efficacia e sicurezza.

Ricerca futura: se la “leva” della dose non sposta l’ago, servono nuovi target (es. pathway microgliali, BTK-inibitori) o strategie di combinazione per incidere sulla neurodegenerazione tipica della PPMS. Nel frattempo, i registri real-world continuano a mostrare che ocrelizumab è tra le opzioni più efficaci nel controllo dell’attività di malattia rispetto ad altri DMT, specie sulle ricadute (dato più rilevante nelle forme recidivanti).

Un passo avanti… per confermare lo “standard”
Paradossalmente, il valore di GAVOTTE sta proprio nell’aver smentito un’ipotesi plausibile: più dose più beneficio nella PPMS. È una risposta importante a una domanda clinica reale e aiuta a consolidare la pratica: ocrelizumab a dose standard resta la scelta di riferimento nelle persone con PPMS, con un profilo di efficacia e sicurezza ben definito.

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